
L'autore, "seguendo la traccia liturgica dell'antico ordinamento delle domeniche dopo la pentecoste, mette a disposizione di ogni uomo di buon volere pietre vive per la costruzione in sè di un "tempio dello spirito" e per l'edificazione del tempio più vasto che ha in confini di un un'umanità dove cala, creatore e suscitatore di energie dirompenti, lo Spirito. Con queste brevi pagine, l'autore "ci fa attraversare in modo sicuro l'esperienza della fede, ci porta sulla sogllia dove, tenendo aperto gli occhi contemplativi sull'immensa volta del Tempio risorto, un'onda di ispirazione e di fecondità, un salutare flusso di purificazione ci investe per una novità di vita che anticipi la nostra speranza". (dalla Presentazione di E. D'Agostini)
È una silloge ragionata di pensieri e aforismi tratti dalle opere di Max Picard, in cui appare con grande fascino l'attenzione del filosofo alle cose e al loro linguaggio. Linguaggio delle cose che devono essere come "liberate" dalle infinite relazioni che ne occultano l'essenza, perché sia restituita loro la freschezza di quel messaggio autentico che prelude a un incontro vero e orienta responsabilmente l'uomo.
Un giornalista propone a uno dei migliori poeti italiani contemporanei alcune domande decisive sulla vocazione del poeta e sull'esistenza in quanto essenzialmente poetica. Amore e solitudine, silenzio e parola, poesia e filosofia, vocazione poetica e impegno etico, Dio e il male, la gioia e il nulla: il libro si spalanca su questi temi come un'esperienza che - per dirla con le parole di Heidegger - ha il profilo di un «tranquillo abbandono a ciò che è degno di essere domandato».
Il "distacco dal mondo" è espressione della tradizione spirituale, ascetica, cui spesso è stata data una connotazione negativa. Bobin ne recupera in questo libretto tutta l'essenzialità vitale, liberatoria e costruttiva per l'uomo. Il distacco infatti è vera azione amorosa. "L'amore è distacco, oblio di sé. Non possiamo arrivarci con le nostre forze, perché tutte le nostre forze sono costantemente impiegate nell'ammassare il mondo alla superficie del nostro "io"."
Per Vannucci tre sono le dimensioni del nostro conoscere e amare: quella fenomenica, con cui costruiamo la nostra esperienza e alla quale attingiamo per le nostre scienze, per i nostri bisogni e interessi quotidiani; quella razionale, con cui organizziamo, induciamo ed esprimiamo tutto il nostro sapere e il nostro vivere alle dimensioni dell'universo e dell'uomo terrestre; quella mistica con cui intuiamo il mistero nascosto fin dall'inizio nella parola creatrice e che ci porta nel trascendente.
In questo testo l'autore è alla ricerca di quel nucleo essenziale dell'uomo che costituisca il «cuore», la ragione, il «verbo» che lo faccia sempre essere e che gli dia esistenza dentro le avversità, le contraddizioni e i contrattempi che caratterizzano il vivere quotidiano, così fragile e indifeso di fronte agli eventi, anche i più piccoli e banali. «Parlerò del dolore d'amare. Non di quello che proviene da fuori l'amore e che ha molti aspetti: circostanze, salute, pressioni sociali, bisogno, miseria, morte. Parlo del dolore che viene da dentro l'amore, d'un dolore, d'una tristezza, d'un abbandono generati dall'amore stesso.»
Quando la vecchiaia non prende le movenze della saggezza, ma devasta le capacità mentali, psichiche o corporali dell'individuo, bisogna leggere questo declino come una semplice distruzione delle facoltà e delle acquisizioni di tutta un'esistenza? Non è questa spoliazione invece l'occasione di una lenta e ultima trasformazione? È la scommessa che fa l'autrice, dando relazione degli ultimi sei anni di vita di sua madre e dell'accompagnamento di cui ha goduto fino alla morte. Il racconto riempie un vuoto nella conoscenza che possiamo avere della vecchiaia: la pratica psicanalitica e la spiritualità cristiana concorrono in maniera feconda a capire in che modo la regressione può diventare uno dei cardini della "guarigione".
Mentre si va instaurando un efficace dialogo tra ebrei e cristiani, come può essere inteso il legame che unisce il "Nuovo" all'"Antico" testamento? Per la de Souzenelle il mistero di questa relazione si deve intendere come quello dell'unica parola di Dio, nella quale la "buona novella" risuona in piena armonia con la prima alleanza: ne compie le promesse e ne svela il segreto; il suo messaggio, di rimando, si illumina delle mille correlazioni che la legano alla Torah.