Tema del volume è un elemento centrale della rivelazione cristiana: la creazione dell'uomo e della donna a immagine di Dio e del mistero della loro unione nel matrimonio. L'autore sviluppa la sua analisi a partire dalla lettura dei testi di due Padri della Chiesa, Ambrogio di Milano e Giovanni Crisostomo.
Contenuto
Sapere cos’è, qual è o chi è la sapienza non è facile. San Paolo parla di una sapienza che non è di questo mondo… Ma allora come va inteso il «pentateuco sapienziale» (Pr, Gb, Qo, Sir e Sap) oggi? Il fascicolo compie un percorso che riserverà al lettore delle sorprese interessanti a partire dalla rilevante esperienza di inculturazione testificata dall’intera letteratura sapienziale biblica. Dagli orientamenti della ricerca attuale si ricava, infatti, che ci sono nodi da sciogliere come l’identità stessa della sapienza (metafora o persona?), l’innegabile rapporto con la sapienza egizia e mesopotamica (quali dipendenze?), la sua contestualizzazione storica (testi atemporali?), la teologia stessa dei «saggi» da rivalutare in rapporto all’altra Scrittura e alla teologia “sistematica”, ecc. Che sia necessaria oggi una riconsiderazione complessiva del significato della sapienza, per la coscienza umana universale come fulcro stesso della vita e del pensiero, è ormai certo anche per superare le non poche dispute e fraintendimenti presenti nella stessa cristianità. Le risposte dei «saggi», infatti – e il fascicolo le lascia intendere –, sono diverse da quelle strutturate da certi esponenti di teologie congegnate su verità e valori indiscutibili; non sono detentori della verità, ma innamorati di Dio e della sua sapienza radicata nella creazione e nella vita: là dove Dio si fa incontro all’uomo.
Destinatari
* Tutti. * seminaristi, religiosi e religiose, educatori, formatori, catechisti, parroci, insegnati di religione, direttori spirituali, counselor, terapeuti
Autore
La rivista «CredereOggi» è pubblicata dalle «Edizioni Messaggero Padova» sotto la responsabilità dei Frati minori conventuali di sant’Antonio di Padova. Contributi di GIUSEPPE BELLIA - LUCA MAZZINGHI - SIMONE MORANDINI - DINH ANH NHUE NGUYEN - SERENA NOCETI - MARIA CARMELA PALMISANO - MARIAGRAZIA PAPOLA - SERAFINO PARISI - ANGELO PASSARO - SEBASTIANO PINTO - GERMANO SCAGLIONI - MARTINO SIGNORETTO.
I «simboli» sono i grandi unificatori del creato. Anche per capire meglio Maria, la Madre di Dio, dobbiamo creare contatti, instaurare richiami tra parole etra immagini. Esiste allora un termine che esprima tutto di Maria? Che ce l'avvicina e ce la faccia conoscere a fondo? Finora l'attività simbolica si è giocata sull'emergenza di simboli per "rappresentare" Maria, la monografia, invece, parla della stessa Madre di Dio quale "simbolo" della creazione, quale "rappresentanza" piena della creazione. Come Gesù Cristo riassume nella sua natura umana tutta l'umanità e tutta la creazione (uomo universale,l'Adam incorrotto) restaurandone immagine e realtà, così Maria, la madre, rappresenta tutta l'umanità, la creazione intera (la chiesa) che mentre accoglie l'incarnazione del Verbo è la prima, colei che, come Cristo suo figlio, ricapitola in sé tutte le persone e tutte le creature. È un evento così radicale che da allora anche ciascuno di noi è, in realtà, chiamato a diventare come lei (cioè come il figlio): persone che, per mezzo della grazia e per il proprio impegno, vivono aperti su tutti e tutto, non più separati da nessuno e da niente. Così della creazione nei suoi momenti fondamentali: il nascere, crescere, morire, risorgere, ecc. tutto è "rappresentato" in Maria, il simbolo della creazione che tende a Dio.
Come dire Dio nel tempo della tecnica? Quale futuro disegnano tecnica e teologia? Come elaborare una teologia capace di pensare l'agire tecnologico in forme positive? Il rapporto tra teologia e tecnologia oggi è ancora una terra incognita, percorsa da poche strade sensate, che è necessario esplorare. Una riflessione per chi è troppo tecnologico e per chi è troppo teologico.
Mezzi preti o superlaici? Qual è la loro specificità? Nel postconcilio sembrano assodate alcune acquisizioni su questo ministero: preparati sul piano teologico e pastorale, essi sono ministri di Dio tra gli uomini costituiti con ordinazione «permanente» e con un mandato preciso, specifico, proprio, bene identificato nella struttura ministeriale della chiesa. Proprio del ministero diaconale è la diaconia della carità che si esprime nella comunicazione della parola di Dio, si attua nel servizio nelle soglie ecclesiali e sociali e si finalizza nella liturgia. Servono le membra più in difficoltà nell’esperienza ecclesiale, incentivano i germi di fede di chi è sulla soglia, aiutano tutti i laici cristiani a vivere da testimoni di Cristo e a camminare verso il Padre. Però… si è diffuso parallelamente un uso troppo versatile dei diaconi per situazioni le più varie, che hanno mandato in confusione clero e vescovi, da una parte, ma anche laici e laiche, là dove invece sporgere nel ministero. Si sono aperte così molte questioni critiche, che il fascicolo indicizza nella scansione degli interventi. L’obiettivo del fascicolo è quello di delineare alcuni punti fermi per una teologia del diaconato a partire dal confronto con le «fonti» (testi biblici, canonici, patristica, testi conciliari in particolare del Vaticano II, fonti liturgiche) e con le tesi che emergono nei/dai dibattiti teologici postconciliari. In un clima di recessione ecclesiologica il diacono è troppo confinato nelle sagrestie mentre i presbiteri stanno affollando (maldestri) le «periferie». La crisi è evidente.
Sembra che nessun teologo oggi gradisca che il proprio teologare venga catalogato e sbrigativamente incasellato in una «scuola» sia pur «di pensiero». Tuttavia, i teologi quando parlano dei colleghi (vuoi per la location di insegnamento o per l’appartenenza a qualche istituzione/movimento oppure, nel migliore dei casi, per l’epistemologia che addotta nella sua ricerca) si rendono ben disponibili a incasellare il pensiero altrui. Al di là dei termini (scuole? corrente? filoni?...), sullo sfondo di ogni «scuola» veleggia sempre: (1) una filosofia; (2) una dialettica correlata a una filosofia/teologia più organica, preminente se non proprio monopolistica; (3) una congiuntura storico-culturale (ad es. ordini, movimenti) e/o geografica (ad es. università) che polarizza la produzione teologica magari rafforzata da esponenti di marcata personalità; (4) abilità e opportunità tecnologiche che veicolano/traducono cognizioni glocal (teologi influencer). Ma a che servono le «scuole teologiche»? Per scambiarsi idee simile e consociarsi per rafforzare le gracilità individuali? Dal Vaticano II è nato un pensiero capace di coagulare una «scuola»? Un istituto religioso o un movimento è oggi in grado di originare una «scuola teologica», oppure forma epigoni old style? Oggi di fronte alla forte pluralizzazione della teologia e dei teologi di vario «genere» moltissimi ne escono disorientati e sconcertati. In Italia come stanno le cose? Basta l’accorpamento di Facoltà (magari per aree geografiche e discipline) per creare «scuole»? O le tante (poco incisive) «associazioni» di teologi/teologhe? E che dire dei teologi vagantes, visiting… quando è già difficile anche il solo presagio di una appartenenza? Ha ancora senso oggi parlare di «scuole teologiche»?
Destinatari
* Tutti. * seminaristi, religiosi e religiose, educatori, formatori, catechisti, parroci, insegnati di religione, direttori spirituali, counselor, terapeuti
Autore
La rivista «CredereOggi» è pubblicata dalle «Edizioni Messaggero Padova» sotto la responsabilità dei Frati minori conventuali di sant’Antonio di Padova. LORENZO CAPPELLETTI - MAURIZIO GIROLAMI - DAVID KOONCE - GIANLUIGI PASQUALE - GIOVANNI SALMERI - SIMONA SEGOLONI RUTA - ALDO N. TERRIN - NICOLA TOVAGLIARI
Quando si sceglie di diventare preti è sempre forte e anche prioritario il desiderio di vivere quale pastore tra le pecore, inebriandosi del loro «odore», direbbe papa Francesco. Ma poi quando l'«ordinazione» ti ci getta in mezzo ben presto si scoprono come ostacoli e opposizione le incombenze amministrative e burocratiche delle parrocchie. I più avveduti e «aggiornati» si attorniano di (bravi e validi) collaboratori laici, ma ugualmente codici e regolamenti ti sbattono contro responsabilità ancora indelegabili. Si deve corre più per quelle faccende che per la gente. Fino a quando poi qualcuno va a perdere del tutto non solo «l'odore delle pecore», ma anche la passione per il proprio ministero. «CredereOggi» stavolta si fa carico di questo tema, che interessa i parroci, i preti (e diaconi) certamente, ma non solo. Infatti se molti laici capissero questa difficoltà diverrebbe per loro molto evidente che la parrocchia non può funzionare con queste remore o, peggio, se la si bazzica come un ufficio pubblico (per documenti) o come spazio «indisturbato» per sbrigare alcune faccende «spirituali» tramandate dai propri avi. Facile dire: siate preti e non funzionari!; siate pastori e non amministratori! Facile criticare: il parroco non molla l'osso... se poi è impossibile anche solo delegare responsabilità (non solo amministrative). La rivista cerca di evidenziare e analizzare il problema giuridico e teologico sotteso a queste questioni «amministrative», indicando possibili diverse impostazioni possano prepararne il superamento.
Il tema della preghiera affrontato da un punto di vista antropologico.
Assieme alla meditazione, la preghiera è fondamento dell’esperienza umana, al di là di ogni speculazione anche teologica. Il pregare, come il riso e il pianto, è espressione immediata di bisogni e di emozioni personali, è l’umanità che si manifesta nella sua immediatezza.
Quindi, prima di chiedersi l’utilità della preghiera, è necessario interrogarsi sull’originarietà dell’atteggiamento del pregare. a preghiera in questo caso non è solo una consapevolezza olistica cognizione, emozione, azione , ma è una spinta totale, una pressione della realtà dell’uomo che dal percepirsi come diviso e frammentato d’improvviso si coglie unito in s e conciliato. Un’esperienza che apre una breccia per la quale non si sa più se è l’uomo che si rivolge a Dio o se è Dio che si rivolge all’uomo.
I predicatori parlano della Madonna e dei Santi, ma dello Spirito Santo tacciono (E. Guerra)Ne stiamo sempre più prendendo coscienza in maniera evidente: lo Spirito Santo soffia dove vuole.L'uniformità contraddice l'azione dello Spirito Santo, che si manifesta nella varietà dei doni.San Francesco esortava tutti ad «avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione»
«Credere in Dio» è spesso compreso come il possedere un insieme di conoscenze e di ragionamenti attorno alla trascendenza. Se invece guardiamo ai suoi aspetti concreti e vissuti ci accorgiamo che non è tanto o solo un affare mentale, ma ha a che fare con ricordi, eventi, parole significative, relazioni dinamiche accompagnati da sentimenti, emozioni, stati d’animo che sembrano dare calore e colore, movimento e concretezza. La fede inizia e cresce con il vedere, sentire, ascoltare e toccare... mediante una sensibilità che è propria dell’essere umano. Qual è la relazione tra questo vissuto e l’esperienza della fede? Un percorso interdisciplinare che apre un itinerario di ricerca e di approfondimento del vissuto di ogni credente.
Uno studio di ricerca dedicato agli Scritti di san Francesco d’Assisi, con l’obiettivo di riconoscere la qualità cristiana delle relazioni di cui i testi danno testimonianza. Vengono scandagliati i documenti testuali che la tradizione francescana ascrive all’Assisiate, individuando le caratteristiche fondamentali che connotano il modo di rapportarsi con Dio e con l’altro da parte dei fratelli minori, al fine di approfondire sotto il profilo teologico i punti nevralgici dei diversi legami vissuti e propiziati da san Francesco.
Destinatari
Tutti, in particolare appassionati di francescanesimo.
Autore
ANTONIO RAMINA, minore conventuale, è docente di teologia spirituale e di spiritualità francescana presso la Facoltà Teologica del Triveneto. Laureato in lettere all’Università di Padova, ha conseguito il dottorato in teologia presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (Milano). Attualmente vive nel Convento «Sant’Antonio Dottore» (Padova), dove svolge il compito di educatore accompagnando nella formazione iniziale i frati di professione temporanea appartenenti alla propria famiglia religiosa.