«Ho deciso di scrivere questa lettera perché vorrei che ogni vecchio, uomo o donna, fosse consapevole della straordinarietà di aver raggiunto questa fase della vita.» L'ultimo capitolo della nostra esistenza, come l'ultimo capitolo di un libro, è spesso anche il più interessante. E per spiegarlo Vittorino Andreoli utilizza una lettera diretta e appassionata. Una lettera che accompagna a prendere consapevolezza del proprio corpo e della propria mente, scoprendo le funzioni e le possibilità della senectus, come la chiamavano elegantemente i latini. A che cosa serve avere memoria di numeri, nomi o dettagli geografici quando si passa da un teatro operativo a uno fatto di sentimenti e di elaborazioni del pensiero? A una certa età serve piuttosto una memoria storica e sintetica. Più della precisione e della rapidità immediate conta rivivere e raccontare il passato non dentro la nostalgia, ma come fonte per disegnare meglio il presente e il futuro. È errato anzitutto credere che il tema attorno a cui ruota l'esistenza del vecchio sia la morte. Occorre invece che la società si convinca che egli ha bisogno di essere utile, di avere un senso proprio nel presente. Solo così si possono rimettere al centro il desiderio e le caratteristiche degli anziani, evitando loro il dolore dell'esclusione e dell'abbandono.
La famiglia è un'istituzione con origini antiche ma è sempre mutata nel tempo seguendo i passaggi e le grandi tendenze economiche, sociali e culturali. Sta ora vivendo la sua fase digitale ed è sempre più influenzata dal trionfo di internet e dell'uso dello smartphone che è diventato un'appendice del nostro corpo e della nostra mente. Quali sono le conseguenze di questi mutamenti? Cosa sta succedendo alle figure dei genitori e dei figli e alle relazioni tra loro? E quali sono i rischi per l'immediato futuro se non si affrontano i problemi che stanno emergendo nella vita quotidiana e nei comportamenti, dagli eccessi sui social network al mutismo affettivo, dalla falsa percezione del tempo al dominio dell'economia dell'inutile? Sono alcune delle questioni che Vittorino Andreoli affronta in questo libro analizzando gli effetti della trasformazione «digitale» in atto. Un saggio di ampia prospettiva e forte attualità che evidenzia i pericoli di un adattamento passivo al cambiamento tecnologico e il rischio di una società senza famiglia, ma che riconosce anche la capacità del nucleo parentale di ritrovare la forza e le funzioni peculiari che l'hanno caratterizzato in millenni di storia.
In un mondo dove l'uomo crede di avere in mano il suo destino, corriamo un grande rischio: non ammettere che il filo rosso dell'esistenza si possa indebolire e spezzare e non comprendere gli aspetti positivi di ogni trasformazione a partire dalla bellezza di invecchiare. Vittorino Andreoli ci racconta la vecchiaia come capitolo originale dell'esistenza e non come un'età «malata». Chi ha «danzato a lungo col tempo» ha maggiore capacità di sperimentare la gioia e considerare il piacere. Talvolta è sufficiente un sorriso, un nipote che si mostra interessato ad ascoltare, l'affiorare di un sentimento puro. Il piacere si lega alla tenerezza, a una nuova intimità, alla lentezza di un gioco che impegna tutto il corpo e che si fa sempre più creativo, slegato com'è dai modelli prestazionali della cosiddetta «vita attiva». Siamo passati dalle generazioni biologiche a quelle psicologiche e, infine, a quelle digitali, che hanno ribaltato i rapporti tra giovani e vecchi, mettendo in crisi l'idea di saggezza e di autorevolezza. Ma è solo recuperando il ruolo cruciale dell'ultima età che possiamo iniziare a riparare la società in cui viviamo, sostituendo ai concetti meccanici di salute e malattia una nuova dimensione del «bendessere».
La condizione umana è caratterizzata dal bisogno di aggregazione per vincere il senso della paura e dell'insicurezza che si accendono di fronte ai pericoli dell'ambiente, del mondo. Ci sono periodi della storia in cui questi sentimenti si fanno particolarmente intensi e rendono l'esperienza esistenziale ancora più difficile. Se la comunità serve a dare certezze e difesa, si può giungere alla paura di vivere a contatto con gli altri come se un uomo fosse un nemico sempre. E cosi si finisce per rimanere soli mentre si cerca disperatamente un rifugio. Non vi è dubbio che esistono momenti storici e società che danno maggiore sicurezza, che moderano l'incertezza e il dubbio, e altri dove invece si è allertati dai pericoli e si vivono con incertezza persino i sentimenti e le relazioni affettive. Di fronte a questo quadro era necessario che un grande psichiatra affrontasse sistematicamente il tema partendo proprio dalla conoscenza del comportamento umano all'interno della società. Ed è così che il professor Vittorino Andreoli costruisce un'analisi che non vuole essere teorica, ma aiutarci a capire noi stessi e il mondo in cui ci muoviamo. Un'analisi che mostra le sorgenti psicologiche e sociali dell'incertezza, che ci mette davanti gli obiettivi di una sicurezza possibile e di una invece impossibile, poiché l'uomo si trova in un mondo che conosce solo in parte e che non può mai renderlo tetragono e sicuro. Il professor Andreoli, con tutta la competenza e l'umanità di un grande autore, ci suggerisce come gestire l'insicurezza e giunge a mostrarci la nostra fragilità che richiede l'aiuto dell'altro, di un'altra fragilità, e fare così dei legami interumani la via per vincere la paura. Come a dire che due fragilità generano forza. Innescando un processo di legami più ampi che uniscano una comunità, imparando a comprendere invece che a isolare e combattere. Una strategia esistenziale che rende allora l'insicurezza umana uno stimolo a proteggere, provando sicurezza proprio nel dare aiuto all'altro come una madre che si sente forte nel proteggere il proprio bambino.
"Temo il dolore che si fa storia e vorrei contribuire a frenarlo, ma ora temo ancor più il dolore della mia fantasia, di quell'anticipazione che permea il romanzo di un dolore ancora maggiore e di un dolore che non è nel mondo ma nel mio mondo, dentro di me. Esco ora dalla mia Dachau, e cambio un pennino, massacrato." Trasferire il passato nel futuro, trovare vita in ciò che sembrava morto. Non è per nostalgia che un vecchio scrittore riporta alla luce pagine che ha nascosto dentro bauli dimenticati. Rileggendo quei quaderni, capisce la ragione che lo ha spinto a sotterrarli tanto tempo prima: quei fogli erano troppo irruenti, carichi di eros, molto lontani dai temi che lo hanno impegnato nell'ultima parte della sua esistenza. Non vi trova alcuna traccia dei richiami alla fragilità che gli hanno dettato invece le sue opere più recenti. Questa scoperta gli permette di riscoprirsi, tanto che decide di riempire il suo futuro rimettendo ordine tra quelle carte passate. Un ordine che può essere solo apparente perché la vita, si sa, si consuma in un insieme caotico al quale è difficile assegnare una logica. E, anzi, è proprio questo disordine, fatto di "variazioni" generate dalle novità, dalla speranza, dalle attese e dalle delusioni, a dare un senso. Vittorino Andreoli, libero dal pudore di un tempo, ci consegna questa raccolta che si fa rappresentazione dell'esistenza di uno scrittore. Sono pagine dense di vita, dove emerge tutta la fatica del quotidiano e il dolore che contraddistingue la condizione umana a qualsiasi età.
L’evoluzione tecnologica sta portando un grande progresso in molti campi della vita dell’uomo ma anche un impatto pericoloso sul suo comportamento.
Gli smartphone su cui passiamo la maggior parte del nostro tempo sono oggi vere e proprie protesi di corpo e mente e stanno conducendo a una divisione tra due cervelli: il nostro e quello che «portiamo in tasca».
Una relazione pericolosa, secondo Vittorino Andreoli, che in queste pagine ricostruisce origini e funzioni dell’organo naturale mettendolo a confronto con quello artificiale, che ne è figlio, per comprendere i rischi psicologici e sociali che la rivoluzione digitale, dal computer ai tablet, dall’invenzione del web all’avanzata della robotica, ha innescato per giovani e adulti, in famiglia, nei legami e sul lavoro.
La nostra identità rischia uno sdoppiamento? L’intelligenza artificiale da appendice diventerà parte integrante del nostro corpo prendendo alla fine il sopravvento? Sono solo alcune delle domande cui questo saggio cerca di dare una risposta con un’analisi affascinante sulle nostre origini e il futuro prossimo che ci aspetta.
Al ventiduesimo piano di un condominio di periferia vive un vecchio. Non esce mai, non incontra nessuno, nemmeno i figli o i nipoti lo vanno a trovare. Il mondo che sta là fuori gli è estraneo, eppure lui sente che, pur non avendo più alcun ruolo sociale, la sua esistenza ha ancora un senso. Del resto, che la vecchiaia inizi a sessantacinque anni è una pura convenzione stabilita dalla società fondata esclusivamente sul lavoro e sul denaro. Così si siede davanti a un microfono e, invece di rompere la sua solitudine varcando la porta di casa diretto al bar o ai giardinetti, apre la porta verso l'universo virtuale ed entra nella rete. Con grande "sospetto" e incertezza racconta le sue riflessioni su alcune parole che hanno riempito la sua esistenza. Democrazia, assurdità, bellezza e vecchiaia: sono questi i termini attorno a cui costruisce quattro lezioni virtuali. Le sue sono parole al vento o c'è qualcuno disposto ad ascoltarlo? Con un certo stupore il vecchio scopre che il suo pubblico cresce lezione dopo lezione. Abbattuto il muro che lo escludeva da qualsiasi relazione, si rende conto di avere di nuovo una voce. Sa di essere fragile, ma è proprio quella fragilità a renderlo più umano. Nella dimensione del "noi" che emerge a poco a poco, capisce che l'unica cosa che conta davvero è il presente e che "vivere non è parlare, ma correre da chi ha bisogno". Parole vuote? Parole come semplice rumore? Vittorino Andreoli mette in scena in queste sue nuove pagine un teatro della verità a tratti autobiografico. Smaschera i pregiudizi del nostro tempo, che considera la vecchiaia come l'età della vergogna, dimenticando che la fragilità del vecchio è la rappresentazione della condizione umana, del significato stesso dell'uomo nel mondo.
È possibile scongiurare l'agonia in cui sta scivolando la nostra civiltà? Che ne è dell'uomo quando smarrisce i benefici garantiti dalla parte più evoluta del suo cervello? Quando delega le sue funzioni ad appendici digitali, vere e proprie protesi, innescando una regressione che cancella ogni traccia del salto evolutivo per cui è stato definito sapiens sapiens, diventando stupidus stupidus? Quando la nostra mente perde progressivamente la razionalità e l'affettività, e intanto muore l'etica, muoiono gli dèi, che vengono sostituiti dal denaro e dal successo? Vittorino Andreoli sa che l'uomo si può "rompere", come psichiatra ha seguito e curato molti pazienti aiutandoli a sollevarsi dalle loro cadute. Ecco perché non ha perso la fede nell'uomo e nelle sue possibilità. In queste sue nuove pagine vuole lanciare un allarme e spingerci a riflettere sulla regressione del nostro tempo, che rischia di cancellare le conquiste che hanno segnato la storia dell'Occidente. Convinto che la morte di una civiltà possa essere osservata e testimoniata, e che se ne possano indicare i segni premonitori, mette a fuoco tre comportamenti talmente diffusi da essere diventati regole: la distruttività, la caduta dei princìpi primi che sono alla base del vivere sociale e l'uomo senza misura. Intorno a questi tre grandi temi, svolge la sua analisi arrivando alla conclusione che l'uomo vada ormai escluso dall'ambito della sapienza. Il tratto che oggi lo definisce meglio è l'essere stupidus, secondo il significato etimologico, che condivide la radice con "stupore". Lascia infatti attoniti, sbalorditi, che un uomo possa assumere gli atteggiamenti dominanti nel nostro tempo, ma ancora più incredibile è che lo possa fare una comunità intera, un popolo. Un margine per invertire la rotta ancora c'è, per farlo occorre però riaffermare i princìpi che permettono il procedere della ragione, la bellezza della cooperazione contro l'esasperato individualismo, integrando sentimenti e razionalità.
Il destino ha davvero un’influenza sulle nostre vite, sull’essere, o è soltanto la reminiscenza di miti che appartengono agli albori della civiltà?
E l’incontro con il limite, con la malattia, fisica o mentale, è parte di questo percorso già scritto o può essere scongiurato? Dopo aver trascorso la vita occupandosi della mente e dei suoi disturbi con gli strumenti della medicina, Vittorino Andreoli ha sentito il bisogno di andare oltre, di formulare un metodo diverso che si prenda cura dell’uomo «tutto intero» e, a compimento della sua avventura umana e professionale, ci consegna una visione della vita il cui fondamento è la costante promozione del bene per sé e per l’altro. Il suo messaggio è rivoluzionario: qualsiasi esistenza, indipendentemente dall’età e dalla condizione in cui ci si trova, può essere migliorata, in un percorso incentrato su una nuova disciplina da lui stesso fondata, il bendessere. Approfondendone le radici e le applicazioni, l’autore mostra come, seppur con variazioni linguistiche e diverse sfumature di significato, questa ricerca del benessere sia presente fin dalle origini nella storia e nella cultura dell’uomo, e ci accompagna in un affascinante viaggio attraverso i segreti dell’esistenza umana declinato secondo le tre dimensioni fondamentali del corpo, della mente e del nostro rapporto con il mondo circostante, che comprende la natura e le relazioni con gli altri. Oggi che – sostiene Andreoli – risulta sempre più difficile distinguere tra la follia dell’uomo e quella della società, dominata dalle apparenze e dal denaro, spendere la vita «il meglio possibile» è un’aspirazione realizzabile per tutti. Un progetto, in questo senso, «veramente umano».
"La mia vita di psichiatra si è svolta in un periodo storico fatto di tante psichiatrie (persino di una definita democratica), segno che non esisteva la psichiatria. In questo clima, non potevo che costruire la mia psichiatria." Sono passati cinquantotto anni da quando il professor Vittorino Andreoli è entrato nell'ambiente psichiatrico. Un periodo di intensa e appassionata professione, con modificazioni profonde sulla concezione delle malattie della mente: nascita di nuovi disturbi, scoperte scientifiche sul cervello e in particolare sulla sua parte plastica che si lega in maniera specifica alla psichiatria. È diventato chiaro che la normalità non può essere considerata la misura per la follia, poiché sovente una condizione si interseca con l'altra, in funzione degli ambienti e delle condizioni sociali. È anche per questo che serve "uno psichiatra frammentato" capace di avvalersi di altre competenze, seguendo la metafora dell'orchestra. Uno psichiatra che deve entrare in relazione e con-partecipare i vissuti del paziente per impedire che un disturbo mentale si trasformi in una tragedia. Soltanto da una così lunga esperienza in Italia e nei Centri internazionali potevano emergere i nuovi princìpi per curare i dolori della mente.
Molti di fronte allo scorrere del tempo reagiscono, anche nelle difficoltà, traendone sensazioni positive, individuandone gli aspetti vantaggiosi. Esprimono così la "gioia di vivere", un modo di vedere l'esistenza che si inserisce nel flusso della Natura, accettando ciò che il presente dona, senza decorarlo troppo con i propri desideri. Ma la maggior parte di noi è affetta dalla "fatica di vivere". Siamo sempre in azione e mai soddisfatti, destinati a rincorrere un futuro che non c'è e forse non ci sarà mai, spinti nella lotta per il potere dalle nostre ambizioni, dalla paura dell'insuccesso o perfino della morte. Due stili di vita opposti, che non appartengono all'ambito patologico, ma che sono la chiave per dare a una stessa esistenza un significato contrapposto: vivere bene, o al contrario vivere male. In questo libro Vittorino Andreoli, "portatore della visione tragica dell'esistenza", ci accompagna alla ricerca del segreto della gioia di vivere. E, attraverso la riflessione sui classici, la filosofia, la religione, l'osservazione delle storture della società e naturalmente con la conoscenza dell'uomo, delinea un percorso per recuperare la vera essenza del nostro essere umani. Si scopre così che nel mondo dominato dalle strategie per essere vincenti, dal fascino dell'esclusività, dalla bellezza, dalla fatica di vivere dell'individuo, il "magico potere" della gioia non è altro che la capacità, che tutti abbiamo dentro, di passare dalla dimensione dell'"io" a quella del "noi".
Viviamo in un tempo che ci distrae, in un empirismo che ci allontana con forza dalle occupazioni che sanno dare un senso alla nostra esistenza. Eppure questa deprivazione costante delle fonti essenziali di gioia può essere riconquistata ripristinando alcune semplici abitudini. La principale è senz'altro la feconda arte del pensare. Un esercizio a cui dedichiamo sempre meno energie e che proprio per questo impoverisce anche il nostro vissuto emotivo. Basterebbe poco per cambiare, per esempio tornando a usare quell'agenda che si è fatta virtuale, trascrivendo i nostri pensieri e trasformandoli in guida per il futuro. Dopo averci insegnato a ritrovare "la gioia di vivere", Vittorino Andreoli compie un ulteriore passo avanti con questo libro in cui coinvolge i lettori in un gioco di pensieri che attivano pensieri. A molti potrà sembrare strano che un semplice taccuino in cui si dispiegano i giorni dell'anno possa servire a compiere una rivoluzione così profonda. "Ciascuno di noi vorrebbe vivere meglio, almeno un po' meglio, sognando il meglio possibile, e per questo c'è bisogno di programmare, di immaginare che cosa scrivere giorno dopo giorno in un'agenda dell'anno che è appena cominciato." Perché annotare i propri pensieri permette di ricollocarci a contatto con il nucleo interiore più profondo, anche quando sono pensieri indignati dalle notizie di cronaca. Pensare serve a capire meglio chi siamo, dove andiamo e dove trovano posto i nostri desideri più intimi. È per questo che l'arte di pensare deve essere coltivata come un giardiniere fa con i suoi fiori più delicati, per non dimenticare un talento così poco produttivo nell'immediato ma fondamentale per afferrare il futuro che sogniamo per noi.