
Un’introduzione autorevole e aggiornata alle principali teorie e ai concetti chiave che costituiscono il sistema economico e politico del capitalismo. Nella prima parte del volume vengono presentate le tesi dei principali teorici storici, Adam Smith (la mano invisibile del mercato), Karl Marx (lo sfruttamento del lavoro altrui da parte del capitale), Max Weber (le fondamenta della razionalità economica), Joseph Schumpeter e John M. Keynes (l’instabilità derivante dalle caratteristiche essenzialmente monetarie e finanziarie del capitalismo); nella seconda parte l’autore prende in considerazione le varie istituzioni: mercato di scambio, sistema monetario, impresa, capitale e mercato finanziario, ruolo dello Stato. Una particolare attenzione è dedicata a concetti di forte attualità quali globalizzazione economica, disuguaglianze economiche, fragilità monetaria e finanziaria. Tutti temi che l’autore ha aggiornato espressamente per l’edizione italiana.
Ci hanno raccontato che saremmo diventato ricchi grazie al Dow Jones, liberi di navigare nelle reti della New Economy, moderni e globali nel mondo unificato dalla fine della guerra fredda. E adesso? Se è tutto un modello culturale e politico quello che la crisi economica e finanziaria ha messo in ginocchio, si stenta a vedere quale alternativa possa sostituire gli entusiasmi degli ideologi del mercato e la sicumera dei retori anti-statalisti. E a sinistra si ode solo un silenzio assordante. Edmondo Berselli non vuole dare soluzioni, ma indicare almeno alcuni idee possibili, dall’«economia sociale di mercato» di Bad Godesberg alla dottrina sociale della Chiesa cattolica. Che sembreranno poco alla moda, ma hanno pur sempre assicurato alle generazioni europee del dopoguerra non solo una notevole crescita economica, ma anche una stabilità sociale (e forse una dignità morale) che oggi rimpiangiamo.
Questo libro riflette sull'influenza esercitata dal concetto di vantaggio competitivo. Il vantaggio competitivo - cioè la capacità di offrire all'acquirente prodotti a costi più bassi degli altri, o benefici unici che giustifichino un premium price - è particolarmente rilevante nel determinare il successo di un'impresa. In che modo essa raggiunge una leadership di costo? E come si differenzia dai concorrenti? Porter dimostra come le imprese possano creare e sostenere un vantaggio competitivo all'interno del proprio settore e come i manager possano valutare la posizione competitiva della propria impresa, realizzando le azioni capaci di migliorarla. Il libro illustra principi e strumenti volti alla creazione di un vantaggio competitivo nei costi o nella differenziazione, mostra come la scelta dell'ambito competitivo giochi un ruolo essenziale nella creazione del vantaggio competitivo, e introduce lo strumento fondamentale per chi opera scelte strategiche della catena del valore, che permette di analizzare le principali attività che un'impresa svolge per progettare, produrre, vendere e distribuire prodotti o servizi.
"Raghuram Rajan è stato uno dei pochi economisti al mondo ad avvertire la comunità internazionale della crisi imminente prima che si manifestasse, in un momento anzi in cui il paradigma dominante era al suo culmine. In "Terremoti finanziari" egli mostra come le decisioni individuali che nel complesso hanno causato la crisi finanziaria - decisioni prese dai banchieri, dai governi e dai semplici proprietari di case - erano risposte in sé razionali ma all'interno di un ordine finanziario globale scorretto. Un sistema cioè in cui gli incentivi al rischio erano incredibilmente fuori misura rispetto ai pericoli che tale rischio poneva. Rajan dimostra inoltre come l'accesso disuguale sia all'educazione sia alla tutela della salute negli Stati Uniti ponga noi tutti in grave pericolo; lo stesso si può dire anche per le scelte economiche di Paesi come la Germania, il Giappone e la Cina, che gravano l'America di un fardello non dovuto. A conclusione del libro Rajan delinea le scelte radicali che dobbiamo assolutamente compiere se vogliamo assicurare un'economia globale più stabile al fine di ricreare una prosperità duratura." (dalla prefazione di Franco Debenedetti
Cos'è il denaro? A cosa serve e come funziona? È il denaro che appartiene agli uomini o sono gli uomini ad appartenere al denaro? Domande semplici come quelle che potrebbe fare un bambino, ma che pure, una volta adulti, dimentichiamo forse perché spaventati da risposte che crediamo troppo astruse. Così si finisce per dare il denaro per scontato, uno strumento "trasparente", quasi una legge di natura. Giorgio Ruffolo, con la chiarezza e lo stile che l'hanno reso popolare, ne traccia una storia molto diversa, ricca di scoperte sorprendenti e clamorose smentite del senso comune. E lo fa raccontando le vicende degli uomini che per la passione, la necessità o il desiderio di denaro, hanno plasmato il mondo. Simbolo del valore materiale, il denaro ha una natura ideale: contrariamente a quello che si potrebbe pensare, infatti, "non è l'oro che da valore al denaro, ma il contrario". La storia del denaro, allora, è anche una storia di smaterializzazione e fiducia. Volatilità perché si passa dalle sonanti monete in oro e argento a pezzi di carta altrettanto preziosi, fino alle carte di credito o agli scambi via internet in cui il denaro diventa puro dato digitale. Fiducia perché accettare soldi in cambio di merce significa credere sulla parola che un giorno ci verrà restituito ciò che ci spetta. Cosa succede quando tale fiducia (o tale fede...) comincia a incrinarsi l'abbiamo scoperto a nostre spese proprio durante la recente crisi finanziaria globale.
"Edmondo Berselli se n'è andato. Ma, prima di lasciarci, ha scritto questo saggio, denso e veloce al tempo stesso. È dedicato alla ricerca di nuove vie verso "l'economia giusta", in tempi di crisi globale, dopo la fine della "superstizione monetarista". L'autore ripercorre criticamente i contributi teorici, le esperienze politiche e di governo più significative, dall'Ottocento fino ad oggi. Scivola, con agilità, fra il marxismo e la dottrina sociale della Chiesa, il pensiero liberale e il socialismo, la socialdemocrazia e il neo-liberismo. Ai confini tra economia, sociologia, filosofia e storia. Un approccio ibrido, come il linguaggio - diretto e suggestivo. Inconfondibile. La conclusione è disincantata. Finita, rovinosamente, l'era del "pensiero unico monetarista", siamo rimasti senza risposte. Perché le alternative hanno già fallito. Non riescono ad essere credibili. Così, molto semplicemente, dovremo abituarci "ad avere meno risorse. Meno soldi in tasca. Essere più poveri". Berselli lascia cadere questo ammonimento nelle ultime righe. Quasi un invito a non dimenticare. Noi, certamente, non ci dimenticheremo di lui." (Ilvo Diamanti). Con prefazione di Romano Prodi.
Il capitalismo, modello dominante preferito dagli economisti, è in crisi profonda. La crescita illimitata, che lo sottende, non funziona più. Disuguaglianze e ingiustizie aumentano. Prima di sbattere contro un nuovo muro, bisogna cambiare strada. Ma per andare dove? Questo libro ci guida verso un affascinante ma concreto orizzonte. Rimescolando i colori, gli aggettivi e i sostantivi dell'economia appare un altro mondo: un caleidoscopio di molteplici combinazioni. Una piccola grande rivoluzione dove l'economia viene ridimensionata a un capitolo del libro della natura: l'ecologia. Portando, finalmente, a una diversa ricchezza per una società sufficiente e sostenibile, naturale e umana, colorata e anche allegra.
Questo libro aspira a costituire un contributo critico a quella che un giorno potrà essere la nuova etica del capitalismo contemporaneo. Esso quindi intende riportare al centro della riflessione gli ideali politici e morali per costruire una società con maggiore eguaglianza. E un racconto che mostra con chiarezza, attraverso le tappe che hanno condotto alla crisi, una vera e propria mutazione del capitalismo. La crisi in cui sono immersi i Paesi occidentali nasce infatti dalla rottura di un compromesso storico tra capitalismo e democrazia. La fase successiva a questa rottura può essere definita come l'Età del Capitalismo Finanziario. La mutazione del capitalismo è dunque di natura essenzialmente finanziaria. Essa attribuisce alla grande impresa privata e al capitale un potere assolutamente sproporzionato rispetto agli altri fattori della produzione, soprattutto al lavoro. Per questi motivi è necessaria un'inversione della politica economica per ridimensionare il potere del capitalismo finanziario e per restituire allo Stato e alla democrazia le leve del finanziamento dello sviluppo, specialmente durante una fase di crisi. Così sarà possibile promuovere una crescita sostenibile e un più alto grado di eguaglianza e di consenso sociale. Per progredire verso una società più prospera e giusta.
Il livello di disuguaglianza del reddito in America raggiunge oggi picchi mai visti da prima della Grande depressione. Negli anni del boom, precedenti alla crisi finanziaria del 2008, l'1 per cento dei cittadini si è impadronito di più del 65 per cento dei guadagni del reddito nazionale totale. E tuttavia, mentre il Pil cresceva, la maggior parte dei cittadini vedeva erodere il proprio tenore di vita. Nel 2010, mentre la nazione lottava per superare una profonda recessione, l'1 per cento guadagnava il 93 per cento del reddito aggiuntivo creato nella cosiddetta "ripresa". Mentre coloro che sono in alto continuano a godere della migliore assistenza sanitaria, della migliore educazione e dei benefici della ricchezza, essi spesso non riescono a comprendere che, come sottolinea l'autore, "il loro destino è collegato a quello dell'altro 99 per cento". In questo volume Stiglitz unisce la sua formidabile visione economica a un appassionato richiamo affinché l'America torni agli ideali economici e politici che l'hanno resa grande. La disuguaglianza infatti non nasce nel vuoto. E il risultato dell'interazione di forze di mercato e di manovre della politica. Grazie a essa l'America è sempre meno la terra delle grandi opportunità e sempre meno è in grado di rispondere alle aspirazioni e ai bisogni dei suoi cittadini. Ma non deve necessariamente essere cosi.
Mai un intero paradigma produttivo, il nostro, era stato così fortemente messo in discussione come oggi, squassato dallo spostamento dell'asse mondiale della ricchezza. Enormi diseguaglianze e una guerra su scala mondiale per il lavoro ci hanno portato a una situazione peggiore rispetto agli anni Settanta. È doveroso, tuttavia, non arrendersi e cercare strade nuove, avere una capacità di visione. Possiamo farlo se dedicheremo ogni risorsa verso ambiziose opere di ricostruzione del futuro. Come in una partita a scacchi, dovremo poter contare su due buone torri d'attacco, un alfiere attento, e una regina che si svegli dal suo torpore: giovani, imprenditori, opinione pubblica e soprattutto una buona politica. Una visione del mondo e del proprio Paese, in nome di quella che Piero Gobetti chiamava "una certa idea dell'Italia".
Che cosa è cambiato rispetto agli anni del trionfo del modello della piccola e media azienda italiana rampante? E che cosa da quando migliaia di imprenditori (molti nel Nordest) investivano nel Made in Italy e si lanciavano in nuove sfide, mossi dalla voglia di affermarsi sul mercato e di guadagnarsi il proprio posto al sole ? Erano gli anni di quel che Bonomi definì il "capitalismo molecolare". È cambiato tutto. Dal Nordovest alla Pedemontana lombarda e veneta e poi dall'Emilia, la Toscana fino al Sud, il nuovo saggio di Bonomi mette insieme le storie di artigiani, imprenditori, piccoli e meno. E lo fa nel contesto non agevole di un declino dei ceti medi di mercato (professionisti, lavoratori autonomi, piccoli imprenditori) e della middle class cresciuta con lo sviluppo dei sistemi di welfare. Eppure, nonostante le difficoltà, l'indagine di Bonomi ci dice che piccoli imprenditori e lavoratori della conoscenza non subiscono passivamente la crisi; aggiornano le competenze, si muovono sul mercato, cooperano. Forse, in alternativa al "finanzcapitalismo" la traccia da seguire sta nella eventualità di far sì che la parola chiave, Economia, sappia tenere assieme le 3 T della new economy (Tecnologia-Talento-Tolleranza) con le 3 T della Terra come risorsa, del Territorio da ripensare e della Tenuta dell'ecosistema.
Mega-macchine sociali: sono le grandi organizzazioni gerarchiche che usano masse di esseri umani come componenti o servo-unità. Esistono da migliaia di anni. Le piramidi dell'antico Egitto sono state costruite da una di esse capace di far lavorare unitariamente (appunto come parti di una macchina) decine di migliaia di uomini per generazioni di seguito. Era una mega-macchina l'apparato amministrativo-militare dell'impero romano. Formidabili mega-macchine sono state, nel Novecento, l'esercito tedesco e la burocrazia politico-economica dell'Urss. Come macchina sociale, il finanzcapitalismo ha superato ciascuna delle precedenti, compresa quella del capitalismo industriale, a motivo della sua estensione planetaria e della sua capillare penetrazione in tutti i sottosistemi sociali, e in tutti gli strati della società, della natura e della persona. Cosi da abbracciare ogni momento e aspetto dell'esistenza degli uni e degli altri, dalla nascita alla morte o all'estinzione. Perché il finanzcapitalismo ha come motore non più la produzione di merci ma il sistema finanziario. Il denaro viene impiegato, investito, fatto circolare sui mercati allo scopo di produrre immediatamente una maggior quantità di denaro. In un crescendo patologico che ci appare sempre più fuori controllo.