«Beati i puri di cuore perché essi vedranno dio» (Mt 5,8), dice Gesù. Ma che significa? Evagrio, un cristiano originario del Ponto (ora Turchia settentrionale) che vive nella seconda metà del IV secolo della nostra era, è fra coloro che prendono sul serio questo monito. Perché possa realizzarsi servono due azioni, coordinate l'una all'altra: allontanarsi dal consorzio umano e raggiungere l'impassibilità (apatheia), ossia l'interruzione delle affezioni. Questo è possibile solo affrancando l'essere umano dal vortice dei pensieri, delle parole e delle opere proprie del mondo. Il raggiungimento di questa condizione, con la descrizione di tutte le difficoltà da superare e i passaggi da seguire, è l'oggetto degli scritti di Evagrio, volti a mostrare in modo patente all'"uomo di mondo" (kosmikos) la necessità di lasciarsi alle spalle la consueta forma di vita. Solo affidandosi a un nuovo protocollo esistenziale è possibile giungere alla comprensione antropologica dell'animale umano e alla purità di cuore. Questo è il compito del monachos, ossia del cristiano capace di servirsi della therapeia che permette all'essere umano di vedere con occhi nuovi (ossia conoscere) se stesso, l'ambiente nel quale è posizionato e, alla fine, dio.