Il volume mette in luce, nell'ambito della storia del diritto internazionale, le origini del progetto coloniale dell'Occidente e i suoi tentativi di civilizzare il mondo extra-europeo. In una ricostruzione che va dalla prima metà del Cinquecento all'epoca contemporanea, vengono illustrate le ideologie che hanno giustificato le conquiste coloniali, legittimando l'idea della "superiorità" dei paesi occidentali: dapprima la superiorità dei popoli cristiani (sec. XVI), poi dei popoli "civili" (see. XIX), poi dei popoli "sviluppati" (sec. XX) e ora dei popoli democratici e della loro dottrina dei diritti. L'autore mette in discussione il presunto universalismo della concezione occidentale dei diritti umani e del diritto internazionale, sottolineando le analoghe pretese universalistiche del mondo musulmano e sostenendo conseguentemente la necessità di una visione relativistica e l'importanza di assumere una prospettiva "inter-civiltà" contro ogni ipotesi di scontro di civiltà.
Il Liber di Angela da Foligno è un testo che ha suscitato, nell'ultimo ventennio, un crescente interesse da parte degli studiosi di letteratura, storia e filosofia medievale a causa dei suoi molteplici livelli di composizione e degli interrogativi che ancora ne accompagnano la lettura. Questo studio analizza le strutture retoriche del Liber, e in particolare quelle atte ad esemplificare sotto forma di metafora i cinque modi sensoriali di contatto tra anima mistica e Dio. La dottrina dei sensi spirituali nasce, si trasforma ed evolve nella tradizione filosofico-teologica a partire dal III secolo d.C. e la letteratura mistica latina dell'amore, particolarmente fiorente nel XII secolo, la arricchisce di forme retoriche e linguistiche. L'autoagiografia spirituale femminile italiana ed europea del basso Medioevo (XIII-XIV sec.) eredita teoria e pratica dei sensi dimostrando, nella frequenza d'uso, non solo l'appartenenza al genere "mistico" ma anche, nella ri-formulazione metaforica, la sapienza inventiva, di creazione, figurativamente efficace ed espressiva propria del linguaggio degli autori e delle autrici. L'ineffabilis experientia di Angela da Foligno, Margherita da Cortona e Umiliana dei Cerchi è raccontata con un linguaggio che è tanto quotidiano quanto simbolicamente allusivo: in questo i testi agiografici recuperano a pieno titolo i caratteri dell'opera letteraria.
Rossana Vanelli Coralli ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Italianistica all'Università di Bologna. La sua ricerca è volta allo studio del linguaggio retorico e mistico in Dante, nell'agiografia e autoagiografia femminile italiana ed europea bassomedievale, nell'opera del predicatore domenicano Giovanni Dominici. E' attualmente borsista della Fondazione Michele Pellegrino.
Una conseguenza dell'invenzione della scrittura fu che alcuni non si limitarono a leggere quanto era stato scritto in precedenza, ma si accinsero a loro volta a scrivere sugli scritti di altri. E' attraverso questa dinamica costante che un certo numero di opere si è guadagnato lo statuto di "classici". Ma quali sono le ragioni che hanno indotto schiere di autori a occuparsi di interpretare, confutare o rafforzare i classici? E soprattutto: che senso ha oggi avvicinarsi alla lettura di testi filosofici che possono avere origine in un passato culturalmente e cronologicamente anche molto lontano? Il volume ripercorre alcuni momenti centrali del dibattito svoltosi fra Otto e Novecento sui classici e sul processo della loro mediazione. Dopo aver sottoposto a una serrata critica gli argomenti pro e contro ciascun uso possibile dei testi canonici della tradizione, l'autore individua proprio nella loro "alterità" culturale il contributo più efficace che essi sono tuttora in grado di fornire in termini di ricchezza e libertà della conoscenza.
Giuseppe Cambiano insegna Storia della filosofia antica nella Scuola Normale Superiore di Pisa. Fra i suoi libri: "Polis. Un modello per la cultura europea" (Laterza, 2000), "Figure, macchine, sogni. Studi sulla scienza antica" (Ed. di Storia e Letteratura, 2006). E' anche autore del fortunato manuale "Storia della filosofia antica" (Laterza, nuova ed. 2009).
Per quanto distruttiva e discontinua possa essere una transizione, nessun regime nasce in un vuoto storico e istituzionale. Il successo o meno delle democratizzazioni - oggetto di questo studio comparato che riguarda Italia, Germania, penisola iberica e tutta l'Europa ex comunista, Russia compresa - si gioca anche sulle eredità, e in particolare sulla capacità del nuovo regime di neutralizzare o tenere sotto controllo quelle avverse. Oltre che con le eredità tangibili (élite, istituzioni, organizzazioni, prassi politiche) è necessario misurarsi con quelle "invisibili", tra cui soprattutto la memoria. Che presenta aspetti positivi, perché consente di non ripetere errori e ingiustizie, ma anche negativi, quando si trasforma in un "passato che non passa mai" e che tende a riportare continuamente indietro l'agenda politica.
E' un flusso potente di energia, che può esplodere per un'ingiustizia subita, un amore ferito, una speranza delusa o un sentimento di vergogna; è una passione forte che può sconvolgere la vita del singolo o il corso della storia, e che spesso si incrocia con l'odio, il risentimento e la superbia, accompagnandosi al desiderio di vendetta o di riscatto. Molteplici strategie sono state attivate per inibire, canalizzare o sublimare il suo impeto spesso selvaggio. Lo sguardo del filosofo, cogliendone il senso e offrendone una spiegazione teorica, getta luce anche sulle infinite manifestazioni di questo nodo dell'anima, sulle sue origini naturali e culturali, sulle sue declinazioni storiche, politiche e sociali, essendo l'ira in grado di mobilitare sette, partiti, folle o interi popoli. Una forza dirompente, non sempre negativa, che può essere elaborata e riportata a proporzioni adeguate alle circostanze e a criteri di giustizia.
Remo Bodei, professore di Filosofia nella University of California, Los Angeles, ha insegnato a lungo alla Scuola Normale Superiore e all'Università di Pisa. Tra le sue numerose pubblicazioni: "Geometria delle passioni" (Feltrinelli, VII ed. 1991), "Destini personali" (Feltrinelli, III ed. 2002), "Paesaggi sublimi" (Bompiani, 2008), "La vita delle cose" (Laterza, IV ed. 2009); con il Mulino "Le forme del bello" (II ed. 2005), "Ordo amoris" (III ed. 2005) e "Piramidi di tempo" (2006).
Poteva un evento epocale come il Concilio Vaticano II limitarsi a difendere la tradizione cristiana contro gli assalti della società moderna e quelli, ancor più insidiosi, del tempo post-moderno? La risposta di questo libro è no, questo non poteva bastare. Quando i vescovi di tutto il mondo si riunirono a San Pietro, infatti, alla condanna degli errori osservati nel mondo preferirono un'esposizione positiva e convincente delle verità da accogliere e testimoniare, perseguendo quel rinnovamento spirituale e pastorale che era stato il grande insegnamento di papa Roncalli. Questo secondo volume della serie "Vaticano II in rete" ripercorre l'interessante fase preparatoria che precede il Concilio, nella quale le due anime - quella rigidamente difensiva e quella aperta all'ascolto - sono entrambe presenti e all'opera. Un contesto rispetto al quale la scelta decisiva compiuta successivamente dai Padri conciliari acquista maggior valore.
Luigi Pedrazzi, tra i fondatori e i principali animatori dell'Associazione il Mulino, di cui è attualmente presidente, è stato vicesindaco della città di Bologna. Con il Mulino ha pubblicato anche "Resistenza cattolica" (2006).
In questo inizio di terzo millennio una grande trasformazione ha investito la vita delle collettività organizzate - che la modernità aveva regolato attraverso il monopolio normativo degli Stati nazionali - fino a mettere in crisi uno dei caratteri ritenuti essenziali del diritto: la dimensione territoriale della produzione normativa e delle funzioni giurisdizionali. I fenomeni che hanno accompagnato la crisi della sovranità statale hanno fatto rinascere gli interrogativi sui problemi dell'universa-lizzazione del diritto e dei diritti, influendo anche sulla politica e sull'esercizio stesso della democrazia e delle sue ragioni, e riproponendo i problemi della fondazione etica delle regole di convivenza collettiva. Facendo tesoro della lezione anticipatrice che viene da due maestri della filosofia giuridica e morale del Novecento, Pietro Piovani e Giuseppe Capograssi, il volume ripercorre le questioni fondamentali che si presentano al centrale intreccio fra etica, diritto e politica nel nostro tempo, mostrando la convinzione che nell'epoca della globalizzazione possano felicemente riprendere vigore le realtà intermedie in grado di consentire lo svolgimento di una dimensione autenticamente sociale della vita comune, creando un ponte fra le ragioni dell'individuo e le ragioni dell'organizzazione collettiva.
Non vi è comune italiano che non gli abbia dedicato una via, una piazza, una lapide, un monumento, una scuola o un teatro. Sembra che non ci sia località che non possa fregiarsi del titolo di una sua visita o di una sua presenza anche fugace. Anche all'estero, la notorietà di Garibaldi è grande, attestata da monumenti, dalla toponomastica e dall'ampiezza di una leggenda pressoché universale che lo considera "Eroe dei due mondi", invincibile combattente nell'America del Sud e in Italia, vincitore sui campi di battaglia di Francia. Idolatrato dai democratici di tutto il mondo, è stato il simbolo degli ideali di libertà e giustizia, di indipendenza dei popoli e di emancipazione delle masse popolari. Nel volume vengono descritte le luci ma anche le molte ombre dell'unico eroe vincente nella nostra storia nazionale.
Tornato il papa da Avignone a Roma, ricomposto il Grande Scisma, nel Quattrocento e fino al traumatico sacco di Roma nel 1527 il papato vive un secolo di trionfo, di rafforzamento dello Stato della Chiesa, nella prospettiva di un’autentica monarchia papale.
Il volume presenta un'antologia di testi sin qui inediti in lingua italiana. Si tratta di scritti del XVI secolo, opera dei trattatisti spagnoli di diritto delle genti, l'antecedente dell'odierno diritto internazionale: Bartolomé de Las Casas, Juan Luis Vives, Juan Roa Dàvila, Francisco Suàrez, Luis de Leon, Juan Ginés de Sepùlveda, Martin de Azpilcueta. Voci di prestigio che intervennero nel dibattito sulla conquista spagnola del Nuovo Mondo, sulla sua legittimità, sui modi della amministrazione spagnola in quei lontani territori, e sui rapporti fra i colonizzatori e le popolazioni locali. A fronte di chi, come Ginés de Sepùlveda, teorizzò una congenita inferiorità degli indios - idolatri, peccatori contro natura, autori di sacrifici umani e dunque la necessità del loro assoggettamento, una "guerra giusta" al fine di convertirli alla vera fede, sta la voce di chi, come il domenicano Bartolomé de Las Casas, si schiera a favore dei diritti degli indigeni, condannando senza eccezioni il colonialismo e l'espansionismo europeo, e l'uso della violenza e della forza come metodo di evangelizzazione. La situazione ultramarina arriverà a sollevare dubbi di coscienza persino nello stesso Carlo V, che convocherà, per risolvere la questione, la Giunta di Valladolid del 1550. In esito alla quale, se l'imperatore sembra in coscienza propendere per le tesi di Las Casas, resta il fatto che la ragion di Stato continuerà a seguire altre vie.
Il volume raccoglie contributi di storici, filosofi, sociologi, sul rapporto fra le diverse Chiese cristiane (ortodosse, cattoliche, protestanti) ed i fenomeni della modernità nel Novecento: modernità che viene semplicemente e limpidamente qui intesa secondo il significato più diffuso nella cultura comune, come il "nuovo, in tutte le sue forme". Con taglio comparativo, il volume descrive scenari diversi, passando dall'Europa occidentale a quella orientale, dall'Africa all'America Latina. E se a titolo di ampia sintesi si può osservare che i protestanti in genere hanno stretto alleanza con la modernità mentre i cattolici e gli ortodossi l'hanno spesso fronteggiata con apprensione, nella preoccupazione di perdere o diluire la propria identità, emerge comunque, poi, nella concretezza, una grande varietà di approcci: per cui, secondo le circostanze, la modernità viene benedetta o esecrata, amata o rigettata, ma anche equilibratamente distinta nei suoi aspetti ora positivi ora negativi. Da segnalare l'originalità dell'oggetto e del taglio della ricerca: i "mondi cristiani", e dunque le tre grandi comunità dei seguaci di Cristo; e all'interno di esse, ancora, approcci ulteriormente differenziati, in relazione alla varietà dei tempi, dei luoghi, delle sensibilità. "Mondi cristiani", e non già un cristianesimo monolitico: perché la relazione fra cristianesimo e modernità si declina tutt'altro che al singolare.
Roberto Morozzo della Rocca insegna Storia dell'Europa Orientale nell'Università di Roma Tre. Storico dei Balcani e del rapporto fra nazione e religione nell'Europa contemporanea, si è anche interessato all'America Latina. Tra le sue pubblicazioni "Primero Dios. Vita di Oscar Romero" (Mondadori, 2005). Con il Mulino ha pubblicato "Nazione e religione in Albania (1920-1944)" (1990) e "Le nazioni non muoiono. Russia rivoluzionaria, Polonia indipendente e Santa Sede" (1992).
Se l'Italia come stato unitario non ha che centocinquanta anni, il nome e l'idea o anzi le idee di Italia sono molto più antichi. Questo libro inconsueto vuole raccontare la storia di quel complesso di idee: l'Italia prima dell'Italia. Dagli Italòi - abitanti della Calabria meridionale secondo Antioco di Siracusa (V secolo a.C.) - all'Italia descritta da Plinio e celebrata da Virgilio in lode di Augusto, all'Italia unificata nella lingua dall'audacia di Dante, il libro ricostruisce il tessuto, insieme variegato e compatto, di un paese che riesce ad alimentare, anche se privo di uno stato, la grandezza non solo culturale e artistica del Rinascimento e delle età successive: una nella lingua e nella letteratura, l'Italia offre alla civiltà occidentale un comune orizzonte diplomatico, umanistico, religioso, che garantisce dignità alla dimensione municipale della piccola patria e insieme a quella, più grande, della cultura internazionale.
Francesco Bruni insegna Storia della lingua italiana nell'Università di Venezia. Per il Mulino ha pubblicato "Boccaccio. L'invenzione della letteratura mezzana" (1990), "La città divisa. Le parti e il bene comune da Dante a Guicciardini" (2003) e "L'italiano letterario nella storia" (2007) nella serie da lui curata "Storia della lingua italiana".