
Se c'è un economista che ha sempre guardato ai mercati finanziari e alla globalizzazione con un occhio critico, questo è Joseph Stiglitz: premio Nobel per l'economia nel 2001, nello scatenarsi della crisi economica globale di questi anni Stiglitz ha trovato conferma di molti degli avvertimenti che, spesso inascoltato, ha per decenni rivolto alle istituzioni, ai politici e ai suoi colleghi economisti. Fino a poco tempo fa il mercato globale era considerato da molti ormai immune da instabilità e perfettamente in grado di gestire qualunque rischio finanziario: in questo contesto, la politica sbagliata del governo americano e il comportamento senza scrupoli di molti individui, ma anche di intere banche e società finanziarie, hanno determinato la crisi del credito negli Stati Uniti, che si è poi rapidamente estesa a tutto il mondo attraverso i canali della finanza globale, spedendo le economie di tutto il mondo in caduta libera. Con questa analisi sferzante Stiglitz interviene nel dibattito internazionale che si è aperto non solo sugli errori del governo americano, ma anche sulla solidità del sistema finanziario globale, se non sulla stabilità stessa del capitalismo come forma di organizzazione dell'economia.
Alvin E. Roth ha condiviso nel 2012 il premio Nobel per l'Economia per le sue pionieristiche ricerche sul market design: i principi che governano quei mercati in cui il denaro non è l'unico fattore a determinare che cosa spetta a ciascuno. Per mostrarci quanto questi mercati siano diffusi, Roth ci conduce, per esempio, presso una tribù aborigena che combina i matrimoni per nipotini non ancora nati oppure ci fa conoscere il meccanismo su cui si basano nuove imprese come Airbnb e Uber, il cui successo è in gran parte determinato da un brillante market design. "Matchmaking" esplora con brio e acume mercati che spesso si rivelano i più importanti per noi: se vi è capitato di cercare un lavoro o di assumere qualcuno, di iscrivervi a un'università o scegliere l'asilo giusto per vostro figlio, di dare un appuntamento sentimentale a qualcuno, allora avete avuto a che fare con il matchmaking. Roth individua cosi i fattori che fanno funzionare bene o male i mercati e insegna a prendere le decisioni più sicure ed efficaci per dare «a ciascuno il suo».
Tutto è irragionevole in ciò che accade nel mondo d'oggi: più di cinque anni di stagnazione, un balzo della disoccupazione e del lavoro precario, il declino del ceto medio, l'esplosione delle disuguaglianze. Ma da dove viene questa irragionevolezza e perché la accettiamo? Questo libro è un invito al viaggio nei territori che abbiamo intravisto durante le crisi che si sono succedute dal 2007-2008: la crisi della teoria economica, la crisi finanziaria mondiale, la crisi bancaria, la crisi europea dei debiti sovrani, e, infine, quella dei nostri sistemi di misura. Con un bilancio insopportabile: noi affrontiamo l'avvenire con gli occhi rivolti al cono di luce che ci giunge dal passato. Non possiamo trovare nulla sotto queste luci, se esse non sono in grado di illuminare il tempo presente. Le nostre teorie economiche falsificate a più riprese dai fatti - e le nostre politiche rivolte a obbiettivi che derivano da esse (stabilità dei prezzi, concorrenza, sostenibilità del debito) non riescono più a rendere conto della realtà né a rispondere ai bisogni della popolazione. "Il teorema del lampione" è, in egual misura, un appello a dare più peso all'esigenza di legalità senza la quale le nostre democrazie deperiscono, le nostre economie funzionano male e il benessere della popolazione si riduce ai minimi termini.
I beni comuni emergono nelle lotte contro la privatizzazione, ossia la sottrazione di spazi e il diniego dell'accesso a luoghi comuni (fisici o simbolici) che alcuni detentori di potere concentrato perpetrano nei confronti di tutti gli altri. A partire da essi si è sviluppata un insieme di idee che si sono tradotte e si traducono in azione politica. L'espressione "benicomunismo" inaugurata dispregiativamente da qualcuno, è stata invece adottata con orgoglio ed è evocativa di una teoria che in nome dei beni comuni sta articolando una critica radicale al modello neoliberale. A questo proposito Mattei ha dichiarato in un'intervista che "i beni comuni sono la nuova frontiera della rappresentanza e della democrazia". La critica teorica benicomunista si articola tanto contro il settore privato quanto contro il settore pubblico e vuole ridurre ad unità teorica le varie e articolate prassi di lotta che hanno come comune obiettivo la difesa dei beni comuni. Questo agile volume fa il punto sullo stato della teoria e replica alle obiezioni e critiche sollevate in questi anni.
Il livello di disuguaglianza del reddito in America raggiunge oggi picchi mai visti da prima della Grande depressione. Negli anni del boom, precedenti alla crisi finanziaria del 2008, l'1 per cento dei cittadini si è impadronito di più del 65 per cento dei guadagni del reddito nazionale totale. E tuttavia, mentre il Pil cresceva, la maggior parte dei cittadini vedeva erodere il proprio tenore di vita. Nel 2010, mentre la nazione lottava per superare una profonda recessione, l'1 per cento guadagnava il 93 per cento del reddito aggiuntivo creato nella cosiddetta "ripresa". Mentre coloro che sono in alto continuano a godere della migliore assistenza sanitaria, della migliore educazione e dei benefici della ricchezza, essi spesso non riescono a comprendere che, come sottolinea l'autore, "il loro destino è collegato a quello dell'altro 99 per cento". In questo volume Stiglitz unisce la sua formidabile visione economica a un appassionato richiamo affinché l'America torni agli ideali economici e politici che l'hanno resa grande. La disuguaglianza infatti non nasce nel vuoto. E il risultato dell'interazione di forze di mercato e di manovre della politica. Grazie a essa l'America è sempre meno la terra delle grandi opportunità e sempre meno è in grado di rispondere alle aspirazioni e ai bisogni dei suoi cittadini. Ma non deve necessariamente essere cosi.
Un'impresa capace di creare profitto non solo per gratificare gli azionisti, ma anche per produrre benessere, sicurezza e bellezza, per chi vi lavora come per la comunità che la ospita: Olivetti è stato un imprenditore e un uomo di cultura in straordinario anticipo sui propri tempi. A più di cinquant'anni dalla sua morte, le idee di Olivetti - sul ruolo dell'industria, sulle funzioni dello stato sociale, sul rapporto tra impresa e territorio -, continuano a sembrare in aperto contrasto con quanto si pratica e si scrive. Per cercare di comprendere (e di colmare) questa discrepanza, Luciano Gallino, che a Ivrea ha lavorato diversi anni come ricercatore, torna a riflettere su quell'idea di "impresa responsabile" che Olivetti cercava, giorno per giorno, di mettere in pratica nei suoi stabilimenti e uffici. Gallino è stato assunto da Olivetti nel 1955 e ha potuto cosí conoscere da vicino, a Ivrea, come questi pensava e operava nel quotidiano impegno di capo d'industria, e al tempo stesso, di pensatore politico, editore, promotore di piani territoriali. Questa intervista, pubblicata da Edizioni Comunità nel 2001, viene presentata qui riveduta, e con l'aggiunta di una nuova Prefazione. Gallino, sollecitato da Paolo Ceri, ricostruisce, senza alcun intento agiografico, la storia di un percorso umano, filosofico ed economico che continua a sfidare, per modernità e lungimiranza, il nostro presente.
Fino alla nascita dell'euro, lo sfruttamento positivo delle diversità è stato alla base dell'idea di integrazione economica come motore dello sviluppo. Una moneta unica, al contrario, richiede che le diversità siano ridotte al minimo, possibilmente eliminate. La grande sfida dell'Europa sta nel riuscire a conciliare diversità e uguaglianza. E ciò che affermano, in questo saggio privo di tecnicismi, Michele Canonica e Pier Carlo Padoan, da sempre in prima linea sul fronte del dibattito europeo. Lo scopo di questo pamphlet non è quello di prendere di petto la demagogia dei cosiddetti "euroscettici", bensì di offrire argomenti a sostegno dell'Europa secondo una prospettiva nuova, più concreta di quella spesso propagandistica che negli ultimi decenni ha appesantito la discussione tra gli europeisti, in particolare quelli italiani. Gli autori, infatti, sono convinti che la costruzione europea potrà avere un futuro soltanto a condizione di difenderla in modo razionale, spazzando via i luoghi comuni, che hanno finito per renderla poco credibile, e mostrandone con chiarezza tutti gli elementi di gracilità. Compresi quelli che risalgono a un passato storico-culturale più o meno vicino.
È tutto finito? In un'epoca di globalizzazione, la varietà e l'individualità delle marche e del branding saranno completamente annientate da potenti multinazionali che domineranno i mercati mondiali? Finiremo tutti per acquistare e utilizzare versioni delle stesse cose? I luoghi del mondo arriveranno a somigliarsi sempre di piú, come accade oggi agli aeroporti? Quali implicazioni comporterà per il tradizionale dominio dei marchi occidentali la vertiginosa crescita dei nuovi mercati in India, Cina, Brasile, dove si stanno affermando marchi globali basati su punti di forza e tradizioni culturali locali? Che impatto avranno la tecnologia digitale e la crescita vorticosa dei clienti attraverso i social media? Che influssi produrrà tutto ciò sui prodotti e i servizi che consumiamo? Le aziende esistono solo per realizzare profitti e crescere, oppure per aiutare la società, o per entrambe le cose? E cosa vogliamo davvero noi, clienti globalizzati? Wally Olins - guru mondiale del branding e delle identità aziendali - analizza ogni aspetto dell'argomento intrecciando l'approccio commerciale con quello storico, sociologico, antropologico. Racconta in termini vivaci e pragmatici il rapido evolversi del nostro mercato globale; mette a fuoco i problemi che affliggono le imprese di oggi; critica il comportamento immorale delle aziende, loda quelle che costruiscono e sostengono con successo il loro marchio; e attraverso esempi brillanti predice la natura e le forme del branding del futuro.
Combinando una prosa accessibile con un'analisi economica raffinata, Stiglitz e Greenwald spiegano perché è importante eliminare il divario di conoscenza, se si vuole ridurre il divario nello sviluppo. Da tempo si è riconosciuto che un miglioramento degli standard di vita deriva dai progressi nella tecnologia e non dall'accumulazione di capitale. Ciò che separa veramente i Paesi sviluppati dagli altri non è solo un divario nelle risorse o nella produzione ma un divario nella conoscenza. La velocità in base a cui i Paesi in via di sviluppo crescono è funzione della velocità con cui riescono a colmare tale divario. Gli autori illuminano il significato di questa intuizione per la teoria economica e le politiche di intervento necessarie. Ci spiegano perché la produzione di conoscenza differisce da quella degli altri beni e perché le economie di mercato generalmente non producono e trasmettono conoscenze in modo efficiente. Ridurre il divario delle conoscenze e aiutare tutti i Paesi ad allungare il passo sono elementi centrali per la crescita e lo sviluppo.
Siamo diventati ultimi. Ad assegnarci questo posto nel girone dei Paesi avanzati del mondo globale, e innanzitutto in Europa, non è il nostro autolesionismo o la solita polemica tra opposte tifoserie politiche. No, questa volta a parlare, con una pioggia di sentenze senza appello, sono le classifiche internazionali. Quelle che misurano i progressi, o i regressi, di un Paese. Quelle che indicano chi fa piú strada, chi è fermo e chi va indietro. Quelle che riscrivono le gerarchie nel mondo sviluppato. E l'Italia in questi ultimi anni non ha fatto altro che retrocedere, passo dopo passo, statistica dopo statistica. Fino a piazzarci in quel gradino, l'ultimo di ciascuna classifica. Scuola, università, lavoro, competitività, giustizia, digitale: ovunque siamo in fondo, mentre primeggiamo in corruzione e pressione fiscale. Ma spogliarsi della maglietta di ultima della classe non è impossibile e "Ultimi" ci racconta anche da dove l'Italia deve ripartire per risalire la classifica.
Questo libro è un appello ad affrontare la disuguaglianza economica come una questione politica e morale, con l'obiettivo di giungere a una società piú prospera e giusta. Raccogliendo i suoi scritti per giornali non accademici, tra cui il "New York Times" e "Vanity Fair", il Nobel per l'Economia Joseph Stiglitz descrive la disuguaglianza americana: le sue dimensioni, le sue cause, e le conseguenze per gli Stati Uniti e per il mondo. Stiglitz si concentra sulle politiche irresponsabili - deregulation, taglio delle tasse per l'uno per cento - che hanno lasciato indietro un grande numero di cittadini trasformando il sogno americano in un mito sempre piú inarrivabile. Il libro suggerisce soluzioni concrete: aumentare le tasse per le corporations e per i piú ricchi; offrire maggior sostegno ai bambini piú disagiati; investire in istruzione, tecnologia e infrastrutture; aiutare i proprietari di case invece che le banche. E, soprattutto riportare l'economia alla piena occupazione. La nostra scelta non deve essere tra crescita e giustizia: con politiche pubbliche adeguate, possiamo scegliere entrambe.
"Quel che vorrei provare a raccontarvi è per certi versi la storia di una sconfitta politica, sociale, morale. Abbiamo visto scomparire due idee e relative pratiche che giudicavamo fondamentali: l'idea di uguaglianza, e quella di pensiero critico". Causa fondamentale della sconfitta dell'uguaglianza è stata, per Gallino, dagli anni Ottanta in poi, la doppia crisi, del capitalismo e del sistema ecologico, strettamente collegate tra loro. La stessa crisi del capitalismo ha molte facce: l'incapacità di vendere tutto quello che produce; la riduzione drastica dei produttori di beni e servizi; il parallelo sviluppo del sistema finanziario al di là di ogni limite. A questa crisi il capitalismo ha reagito accrescendo lo sfruttamento irresponsabile dei sistemi che sostengono la vita - il "sistema ecologico"-. Il tutto con il ferreo sostegno di un'ideologia, il neoliberalesimo, che riducendo tutti a mere macchine contabili dà corpo a una povertà dell'azione politica quale non si era forse mai vista nella storia.