Ultimo difensore della religione olimpica dopo la conversione di Costantino, l'imperatore Flavio Claudio Giuliano fu guerriero e filosofo, protagonista di un'epoca di violenta trasformazione. Per i cristiani era "l'Apostata", un persecutore, eppure Giuliano credeva ancora nella tolleranza, e se guardava con nostalgia alla perduta armonia greco-romana dell'uomo con il mondo, il suo paganesimo era intriso dei nuovi valori evangelici. Un eroe diviso, al quale Merezkovskij ha dedicato il più celebre dei suoi romanzi storici, costruendo attorno a Giuliano l'imponente affresco della lotta tra due verità equivalenti e incociliabili, quella celeste e quella terrena. In questa guerra di eserciti e di idee, che devasta l'impero del IV secolo, lo scrittore russo ritrova i tormenti spirituali e politici dell'Europa lacerata di fine Ottocento, così come i segni di una crisi - e di un'incessante ricerca di equilibrio - che attraversa la storia dell'umanità. Pubblicato nel 1895 e primo grande romanzo del simbolismo russo, "La morte degli dei" apre la trilogia "Cristo e Anticristo", che comprende anche "La rinascita degli dei", su Leonardo da Vinci, e "L'Anticristo" su Pietro il Grande.
Pensatore vivace e poliedrico, che ai molteplici interessi univa una profonda conoscenza dell'esperienza umana, Robin George Collingwood è stato autore di numerosi scritti di filosofia ed estetica, nonché di contributi importanti alla storia e all'archeologia romana. Pubblicata nel 1939, pochi anni prima della morte, l'"Autobiografia" ripercorre la sua vicenda personale e accademica attraverso l'esposizione dei risultati più originali del suo pensiero. Vengono così presentate e dibattute nelle loro reciproche connessioni la "logica della domanda e della risposta", la concezione della metafisica quale scienza storica diretta a determinare i presupposti di ogni dottrina filosofica, e quella della storia come autocoscienza dello spirito e scienza delle cose umane; oltre all'esame di quei problemi storici e archeologici concreti che costituiscono il campo d'applicazione delle sue teorie epistemologiche. Intrisa di riferimenti all'idealismo crociano, l'"Autobiografia" è anche una reazione contro la scuola imperante del "realismo", responsabile secondo Collingwood dell'involuzione della filosofia inglese. Grazie a una non comune capacità argomentativa, per cui anche le pagine più dense di passaggi logici hanno sempre una chiarezza e semplicità esemplari, l'"Autobiografia" può essere considerata ancora oggi la migliore introduzione all'universo mentale di Collingwood.
Il pentimento non è il semplice rifiuto di ciò che si è stati, ma è la volontà determinata ad essere diversi, a individuare la profondità delle proprie colpe e a liberarsi da esse per rinascere a nuova vita. Nelle pagine di questo libro, pubblicate nel 1921 all'interno della sua opera "L'eterno nell'uomo", il filosofo Max Scheler analizza lo spontaneo emergere del senso di colpa che segue gli effetti negativi delle azioni di cui siamo praticamente e moralmente responsabili. Pentirsi significa riconoscere la colpa come propria e, così facendo, elevarsi al di sopra dell'errore compiuto e predisporsi a futuri comportamenti virtuosi. L'autentico pentimento si rivela allora una delle vie più complesse, e spesso dolorose, che mettono in relazione la finitezza della nostra persona umana con l'infinita misericordia divina. Nonostante il riferimento dichiarato alla dottrina cattolica, la riflessione di Scheler supera l'orizzonte confessionale e afferma la possibilità, non potendo eliminare il male, di superarlo volta per volta attraverso l'incessante lavoro su noi stessi. Introduzione di Angela Ales Bello.
Un treno merci partiva quasi ogni martedì dal "campo di transito " di Westerbork, in Olanda, portando il suo carico di esseri umani verso la Polonia, verso Auschwitz. Più di centomila furono i deportati alla fine della guerra, cinquemila i superstiti. Da Westerbork passarono anche Anna Frank e Edith Stein, e a Westerbork visse i suoi ultimi giorni la giovane scrittrice Etty Hillesum, osservando, scrivendo, aiutando i suoi simili e continuando a vivere fino all'ultimo, fino a quando anche lei dovette salire sul treno. In queste due lettere, scritte nel dicembre 1942 e nell'agosto 1943, Etty racconta il luogo dell'umiliazione e l'attesa della morte, guarda le persone famiglie, anziani, bambini -, parla con loro, mostra i preparativi per la partenza nella notte, la dignità, la paura, descrive i volti dei soldati. L'autrice, che per il suo ruolo nella comunità avrebbe avuto la possibilità di salvarsi, adempie al suo dovere di testimone come chi sembra aver superato speranza e disperazione, ma vive e scrive in perfetta armonia e sa cosa deve fare: aiutare gli altri. "Aiutare Dio". Le due lettere, tramite un'amica di Etty, vennero pubblicate clandestinamente dalla resistenza olandese nell'autunno del 1943. Per proteggere le persone coinvolte ed evitare sequestri, l'editore David Koning le aveva fatte precedere dalla biografia fittizia di un pittore di nome Van Der Pluym e aveva poi aggiunto alla fine una lettera falsa...
Piero Martinetti - "grande rimosso" della filosofia italiana e "pensatore di statura europea", nelle definizioni di Massimo Cacciari - si confronta con l'opera capitale di Spinoza, uno dei fondamenti della filosofia moderna. Spinoza appare agli occhi di Martinetti, un "mistico della ragione", il cui pensiero è accostabile, per tragitto di ricerca, a quello di altri grandi spiriti dell'umanità che, come Lev Tolstoj, seppero far rinascere la religione nel grembo della ragione. Il commento di Martinetti si sviluppa dunque sotto la luce di un'affinità profondamente vissuta, sempre messa alla prova dall'analisi del testo in una costante tensione morale. Al centro, rimane la necessità di trasformare la realtà attraverso la conoscenza e di raggiungere una vera libertà. Libertà che consiste nell'avere conoscenza dei propri affetti e nel saperli, di conseguenza, dominare.
Fede e potere presenta la prima versione del commento al capitolo 13 della Lettera ai Romani, ed è un testo cardine e fondativo nello sviluppo del pensiero di Karl Barth, che nasce dalla sua esperienza di pastore a Safenwil. A Safenwil, Barth dà vita a una "chiesa locale", partecipando anche alle lotte politiche e sindacali del villaggio mentre, nelle sue prediche, la parola biblica s'intreccia con le tematiche sociali. In quegli anni molto vicino al socialismo e attivo nel movimento operaio, il teologo prende però progressivamente le distanze dalla tentazione di un Cristianesimo sociale, visto come interpretazione riduttiva del messaggio di Cristo, ma ribadisce la libertà della fede e, insieme, la necessità della formazione politica della coscienza, unita al dovere, per il credente, di lottare per la salvezza generale dell'umanità. Per Barth, il cristiano non appartiene allo Stato perché appartiene a uno "Stato superiore" e la sua libertà si fonda sull'indipendenza da qualsiasi ideologia o forma di governo, che può essere tollerata, ma non venerata o considerata di per sé un valore. La forza rivoluzionaria di queste parole di Karl Barth è un seme che darà numerosi frutti nel pensiero politico e religioso fino ai nostri giorni.
Il periodo trascorso a Marsiglia tra il 1940 e il 1942, in attesa di imbarcarsi per gli Stati Uniti, rappresenta per Simone Weil una stagione di fioritura delle amicizie e un momento di straordinaria ricchezza e fecondità del pensiero e della scrittura. Il numero di lettere inviate a familiari e amici è impressionante, ma quel che più stupisce è la maniera in cui la sincerità degli affetti si coniuga con la ricerca della verità, che si va facendo sempre più pura e assoluta. Di questa continua vibrazione interiore dà testimonianza la prima parte di questo libro che ricostruisce la complessa esperienza culturale e sentimentale vissuta a Marsiglia, proponendo le lettere che Simone invia a due amici, con i quali la parola scritta si offre come l'unico strumento di conoscenza reciproca. Sono Joë Bousquet, il poeta di Carcassonne, paralizzato in seguito alle ferite riportate durante la Prima Guerra Mondiale, e Antonio Atarés, contadino anarchico aragonese, prima rinchiuso nel campo d'internamento del Vernet e poi spedito a Djelfa, sull'altopiano algerino. Il volume si chiude con la nuova traduzione di alcune pagine, tratte da Le forme dell'amore implicito di Dio, in cui si condensa la splendida, vertiginosa concezione dell'amicizia elaborata e concretamente vissuta da Simone Weil.
Questo romanzo scritto in yiddish da un ebreo praticante, narra la storia di Gesù di Nazareth attraverso le testimonianze di tre suoi contemporanei: un soldato romano, Giuda Iscariota, e un giovane studente rabbinico. La narrazione si basa sull'idea di trasmigrazione delle anime e a dare voce ai tre personaggi sono uno storico polacco, che riferisce di una sua vita precedente in cui era uno degli scagnozzi di Ponzio Pilato; un manoscritto attribuito a Giuda; e, infine, il giovane assistente ebreo dello storico. I tre racconti compongono un quadro vivido, ricco di dettagli storici e riflessioni filosofiche, del passaggio di Gesù sulla Terra, soffermandosi sui suoi sermoni più enigmatici e contestualizzando il suo ministero a favore dei poveri e degli esclusi. Pubblicato negli USA nel 1939, il romanzo è stato acclamato dalla stampa di lingua inglese, ma ha alienato ad Asch, allora al culmine della notorietà, le simpatie del pubblico ebraico. Il Nazareno è il primo capitolo della trilogia di cui fanno parte anche L'Apostolo (1943, edito da Castelvecchi nel 2012) e Maria (1949).
Arrestato a Venezia nel maggio del 1592, Giordano Bruno è costretto a difendersi dall'accusa di eresia di fronte al Tribunale dell'Inquisizione: è l'inizio della lunga e dolorosa trafila processuale che, quasi otto anni dopo, lo condurrà sul rogo. Le sue prime deposizioni, raccolte in questo libro accanto agli interventi dei giudici e dei testimoni, sono la traccia di un profilo autobiografico intenso e sofferto, che del filosofo ci restituisce anche il carattere, lasciandolo emergere nella serrata corrispondenza tra le scelte di vita e gli sviluppi del pensiero. È una confessione resa sotto minaccia, un'abile mistura di verità, intelligenza oratoria e dissimulazione, eppure Bruno rimane orgoglioso anche nell'atto di chiedere perdono. Le sue parole, allora, ci aiutano a comprendere come la scelta di consegnarsi al martirio fu il risultato di una progressiva presa di consapevolezza del proprio ruolo di libero portatore di verità: un'estrema affermazione di autocoscienza. Selezionata e commentata da Michele Ciliberto, tra i maggiori studiosi del filosofo nolano, questa insolita autobiografia, oltre che un'introduzione all'opera del filosofo, è così anche una chiave per decifrarne le complesse ragioni, al di là di stereotipi e mitologie consolidate.
Nel percorso esistenziale di Sergio Quinzio, la riflessione ha sempre accompagnato il vissuto, lo ha assunto e dispiegato senza attenuazioni, spingendosi a indagare l'abisso scandaloso della sofferenza. In questa lunga intervista, realizzata nel 1991 dall'amico e "allievo" Leo Lestingi, il teologo ripercorre per la prima e ultima volta le tappe fondamentali della propria vita, rievoca le vicende, gli affetti, gli incontri che più l'hanno segnata. E lo fa con la precisione, il pudore e la profondità che gli sono propri. Il dialogo prende così la forma di un testamento spirituale, che testimonia l'ampiezza della sua ricerca, la continua messa alla prova del pensiero e la disperazione di fronte alla Storia coesistente alla speranza inestinguibile nella Salvezza. Una salvezza "povera", che darebbe finalmente senso a tutto il male del mondo, attesa nella fede in un Dio sensibile alla sofferenza e alla morte. Non onnipotente, ma tenero.
"Per quale ragione si compie allora l'azione morale? Perché Giordano Bruno ha salito il rogo? Forse per la semplice pazzia di non voler ritrattare la propria fede?". In questo libro, pubblicato postumo nel 1942 a cura dell'allievo Alessandro Fersen, Giuseppe Rensi affronta il problema del fondamento razionale dell'etica. Ribadendo l'impossibilità di una dottrina morale universale che sappia guidare la vita in tutti i suoi aspetti, privati e politici, il filosofo conduce una critica serrata delle teorie utilitariste - a cominciare dai padri Jeremy Bentham e John Stuart Mill - e accetta i rischi di una riflessione che si gioca ormai sul confine del nichilismo. Preso atto del fallimento di qualunque giustificazione razionale, l'unica motivazione che possiamo accordare all'agire morale è l'assenza di ragione, la pazzia, magari portandoci a postulare l'esistenza di un demone - il daimon socratico - che ci spinge a operare il bene, anche contro la nostra convenienza e la nostra incolumità. Una morale, dunque, al di là del principio di piacere, anormale, essenzialmente spiritualistica, fondata sulla convinzione che non esistono autorità indiscutibili e inattaccabili che possano essere chiamate a garanzia delle nostre scelte. Prefazione di Nicola Emery.