Tra il 1914 e il 1991 il mondo è stato scosso da conflitti, rivoluzioni e stravolgimenti sociali senza precedenti: il "secolo breve" delimitato dalla Prima guerra mondiale e dal crollo del regime comunista è stato un periodo di straordinario progresso scientifico e di guerre totali, di crisi economiche e di grandi periodi di rilancio e di benessere, di mutamenti nella società e nella cultura. Un "secolo breve" anche per l'accelerazione sempre più esasperata impressa agli eventi della storia e alle trasformazioni nella vita degli uomini. In questo volume Eric J. Hobsbawm ripercorre i grandi eventi del Novecento attraverso la doppia lente dello storico e dell'"osservatore partecipe", delineando un panorama vivido ed esauriente di un periodo che non ha solo studiato come ricercatore ma anche vissuto come uomo.
Qual è il destino della nostra cultura ora che il mondo in cui è nata non esiste più? Eric Hobsbawm ha dedicato ampio spazio ai mutamenti, profondi e irreversibili, che hanno costellato la storia sociale e culturale del Novecento. Questi saggi, in gran parte inediti e qui per la prima volta raccolti in volume, tracciano la storia tutt'altro che lineare della nostra cultura per metterne in luce le tortuosità, le involuzioni, ed esplorarne le prospettive. Lo fanno spaziando da quel poderoso carico di credenze e valori che è stata la civiltà borghese mitteleuropea al mito americano del cowboy, da Paul Klee a Vivienne Westwood, fino alla straordinaria ondata di produzione creativa degli ultimi anni. Materiali, idee, storie personali e collettive che del secolo breve, ma interminato, echeggiano tutta la complessità, le interferenze, gli attriti.
Marx il profeta, lo "scienziato", il filosofo della prassi: che cosa resta, in questo primo scorcio di terzo millennio, del pensatore forse più discusso, temuto e influente degli ultimi centocinquant'anni? Con questa raccolta di articoli e studi, redatti nell'arco di quasi sessant'anni ma rielaborati per l'occasione, il principale storico marxista si pone alla testa di una tendenza che da qualche tempo, dopo l'eclissi degli anni Ottanta e Novanta, sta riportando a una rilettura radicale dell'autore del Capitale. Perfino i detrattori - soprattutto all'indomani della crisi finanziaria - hanno dovuto riconoscere la forza e la lucidità del suo pensiero. Non più imbalsamato da opposte ideologie, Marx può essere considerato per quello che è sempre stato: un grande pensatore, uno stilista esemplare, un pioniere. Con l'autorevolezza di un maestro della storiografia, Hobsbawm ricostruisce l'ambivalente epopea del marxismo, dai moti del 1848 alla caduta del muro di Berlino, dal Gramsci dei Quaderni, oggetto di un caloroso tributo, al crollo dell'Urss. Sedici saggi che indagano la genesi di opere fondamentali, dal Manifesto del partito comunista al Capitale, passando per gli ermetici Grundrisse; ne studiano, dati alla mano, la circolazione e la diffusione; interrogano la fortuna e le metamorfosi del pensiero marxista in alcuni momenti chiave, come l'Inghilterra tardo-vittoriana, l'Europa fascista, la Guerra fredda, il 1989, ponendo il problema di una scomoda eredità.
Lo Stato ha esaurito la sua funzione storica? Uno Stato che, come sta accadendo a quelli occidentali, ha rinunciato alla leva obbligatoria e ha privatizzato progressivamente settori come la scuola, la sanità, la previdenza, su quali elementi può ancora reggersi? E non è proprio la crisi dello Stato, un tempo detentore del monopolio della violenza, a scatenare l'esplosione del terrorismo? Sono le domande cruciali che si pone Hobsbawm in questo testo breve e incisivo. In un'epoca in cui le democrazie sono in crisi di rappresentatività in Occidente e stentano ad affermarsi altrove, sembra esserci spazio solo per quel "nazionalismo accelerato", fondato su vere o presunte basi etniche o religiose, che costituisce con il suo braccio armato, il terrorismo, una delle più gravi minacce che incombono sul nostro futuro. Con la profondità di pensiero e l'appassionata verve polemica che ne fanno uno dei più autorevoli storici del nostro tempo, Hobsbawm ci fornisce alcune chiavi di lettura per comprendere il mondo in cui viviamo.
La "gente non comune" protagonista di questi saggi è quella che viene di solito considerata proprio "gente comune", senza nome e senza storia, e che non solo costituisce la massima parte della razza umana, ma ha un ruolo fondamentale nella storia. Così l'autore studia episodi significativi che hanno per protagonisti gli uomini e le donne delle classi "inferiori" fra la fine del Settecento e il Novecento: dalla protesta anti-industriale dei luddisti che distruggevano le macchine alla nascita della festa del Primo maggio, dalla vicenda del bandito Giuliano agli eroi del Jazz, dalla dinamica della guerriglia in Vietnam a quella della caccia alla streghe del senatore McCarthy.
La storia dell'Età degli imperi è quella del "mondo e della società del liberalismo borghese avanzante verso 'la strana morte'... che la coglie proprio quando essa raggiunge il suo apogeo, e a causa proprio delle contraddizioni insite in questa sua avanzata". Con uno stile espositivo intelligente, Hobsbawm accompagna il lettore alla scoperta di un mondo apparentemente lontano e lo rende consapevole delle profonde radici che legano quel mondo al nostro secolo breve. (Vittorio Vidotto)
Tra il 1848 e il 1875 l'economia capitalistica estende la sua influenza su tutti i continenti, trasformando o semplicemente subordinando le realtà più diverse. L'ideologia liberista si afferma in Europa e negli Stati Uniti che insieme costituiscono il centro propulsore della grande trasformazione. Grandi concentrazioni di ricchezza, vasti movimenti di popolazioni, sviluppi straordinari e concrete applicazioni della tecnologia su larga scala caratterizzano questi decenni. Sul piano politico, la rivoluzione, che ha dominato la scena nei settanta anni precedenti, scompare dall'orizzonte.