«Dal libro del profeta Osea»... «Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini»... «Dal vangelo secondo Giovanni»... Anche per chi è più abituato a maneggiare la Bibbia, l'idea di poter spaziare in lungo e in largo per cercare quel brano capace di dire qualcosa della vita fa tremare. Figuriamoci se poi questo ti viene proposto mentre sei alle prese con la preparazione del tuo matrimonio! Questo libro desidera essere uno strumento per aiutare chi si trova in questa situazione. Venti coppie raccontano la loro esperienza: come hanno scelto le letture, che cosa quelle letture dicevano alla loro vita e come si siano poi concretizzate negli anni di matrimonio. Le testimonianze potranno suggerire strade per far sì che anche quel «pezzo di matrimonio» che è la liturgia della Parola sia vivo e, partendo dal giorno delle nozze, possa illuminare tutta la vita della famiglia.
Ha ancora senso sposarsi o è meglio prendersi un cane, un gatto, un porcellino d'India? La tesi del libro è che sposarsi sia sensatissimo e richieda due grandi alleati: la fede in Dio e fiumi di ironia. Grazie all'ironia, una moglie può ridere di tutto e soprattutto di se stessa e delle sue scoperte, come il potere salvifico delle uova, non tanto per l'anima, quanto per gli affamatissimi familiari, quando è tardi e non c'è niente di immediatamente commestibile per cena. L'autrice, malgrado la sua vita sconclusionata, in cui fa il bucato di notte e nei week end, manco fosse un hobby, ha scoperto il segreto della felicità coniugale e da allora va ripetendolo a tutti: «Amatevi finché morte non vi separi». Per riuscirci, sconsiglia di perdere tempo aspettando il principe azzurro o Mr Giusto e invece incoraggia ad arruolare alla causa del matrimonio un brav'uomo, ovvero un classico esemplare maschile, capace di fare una sola cosa per volta, di dire sempre la frase sbagliata e di non trovare mai niente nei cassetti, ma disposto a farsi muro, per proteggere sua moglie e amarla come la propria carne. Per contribuire alla riuscita del matrimonio si consigliano alle mogli un regolare training di esercizi di perdono e tecniche di accoglienza e allenamento alla gratitudine, accettando di passare sopra al fatto che il marito non sia perfetto. Se Dio si è fidato abbastanza degli sposi da fargli amministrare il sacramento del matrimonio, a loro spetta fidarsi di Lui, che li ha abbinati per la loro felicità, confidando che sarebbero riusciti a tenere tutto insieme.
Questo libro è un tentativo di riprendere a fare esercizi di tenerezza in coppia. Ri-equilibrare il tempo insieme per dedicarne un po' all'affetto e alla cura del partner nelle situazioni di ogni giorno. Tornare a scoprire il corpo dell'altro e lo spazio che occupa nella nostra quotidianità. La speranza è quella di instaurare un nuovo corso: la tenerezza al potere. Ti svegli un mattino, dopo anni di vita insieme, e non sai più perché il partner che hai a fianco è proprio quello o quella, che senso ha il suo corpo di lato al tuo e chi siete diventati nel frattempo. Dov'è finita la tenerezza degli inizi? Che fine hanno fatto quei gesti e quelle attenzioni di cui tutti sentiamo il quotidiano bisogno?
"Nascere oggi" propone molteplici suggestioni e apre una finestra su una fase della vita, quella nascente, in gran parte ancora avvolta nel mistero. Venire al mondo nel Terzo millennio resta ancora qualcosa di meraviglioso e intrigante. Progresso scientifico e tecnologico hanno permesso di costruire un tempo e uno spazio dell'esistenza solo pochi decenni or sono fuori dalla portata umana. Forse, però, manca ancora una presa di coscienza razionale, emozionale, onestamente critica, da cui muovere per rifondare una corretta comprensione del legame generazionale proprio a partire dalla vita prenatale e dal pieno rispetto della dignità intrinseca ad ogni essere umano. Questa è la sfida a cui è chiamata la bioetica del tempo prenatale. Ridefinire alla luce delle nuove scoperte scientifiche la relazione materno-fetale è uno dei nuovi orizzonti della bioetica della vita nascente. Stessa esigenza investe anche la relazione tra biologo e concepito così come tra legislatore e concepito. Portare tali problematiche in primo piano e porle al centro della riflessione attuale - scientifica, giuridica, filosofica, teologica, psicologica, sociale - è uno degli scopi di queste pagine, punto di partenza e non di arrivo per affrontare questioni per loro natura dinamiche e dialogiche. Come ha scritto Elio Sgreccia nella Postfazione, «è giusto che si incoraggino studi come quelli raccolti in questo volume, ove il rigore scientifico sia mantenuto eticamente orientato alla vita e la cultura sia liberata dalle suggestioni dell'eutanasia».
Le tecno-scienze dominano il mondo globale; tuttavia la scienza non è un’etica e non basta che una scoperta sia in apparenza rivoluzionaria per renderla moralmente accettabile; è indispensabile una profonda riflessione, che non può non affondare le radici anche nel nostro passato. Nel tempo la scienza e la tecnica, a supporto dell’arte medica, hanno aperto nuove prospettive di cura mutando radicalmente e talvolta irreversibilmente i concetti di salute e di malattia, di vita e di morte. Da tali presupposti è nata la bioetica, disciplina che dagli anni Settanta si è rapidamente diffusa e affermata nel mondo.
Cinque decenni sono pochi, ma possono essere un tempo sufficiente per mettere in evidenza le potenzialità, le attese disattese, gli errori e soprattutto cogliere dall’esperienza quale possa essere la nuova mission. Da allora, di strada scienza e tecnica ne hanno fatta molta. E la bioetica? Nata per scuotere le coscienze proprio agli esordi di quelle attività che oggi fanno discutere filosofi e scienziati sulle reali possibilità schiuse dall’uomo all’uomo – non ultimo il potenziamento dell’umano – ci è sembrato opportuno chiederci se la bioetica abbia saputo, o potuto, svolgere il compito per cui era nata.
Questa ricerca sul potere della scienza e della tecnica, che ha visto la collaborazione di docenti, membri del Centro Cattolico di Bioetica dell'Arcidiocesi di Torino ed esperti di diverse discipline, presenta lo sviluppo del progresso tecno-scientifico, le narrazioni con cui viene proposto e le sue implicanze nella vita dell'umanità. Nella prima parte si pone in risalto non solo come la tecnica venga interpretata da molti autori contemporanei come unica fonte di salvezza e dai post-umanisti come fonte di immortalità, ma anche i rischi connessi a questo approccio che, anziché favorire lo sviluppo integrale dell'uomo, finisce per disumanizzarlo.La seconda parte considera il valore ma anche i dilemmi che alcune applicazioni che la tecnica oggi permette pongono alla riproduzione umana, alle scienze cognitive, alla comunicazione di massa, all'ecologia, alla finanza e all'educaZione delle nuove generazioni. L'ultima parte propone infine una valutazione etica e teologica della questione.
Ci auguriamo che questo lavoro possa favorire una serena e impegnata riflessione sul servizio che la scienza e la tecnica possono offrire all'umanità, ma possa anche mettere in guardia dall'affermarsi di un imperio tecno-scientifico senza progetto, affinché diventi ancor oggi possibile fare in modo che la libertà umana lo orienti e lo metta "al servizio di un altro tipo di progresso, più sano, più umano, più sociale e più integrale"
Il racconto in prima persona di un protagonista che ha vissuto sin dalle origini la riflessione sulla bioetica all’interno della Chiesa cattolica ed è stato interlocutore di tutte le più importanti realtà nazionali e internazionali, confrontandosi con le diverse posizioni culturali ed etiche. Uno sguardo dall’interno ricco di particolari inediti.
La questione del potenziamento, insieme di tecniche biomediche utilizzate per modificare e/o potenziare il normale funzionamento del corpo umano, è oggetto di approfonditi studi accademici. Anche il Centro Cattolico di Bioetica dell'Arcidiocesi di Torino, perseguendo i suoi fini statutari, si è interessato dell'argomento e ha costituito un gruppo di studio che ha condotto per mesi la ricerca che ora proponiamo ai lettori. Il testo è suddiviso in due parti. La prima ha l'obiettivo di studiare il fenomeno. La seconda lo analizza dal punto di vista filosofico, giuridico e teologico e ne coglie le ricadute bioetiche.
La ricerca intrapresa scaturisce da un originario interesse per le grandi tematiche della bioetica, con particolare attenzione al tema della sofferenza, inquadrato in quello ben più ampio e complesso del patire umano. L’intento fondamentale dello studio è stato effettuare una ricognizione in primis antropologica e poi etica sulle forme del patire e sull’esperienza della passività, traendo frutto dall’approccio del sapere fenomenologico, non tralasciando però l’orizzonte di un agire attivo nella speranza.
L’indagine sull’esperienza umana della sofferenza è stata, quindi, condotta attraverso diversi livelli di comprensione del dolore: il contesto culturale odierno, caratterizzato dal forte incremento del sapere scientifico, con le discussioni bioetiche più recenti; il sapere filosofico, alla luce della fenomenologia di Max Scheler; infine il sapere teologico, colto a partire dall’esperienza cristiana del dolore, nella sua relazione al senso del patire e del morire di Gesù Cristo.
Il libro presenta il ritratto di dodici cristiani appartenenti a una piccola fraternità di persone omosessuali e transgender. Come succede a ogni cristiano, il loro percorso di fede somiglia più a un sentiero scosceso che a un'autostrada. Ci sono periodi di smarrimento, di lotta interiore, e poi istanti di rivelazioni e di conversione, ma il tratto che li accomuna tutti è una forte esperienza di Dio nella preghiera. Un credente omosessuale o transessuale impiega poco tempo per capire che la sua posizione nella Chiesa non viene riconosciuta come tale, obbligandolo a un percorso di pericoloso avvitamento su se stesso. La non accettazione porta al nascondimento. Il nascondimento porta all'invisibilità. L'invisibilità genera la sensazione di non esistere. Ciò che non esiste non viene considerato. Punto. Per rompere questa catena perversa occorre spezzare qualche anello e far emergere il diritto di essere ascoltati, se necessario anche mettersi a gridare come fece Bartimeo in mezzo all'ostilità dell'entourage di Gesù. L'amore incondizionato che Gesù mostra nei vangeli per ogni uomo e donna che si accosta a lui è il modello da riprendere nella nostra pastorale.
Una raccolta di contributi storici e attualizzanti sull'ambone come spazio significativo nella liturgia cristiana.
Dare un nome alle cose è il punto di partenza. All'inizio della Genesi, Dio, dopo aver creato gli animali, li presenta all'uomo affinché dia loro un nome. Dare un nome alle cose, agli animali, alle persone è evidentemente fondamentale. Perché è il primo passo verso l'identità individuale. Dare un nome al dolore, allora, assume un significato maggiore: individua il problema. Se parlare dell'aborto di un figlio è difficile, è ancora più difficile riconoscere che per questa ragione stiamo vivendo un malessere. Lo stress post-aborto è reale, anche se difficilmente individuabile: senso di vuoto, tristezza profonda, bassa autostima, incapacità di portare a termine le azioni, difficoltà relazionali, chiusura in se stessi. Cominciare a riconoscersi, a vedere che c'è un problema, a dargli il nome giusto, è il passo necessario verso la guarigione.