Al fine di navigare meno pericolosamente in questa epoca di transito, in questo volume Giuseppe Colombo scandaglia le proposte dell'universale antropologico dell'umanesimo classico e del post-umano. Entrambe, quando definiscono il 'genere uomo', presumono di formulare un giudizio universale pacificante. L'antico e il nuovo Edipo conosce l'essenza dell'uomo e annienta la Sfinge, il caos: sapere è potere. Quando però si tratta di passare dalla conoscenza del genere astratto a quella del singolo concreto, la riduzione antropologica dell'universale (l'essenza 'eterna') al particolare (l'uomo in carne e ossa 'finito') si incarica di 'esistenzializzare' e 'personalizzare' il male, la sofferenza, la morte. Viene allora annientata la presunzione di conoscere e dominare il proprio io e il proprio destino. L'Edipo trionfante si rovescia nell'Edipo annichilito. S'impone allora una radicale rivisitazione dell'universale antropologico.
Cristo e Buddha, Socrate e Platone, Spinoza e Kant, Fichte e Schopenhauer. Poi i maestri in persona e in libro della Torino di fine Ottocento e della filosofia accademica tedesca. E ancora, la sofferenza viva e partecipata per il dolore del mondo e il desiderio di giustizia, di liberazione e di felicità. Queste le profonde radici dell’avventura spirituale e intellettuale del filosofo Piero Martinetti (1872-1943). Di Martinetti colpisce la sorprendente influenza esercitata, come professore e come maestro, con l’insegnamento e l’esempio di vita (fu tra i pochissimi docenti universitari che non giurarono fedeltà al fascismo), su molti illustri intellettuali che variamente hanno contribuito a ‘fare’ l’Italia di oggi: Bontadini, Gadda, Del Noce, Geymonat, Bobbio...
La sua proposta filosofica appare di sconcertante attualità: la filosofia come soteriologia, cioè come strumento di salvezza, che si identifica con il «relativismo religioso» facendo dello stesso Martinetti una sorta di «Socrate cristiano». Il cristianesimo, «dogmatico» e «intollerante» della Chiesa cattolica, viene svuotato e ridotto a una sorta di stoicismo (sono eliminati il Cristo-Dio e le dottrine della creazione, del peccato e della redenzione); quindi viene ‘sposato’ con l’indeterminismo teologico indiano e con l’immanentismo idealista. Ogni uomo si crea così una religione personale e, in modo autoerotico e gnostico, tenta di procurarsi la salvezza, ben sapendo però di rimanere un amante inappagato da quel Dio nascosto, conoscibile soltanto in modo simbolico, irraggiungibile e, soprattutto, inoperante, perché non conosce e non ama gli uomini.
Giuseppe Colombo (Milano 1950) è professore associato nella Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e, nella sede di Brescia, insegna Filosofia morale e Teoria della persona e della comunità. Da oltre quindici anni, inoltre, collabora stabilmente con un’importante casa editrice nel campo dell’editoria scolastica. I suoi studi e le sue pubblicazioni spaziano dalla metafisica e dall’antropologia (Conoscenza di Dio e antropologia, Milano 1988) alla teologia e filosofia cristiane (Invito al pensiero di sant’Anselmo, Milano 1990) e alle tematiche morali e bioetiche (Salute e salvezza dell’uomo: il male e la sofferenza una sfida per la ragione e per la fede, in AA.VV., Il dolore e la medicina: alla ricerca di senso e di cure, Firenze 2005).
Il presente volume viene ad aggiungersi agli studi sulla storia della filosofia italiana, e in particolare alle opere Della Volpe premarxista: l’attualismo e l’estetica (Roma 1979) e Scienza e morale nel marxismo di Galvano Della Volpe (Milano 1983).