Con "Ifigenia in Taurine" Euripide porta il caos sulla scena sostituendolo all'ordine cosmico: gli equilibri sono rivoluzionati, le gerarchie sovvertite fino al ricatto posto da un uomo a un dio, i grandi scopi, le forti tensioni morali perdono consistenza e si degradano, diventano obiettivi circoscritti, personali, intrisi di egoismo. Goethe giudicò "Baccanti" la più bella delle opere di Euripide: ambigua e ricca di molteplici interpretazioni, è la tragedia della debolezza umana di fronte agli spietati e imperscrutabili disegni della divinità, il dramma della ragione che tenta di opporsi all'estasi dionisiaca, alla sua promessa di far svanire le sofferenze della vita.
Ripensare alle Baccanti significa ripensare alla cultura dell'antica Grecia. Ma quale cultura? Quella della filosofia e della letteratura o quella della gente incolta? Euripide, intellettuale raffinato, rifiuta una visione elitaria del sapere, e crea una tragedia straordinaria, con risvolti profondamente conflittuali rispetto alla tradizione. C'è un dio, Dioniso, che inganna e vince ma senza esiti trionfalistici; c'è un antagonista, Penteo, che viene beffato e fatto a pezzi dalla sua stessa madre: impulsi selvaggi, spettacolarità esasperata, e però anche pietà e sofferenza. L'edizione, curata da Vincenzo Di Benedetto, propone un commento sistematico, che si accompagna a un riesame critico del testo originale e a un'analisi dei moduli scenici.
Scritta nel momento del tramonto politico di Atene, "Le Baccanti" sono considerate uno dei capolavori del teatro mondiale. Al centro del dramma di Euripide (480 - 406 a.C.) c'è il creatore stesso della tragedia, Dioniso. Ma la divinità che compare sulla scena non è il civilizzato signore del vino e dei banchetti, con cui il popolo ateniese è abituato a convivere; recuperando gli aspetti più selvaggi del suo culto, Euripide ne fa sostanzialmente un sovvertitore.
La storia di Elettra, la figlia di Agamennone che, per vendicare il padre assassinato, ordisce il matricidio e quella delle madri dei sette eroi caduti all'assedio di Tebe che supplicano di riavere le spoglie dei loro cari.
La storia della regina Ecuba e delle altre donne troiane spartite come bottino di guerra tra i vari re greci conquistatori di Troia e quella del supremo eroe Eracle che, tornato a casa dopo le sue celebri dodici fatiche, viene reso folle dalla crudele dea Era e stermina la sua stessa famiglia.
Rappresentata nel 438 a.C., Alcesti è la più antica fra le tragedie di Euripide a noi pervenute. Ispirata a un mito di cui si narra anche nel Simposio di Platone, essa mette in scena una storia d'amore, che ha per protagonisti il re di Tessaglia Admeto e la sua sposa Alcesti. Admeto ottiene da Apollo la possibilità di sfuggire alla morte, a patto che un altro si sacrifichi in sua vece. E a dare la vita per lui non sono i vecchi genitori, né gli amici fidati, ma la giovane moglie. La tragedia, poi conclusa dall'intervento benefico di Eracle che strappa la donna alle divinità infernali, dà la misura del talento creativo di Euripide, capace di penetrare zone inesplorate dell'emotività umana.