Nell’Antico Testamento, l’alleanza di Dio con Mosè del libro del Deuteronomio diventa fatto identitario per Israele.
Nel Nuovo Testamento siamo di fronte a una «nuova alleanza», per secoli interpretata come il superamento di quella con il popolo originariamente eletto, secondo una logica sostituzionista, e solo di recente reinterpretata, grazie al concilio Vaticano II, in continuità con l’alleanza stabilita da Dio con Israele.
La sezione della rivista dedicata alla “Vita della Chiesa” interpreta l’alleanza come alleanza con il creato.
È la sinodalità la panacea di tutte le strozzature istituzionali della Chiesa? È forse la sola risposta possibile alle inerzie degli ultimi due secoli? È la variante cattolica di una democrazia che arriva nella comunità ecclesiale quando è sotto pressione nel grande gioco della politica? Questo libro non intende fornire una risposta a tali domande, ma spiegare che sono sbagliate, per due motivi. Il primo è che nella storia la sinodalità è un'esperienza mutevole, cangiante, duttile, ma riconoscibile per essere efficacie nei tempi di crisi; un'istituzione funzionale, indubbiamente estranea alla "costituzione" della Chiesa, rivelatasi essenziale per enunciare la fede e vivere la comunione. Essa non è dunque un unguento magico per guarire le piaghe che affliggono la Chiesa cattolico-romana, ma una prassi di cui si può fare uso. E diverse voci qui raccolte forniscono alcune istruzioni in merito. Il secondo motivo riguarda il significato storico dell'evento conciliare dal quale ha riavuto ha riavuto diritto di cittadinanza nella chiesa latina: il Vaticano II non ha fornito un filtro meccanico per distillare una teologia astratta della sinodalità, ma ha posto la Chiesa in una prospettiva di conciliarità. Ed è di questo che il sinodo può prendere coscienza. Contributi di Alberto Melloni, Giuseppe Ruggieri, Severino Dianich, Marcello Semeraro, Christoph Theobald, Declan Marmion, Antonio Spadaro, Carlos María Galli, Giuseppe Alberigo.
Girolamo Zanchi nacque ad Alzano, presso Bergamo, nel 1516. Entrato nell'ordine dei Canonici Lateranensi, studiò teologia a Padova. Scoprì l'Evangelo a Lucca mediante il priore dei Canonici Pier Martire Vermigli. Scappato dall'Italia nel 1551, studiò a Ginevra, dove strinse amicizia con Calvino, insegnò Antico Testamento a Strasburgo per dieci anni, contrastando la confessionalizzazione luterana della chiesa. Poi fu per quattro anni pastore a Chiavenna, in Valtellina, presso la più importante chiesa riformata di lingua italiana della Valle (poi ricattolicizzata con il sacro macello del 1620), ma si dimise per contrasti con il Concistoro. Gli ultimi vent'anni di vita li trascorse tra Heidelberg, la più importante università tedesca, dove insegnò Antico Testamento e dogmatica, e Neustadt, dove insegnò al collegio teologico Casimirianum. Morì a Heidelberg nel 1590 e fu seppellito nella chiesa dell'università. Zanchi legò con la sua vita l'esperienza della Riforma in Italia e della Scolastica calvinista. Scrisse di teologia a tutto campo, dialogando con tutta la scienza del suo tempo. E' considerato tra i padri della dottrina della predestinazione e della perseveranza dei credenti come saranno stabilite dal Sinodo di Dordrecht (1618-1619).
L'opera che qui si presenta per la prima volta in versione italiana, il "De religione christiana fides" (1585), nacque come sintesi della dottrina riformata del tempo, affidata a Zanchi per costituire un pendant calvinista al Libro di Concordia delle chiese luterane, stabilito nel 1580. Tramontata l'ipotesi di una Confessione di fede comune per tutti i riformati d'Europa, Zanchi pubblicò l'opera come confessione di fede propria e della propria famiglia. La divisione in 30 loci e il sostrato aristotelico-tomista la avvicinano di più a una dogmatica in sintesi dell'ortodossia riformata che a una vera e propria confessione di fede.