Vibranti testimonianze dei temi della guerra e dell'emigrazione, le tre storie di questo volume svelano una Nina Berberova alle prese con il genere a lei più congeniale: il racconto lungo. In un paesino della Francia, mentre incombe la minaccia della guerra e si avvicina il momento della fuga, uno straniero bussa alla porta di Marija Leonidovna. È davvero un musicista, una sorta di Mozart redivivo, oppure è una spia? Nello stesso periodo una biblioteca russa nel cuore di Parigi, a cui Turgenev donò i propri libri, luogo di studio per i rivoluzionari emigrati, viene strappata dalla storica sede e trasferita in Germania. Poco dopo la fine della guerra, un uomo lascia le rovine dell'Europa e approda nella metropoli di un altro continente. Una città senza passato, dove ricominciare da zero una nuova vita e una nuova era.
Roquenval è un luogo incantato e fuori dal tempo, dove il giovane Boris viene invitato a trascorrere l'estate da un amico. Qui, Boris, emigrato in Francia con i suoi genitori dalla Russia, ritrova il ricordo remoto della casa del nonno e inizia un'ansiosa ricerca delle proprie origini. La parabola struggente di Roquenval e dei suoi abitanti sembra indicare un'assorta riflessione sul ciclo inesorabile del tempo, che nemmeno il potere fantasmatico dell'immaginazione può sperare di interrompere. Breve parentesi nella vita di un giovane, l'estate a Roquenval è una sorta di prova generale dell'esistenza, che autorizza Boris, quando il momento è giunto, a tirare il sipario sulla scena del vecchio castello, per pensare al proprio futuro.
Aiuto contabile in un'azienda diretta da una macchina, l'anonimo protagonista di questo racconto decide di godere in riva al mare le tre impreviste giornate di ferie che la macchina gli ha concesso. E così che comincia il suo viaggio attraverso una città altrettanto anonima, che però non tarda a rivelarsi come sterminata - non una ma nove città, come quelle che Schliemann dovette riesumare prima di approdare alle vestigia di Troia -, mentre intanto prendono corpo le sue fantasticherie su come far guadagnare tempo e spazio all'umanità. Il "Racconto delle nove città" (il cui titolo originale è letteralmente "In memoria di Schliemann") era il racconto prediletto di Nina Berberova, il più moderno secondo una scrittrice che considerava fondamentale l'essere interpreti del proprio tempo. Si tratta di un racconto anti-utopico, ambientato in un futuro 1984 che vuole essere un esplicito omaggio a Orwell; un racconto molto diverso da quelli del periodo in cui la Berberova viveva in Francia, dopo l'esilio dalla Russia natale. Qui non si ritrovano né emigrati russi né ricordi della Russia perduta, e anche i temi più consueti della scrittrice - lo sradicamento dei personaggi, la loro solitudine, lo stesso tema dell'esilio - ritornano sì in questa narrazione, ma spogliati ormai da ogni connotazione realistica.
Nell'atmosfera malinconica che permea la comunità russa a Parigi negli anni che seguono la Rivoluzione d'ottobre, Sonja, Dasa e Zaj sono tre sorelle in esilio, figlie di uno stesso padre, russo, ma di madri diverse. Sono giovani, desiderose di dare un senso alla propria vita. Dasa, la più solare e concreta, mira a trovare un equilibrio per sé e per gli altri, anche a scapito della propria felicità. Sonja, la più colta e intellettuale, è uno spirito inquieto e va incontro alla sorte tragica di chi punta all'assoluto. Zaj, la minore, giunta per ultima a Parigi, non ha ancora trovato la sua strada e si affida all'istinto: tenta con il teatro, si innamora di un giovane studente, si impiega da un libraio, dove scopre la letteratura e il profumo dei libri freschi di stampa. Tutt'intorno il mondo dell'emigrazione russa a Parigi: gente che si barcamena per stare a galla, che si è più o meno integrata nella grande capitale, che si frequenta e conserva alcune usanze, mentre a poco a poco ne dimentica altre. Sullo sfondo, la Russia, una presenza fisica che incombe, travolgendo la storia personale di ognuno.
Il fascino e l'invidia, la sottile crudeltà e l'ambivalenza, le sfumature e le ombre nel rapporto tra due donne di diversa condizione e fortuna. Il legame tra una povera pianista - l'accompagnatrice - e una cantante di successo. Scritto nel 1934 e pubblicato nel 1985 in Francia, è stato accolto con grande favore dalla critica e dal pubblico, imponendo all'attenzione una scrittrice che con Blok e Gorkij, Pasternak e Nabokov, e i molti altri autori da lei frequentati, appartiene a pieno titolo alla storia letteraria e intellettuale del Novecento.
Apparso in russo a puntate nel 1930 sulla rivista "Annali contemporanei", "Gli ultimi e i primi" è il romanzo d'esordio di Nina Berberova. Il romanzo, benché opera prima, ha però un suo fascino tutto particolare, a cominciare dai protagonisti - russi immigrati in Provenza all'indomani della Rivoluzione d'Ottobre - gli "ultimi" di un mondo che non vuole morire e i "primi" di un'epoca ancora da scrivere.
Scritta nel 1937, questa biografia di Borodin appartiene cronologicamente all'epoca dei romanzi brevi che hanno consacrato internazionalmente la gloria letteraria di Nina Berberova, nata a San Pietroburgo nel 1901 ma solo pochi anni prima della morte, avvenuta a Filadelfia nel 1993, arrivata all'attenzione dei lettori di tutto il mondo. Come dichiara l'autrice stessa nella nota iniziale, nulla in questa biografia è inventato. E tuttavia la vita del musicista vi è qui raccontata nello stesso stile, con la stessa concisione, la stessa agilità narrativa che abbiamo potuto ammirare in opere come "Il lacchè e la puttana" e "L'accompagnatrice".