
Il divario di cittadinanza tra Nord e Sud del Paese è cresciuto negli anni successivi alla crisi del 2008. Nel silenzio dei media e in assenza di una "voce" da parte delle classi dirigenti nazionali e locali, il tradizionale divario territoriale che ha caratterizzato la storia unitaria italiana ancora prima e ancor più che differenza negli indicatori economici, è disuguaglianza nelle condizioni di vita. I dati ci dicono che per la prima volta nella storia repubblicana si stanno riaprendo le distanze tra Nord e Sud negli indicatori sociali, a partire dell'istruzione e dalla sanità. Un processo che ci ha reso più deboli, in tutto il Paese, nel fronteggiare la pressione dell'epidemia da Covid-19 e che espone, soprattutto le regioni del Sud, a enormi rischi sociali di fronte al fortissimo impatto economico della crisi. Questo volume è un diario di viaggio condotto negli ultimi quattro anni per vedere la vita di questo pezzo del nostro Paese. Un lungo peregrinare che narra di cosa rimane del sogno industriale degli anni Cinquanta in città dimenticate come Gela e che racconta le storie dei primari campani che si vanno a curare al Nord con il cuore in gola ma convinti che solo lì possono avere maggiori speranze di guarigione; dei pendolari alle prese con treni lumaca; delle mamme calabresi e siciliane che non studiano e non lavorano perché devono badare ai loro bambini in città dove non esistono asili nido o servizi per l'infanzia; dei giovani che hanno chiesto il reddito di cittadinanza perché in fondo non possono ambire ad altra forma di sostentamento; delle mafie che dalla povertà e dai bisogni traggono manovalanza per incrementare il loro esercito e fare affari al Nord. Un racconto che smentisce la vulgata di un Sud inondato di risorse ma che al tempo stesso evidenzia i disastri della classe dirigente recente e passata. La Costituzione detta dei principi comuni di cittadinanza in materie come l'istruzione, l'accesso alle cure sanitarie, l'assistenza sociale, le pari opportunità, la possibilità di fare impresa. Principi che oggi non sono rispettati in maniera omogenea nel Paese.
Soldi, lavoro, diritti, futuro: la forbice tra ricchi e poveri si sta allargando sempre più. In Italia, in Europa, nel mondo. La democrazia rischia di diventare una maschera ormai incapace di celare il vero volto delle disuguaglianze sociali. Disparità di genere, divario profondo e apparentemente incolmabile tra i Nord e i Sud del pianeta, diverse possibilità di accesso all'educazione, alla sanità, perfino ai sogni. E la rivoluzione tecnologica, accompagnata ai suoi albori dalla promessa di ridurre le distanze e promuovere una maggiore uguaglianza, che sembra essere diventata solo uno strumento di potere in mano a una nuova e ristretta schiera di oligarchi globali. È su questo terreno in perenne smottamento, per di più travolto dalla pandemia di Covid-19 come da un terremoto epocale che ne ha allargato ancora di più le crepe, che Claudio Brachino prova a muoversi per analizzare, osservare, capire. Non con l'occhio dell'economista di professione ma con quello del giornalista abituato a sporcarsi le mani con la realtà in cui vive, e a raccontarla.
Le sfide dell'oggi - poste dall'accelerazione dei cambiamenti climatici, dalla rapida trasformazione dei conflitti sociali, dalla nascita di nuove situazioni di marginalità multidimensionali - necessitano di risposte partecipate e coordinate; di un impegno condiviso da una pluralità di soggetti; di ingegnerizzare azioni orientate alla creazione di valore multidimensionale. L'imperativo della partecipazione, del coordinamento e della multidimensionalità può essere concretizzato in soluzioni capaci di rispondere alle questioni emergenti solo con la costruzione di un unico linguaggio teorico che, per il tramite di strumenti innovativi, diventa operativo per imprese, soggetti pubblici, scuole, università ed enti del terzo settore. L'obiettivo di questo manuale operativo è quello di introdurre logiche, modelli e schemi di rendicontazione non finanziaria, progettazione sociale e aziendale e valutazione d'impatto, al fine di favorire, presso tale pluralità di attori, l'attivazione di processi capaci di nascere e alimentarsi all'interno del framework della Nuova Economia, per l'attuazione della transizione verso uno sviluppo sostenibile che sia pienamente partecipato e multidimensionale.
Le più recenti vicende dell'Italia osservate e vissute da Paolo Savona in qualità di Ministro degli Affari europei e di presidente della Consob sono raccontate in questo nuovo lavoro che si può considerare un'appendice ai due precedenti pubblicati da Rubbettino su "La fine del laissez-faire e della liberal-democrazia" (2016) e sulle sue "Memorialia e moralia di mezzo secolo di storia" (2018). La sua interpretazione è che la politica monetaria ha assunto la guida del mercato finanziario, permettendo alla politica fiscale di spingersi oltre i suoi limiti, anche attraverso l'espansione dell'indebitamento pubblico. L'inversione eterodossa delle due politiche si era già delineata dopo la crisi finanziaria globale del 2008, ma ha assunto una chiara connotazione strutturale, forse irreversibile, a seguito dell'esplosione della pandemia sanitaria Covid-19. L'Unione europea e, nel suo ambito, l'Eurosistema hanno recepito e rafforzato i contenuti "non convenzionali" delle due politiche avviate dagli Stati Uniti, muovendo da quella intrapresa dalla Banca centrale europea nel 2012 e integrata quest'anno da quella fiscale con il Recovery fund (Next generation EU); queste decisioni, molto tormentate, rappresentano la vera novità dell'Unione, abbattendo, tra l'altro, l'opposizione alla mutualizzazione del debito tra Stati membri. L'A. ricorda che i due vizi di fondo del Paese sono l'assistenzialismo e il rispetto opzionale della legge e sottolinea il pericolo che il nuovo regime monetario e fiscale, permettendo l'esistenza di moneta e di pranzi gratis, possa impedire che le abbondanti risorse disponibili si indirizzino verso gli investimenti e vadano invece spese in assistenza generalizzata, salvataggi di imprese decotte e riaffermazione delle partecipazioni statali, rivitalizzando le spinte sociali in questa direzione presenti nella cultura del Paese, mai assopitesi. Tenendo conto dei profondi mutamenti epocali in atto, l'A. sollecita la costituzione di una Consulta pubblica di esperti che proponga al governo e al Parlamento un'architettura istituzionale adeguata ad affrontarli e suggerisce le azioni di breve periodo da continuare o intraprendere per raggiungere gli obiettivi strategici scelti.
"Oggi Roma è prigioniera. Prigioniera della cattiva politica e della pessima amministrazione, che l'hanno abbandonata a un declino (apparentemente) inesorabile. Prigioniera dello stesso ruolo di Capitale, senza lo status e i finanziamenti delle altre Capitali europee. Prigioniera dell'inerzia della sua classe dirigente economica, sociale e culturale che, per convenienza o pavidità, ha scelto di disinteressarsi del bene comune. Prigioniera - soprattutto - di un sistema di rendite unico a livello globale che rassicura e stordisce i romani, ne raffredda gli animal spirits e blocca gli ascensori sociali. Per far rinascere Roma, dunque, occorre passare da una terribile strettoia: trasformare la Capitale nel terreno della "battaglia finale" della produzione, dell'innovazione e delle competenze contro le rendite. Non è una missione impossibile: incrociando le caratteristiche della Capitale con i macrotrend a livello globale, è possibile costruire un grande progetto che la posizioni "in vantaggio" nella sfida per lo sviluppo che si giocherà nei prossimi anni tra metropoli globali e città internazionali. Non c'è più alternativa. La meravigliosa e fragile bellezza della Città Eterna è in grave pericolo: come Andromeda sullo scoglio, sta per finire nelle fauci del mostro che avanza tra i marosi. Ma stavolta la liberazione non potrà arrivare dal coraggio d'un eroe solitario: il mitologico Perseo potrà e avrà soltanto le sembianze della voglia di riscatto di un'intera comunità. La politica romana ha fallito troppe volte per poterci riprovare da sola: l'unica speranza è chiamare a raccolta le forze migliori della società. Perché quello che si è aperto con l'annus horribilis della pandemia potrebbe diventare, a sorpresa, il "decennio di Roma". Sempre che i romani - dai cittadini alle élite - lo vogliano davvero e inizino a pretenderlo da chi li governa. E anche da se stessi".
Dal 2013 Lazzaroni, grazie alla nuova proprietà, si è potuta riaprire alla grandezza del suo storico nome e del suo famoso successo nel mondo. Ha creduto nel cambiamento non solo fisico, spostandosi dal nord in un'area montuosa del centro Italia, ma anche ideale, lavorando sulla riqualificazione del brand attraverso le proprie risorse umane. Lazzaroni ha puntato sul capitale umano, che fino a quel momento era stato l'anello debole della catena, la parte che maggiormente aveva risentito le inversioni e impennate negative di questa grande famiglia della biscotteria italiana. Da qui dunque la vera sfida dell'educazione al cambiamento e al rinnovamento e la possibilità di ripensare il concetto di lavoro e degli ambienti lavorativi secondo una dinamica di autentica promozione dei singoli soggetti componenti la grande azienda. Da questa visione prospettica e aperta Lazzaroni ha quindi avviato un percorso di studio e di ricerca che prevede la costruzione di un modus pensandi per ogni operatore così che possa sentirsi autonomamente nelle condizioni di interpretare i fenomeni interni al lavoro, progettare l'agire, sostenere e realizzare una diversa cultura del lavoro e un'idea di impresa che si umanizza attraverso la cura e l'attenzione del lavoratore in una visione comunitaria.
Viviamo nell'area più ricca, libera, sana e longeva del mondo. Eppure non si sente che parlare delle colpe occidentali, del declino, della soccombenza, della debolezza, della povertà e così andando con difetti e drammi. Che non mancano, perché le cose peggiori prodotte dalla storia sono quelle che pensano d'essere perfette. Mentre noi siamo orgogliosamente imperfetti. Ma c'è una radice profonda, in quell'antioccidentalismo degli occidentali, e va cercata nella paura della libertà, che comporta sempre una collettiva e personale responsabilità. Molti orfani delle ideologie novecentesche non apprezzano la libertà di sognare e realizzare, ma tremano alla mancanza delle false certezze. Senza le quali si vive assai meglio.
La pandemia dà ragione agli ecologisti, all’idea che l’Homo sapiens abbia devastato la natura e ora ne paghi il prezzo? O al contrario dimostra che gli ecologisti hanno torto, che solo un uomo sempre piú “tecnologico” e “artificiale” può sconfiggere la natura “ostile”?
A partire da queste due opinioni contrapposte ed entrambe correnti, si snoda una riflessione sul pensiero ecologico, che vede l’uomo come “intruso” nel mondo naturale ma al tempo stesso, nel solco di Darwin, come specie animale integrata nei processi evolutivi. Questa contraddizione non ha impedito alle idee degli ecologisti di conquistare l’opinione pubblica, di penetrare nella mentalità contemporanea e soprattutto delle nuove generazioni. Ma di fronte alla pandemia e a una crisi ancora piú grave, quella climatica, gli ecologisti devono sciogliere le loro ambiguità, mettendo da parte pregiudizi e diffidenze verso la scienza e la tecnologia: oppure, da soluzione della crisi ecologica, il pensiero green rischia di diventare esso stesso parte del problema.
L'opera. Platone aveva immaginato una società dove i figli erano di tutti, nessuno conosceva la sua discendenza: tale modello avrebbe assicurato, secondo il filosofo, il governo dei “migliori”. Le tre maggiori religioni hanno invece elaborato “norme” precise e spesso contrapposte per definire e regolare la filiazione, la parentela e l’alleanza. Nella cristianità occidentale, l’importanza data alle donne nella trasmissione dei patrimoni produce una accelerazione nella circolazione dei beni e costruisce ingenti reti di ricchezza e di capitali. Il mondo arabo-musulmano, adoperando il “sistema” antico, basato su una bipolarità Stato-famiglia, alterna periodi di grande splendore con altri di profonda decadenza. Gli ebrei fanno della diaspora uno strumento per costruire reti commerciali internazionali a vasto raggio. Il volume esamina il percorso storico che ha portato all’affermazione di comportamenti familiari, meccanismi di parentela e scambi matrimoniali antagonisti, e analizza le conseguenze che si sono verificate sul piano dell’organizzazione sociale, dei circuiti economici e del sistema politico.
Alla radice della discrasia Stato-Nazione vi è la profonda e persistente incoerenza tra l'unità politica e la mancata unificazione economica del nostro Paese. Con visione tutt'altro che localistica, meridionalismo e neomeridionalismo hanno fornito un contributo essenziale al tentativo di mettere finalmente in sintonia lo Stato e la Nazione, condizione oggi quanto mai necessaria per essere protagonisti nei mercati globali.