
NeL volume si confrontano, alla luce della recente crisi finanziaria ed economica globale, approcci teorici diversi, suddivisi in due gruppi. Il primo (teorie economiche tradizionali) riguarda gli approcci classici, ortodossi o eterodossi, propri dell'economia politica tradizionale. Il secondo (nuova economia civile) include invece gli approcci teorici nati principalmente dalla società civile e accomunati dal mettere in discussione il paradigma dell'homo oeconomicus e dal soffermare la propria attenzione sul ruolo che valori etici e morali e beni diversi da quelli materiali (per esempio i beni relazionali) possono svolgere nel determinare le scelte degli individui. Le teorie appartenenti all'economia politica tradizionale descritte nel volume sono state trattate da Riccardo Faucci (economia liberale e liberista), Giacomo Costa (economia keynesiana), Carlo Panico e Antonio Pinto (economia po-stkeynesiana), e Fabio Petri (economia marxiana). Gli approcci di nuova economia civile sono stati invece presentati da Maurizio Pugno (economia deila felicità), Luigino Bruni (economia di comunione), Roberto Burlando (economia gandhiana), Leonardo Becchetti (economia solidale), Simone D'Alessandro (economia della decrescita) e Francuccio Gesualdi (economia della sobrietà). Stefano Zamagni ha scritto la prefazione e Pompeo Della Posta ha introdotto i temi trattati nel volume che ha curato.
Ci vorrebbe una nuova economia, più giusta: sempre più spesso si sentono riecheggiare queste parole, nel dibattito politico come nella società civile. Ma quali caratteristiche dovrebbe avere questa nuova economia? E in che senso dovrebbe essere diversa dal sistema attuale, che bene o male ha procurato un benessere diffuso e assicurato una rete di sicurezza anche alle fasce più deboli della popolazione? La riforma del sistema economico vigente ruota intorno ad alcuni punti ineludibili: la sostenibilità economica, la giustizia sociale, il rispetto dell'ambiente, ma ciò che più conta, scrive Reina, è che cambi la scala di valori su cui "si regge" la nostra società: basta allo sfruttamento incondizionato delle risorse, basta alla crescita continua, basta alla speculazione finanziaria, basta alla ricchezza esclusiva, basta ai manager onnipotenti e iperpagati, basta alle banche che fanno trading. Torniamo invece all'economia reale, alla manifattura, alla produzione di servizi utili alla cittadinanza, a un benessere orizzontale e inclusivo, a un'imprenditoria innanzitutto responsabile, alle banche commerciali e di territorio. In dodici capitoli, scritti con la competenza del tecnico e l'indignazione del cittadino, Reina propone una ricetta contro l'iniquità del presente, individuando storture ed eccessi, nella convinzione - sempre più condivisa - che l'economia del futuro o sarà più giusta dell'attuale o non sarà un'economia libera e di mercato. Prefazione di Marco Vitale
"Il libro di Médaille che ora viene portato all'attenzione del lettore arricchisce la nostra comprensione degli attuali sistemi economici e ci offre una chiave di lettura del funzionamento del mercato capitalistico in alternativa a quella del mainstream. La prospettiva distributista che l'autore avanza e sviluppa fa comprendere il duplice senso in cui la scienza economica è una struttura aperta di pensiero. Per un verso, perché il suo fondamento non le appartiene, dal momento che i suoi presupposti non sono scientificamente giustificabili. Invero, non si può giustificare nulla senza presupporre già qualcosa, il che significa che l'economia è costretta a riferirsi a un fondamento che le è esterno. Per l'altro verso, l'economia è una scienza aperta perché essa non offre una conoscenza esaustiva della realtà. È per questo che l'economia deve intrattenere stretti rapporti di vicinanza con l'etica, la storia, la politica, la filosofia. A partire da una critica radicale dell'economia moderna, Médaille mostra che al fondo del distributismo sta una idea guida ben precisa: non è accettabile che il momento della produzione della ricchezza (o del reddito) venga separato dal momento della sua distribuzione. Questo significa che efficienza e giustizia distributiva devono avanzare insieme, proprio come la celebre metafora dei due cavalli di Platone (Fedro) insegna da tempo." (Stefano Zamagni). Prefazione di Bruno Amoroso
Tutti i tentativi di far ripartire la crescita per superare la crisi economica mondiale non hanno prodotto, sino ad ora, l'effetto desiderato. Oltre a ciò, la potenza raggiunta dalla megamacchina industriale sta esaurendo gli stock di risorse non rinnovabili ed emette quantità crescenti di scarti, liquidi, solidi e gassosi, non metabolizzaci dalla biosfera. Per tutte queste ragioni, secondo Maurizio Pallante, occorre cominciare a costruire modelli economici e produttivi alternativi, a instaurare relazioni umane rondate sulla collaborazione e la solidarietà, a promuovere l'autosufficienza, soprattutto alimentare ed energetica, delle comunità locali, a realizzare forme più eque di redistribuzione delle risorse tra i popoli, a garantire il futuro delle generazioni a venire grazie al modello della decrescita felice proposto in questo volume. La vita monastica, che ha rappresentato per secoli uno dei modelli vincenti di utilizzazione delle risorse e di aggregazione sociale, ritrova in questo momento storico la sua attualità: l'organizzazione comunitaria, il rapporto tra la dimensione del lavoro e la dimensione spirituale degli antichi monasteri possono offrire indicazioni importanti a chi voglia fondare i monasteri del terzo millennio e attuare la rivoluzione dolce di cui c'è bisogno oggi.
Com'è possibile che l'umanità, che ha raggiunto un progresso tecnologico senza precedenti, non riesca a fare in modo che ogni uomo sul pianeta possa disporre di una casa, di cibo, degli indumenti essenziali, di cure adeguate, di un lavoro dignitoso commisurato alle sue possibilità? A questa domanda fondamentale - e sempre più urgente visti il degrado della nostra società e l'acuirsi delle disuguaglianze fra poveri e ricchi - la lettura di questo libro fornisce alcune risposte. Per l'autore la società potrà cambiare soltanto quando un'etica diversa guiderà le nostre azioni, sapremo instaurare un nuovo rapporto con la natura e abbandoneremo l'odierna "logica della crescita e della produttività", che si è rivelata rovinosa e incapace di risolvere i problemi, per una logica economica alternativa, davvero a misura d'uomo (con la creazione di fattorie e di piccoli centri abitati in cui si pratichi un'agricoltura di sussistenza, ad esempio, e una produzione industriale limitata ai beni veramente necessari). Con il suo stile semplice e diretto, Pierre Rabhi trasmette ai lettori una profonda simpatia per la terra e per il suo ideale di una sobrietà felice.
Da molti anni Warren Buffett - definito "l'oracolo di Omaha" - è ritenuto uno dei due-tre uomini più ricchi al mondo, con un patrimonio stimato di diverse decine di miliardi di dollari. Warren ha comprato le prime azioni a 11 anni e da quel momento ha sempre guadagnato, arrivando ad acquisire quote importanti di multinazionali leader come Coca-Cola, The Walt Disney Company, American Express, Budweiser, Wal-Mart e Wrigley. Che cosa gli ha permesso di avere sempre successo in un mercato complesso e pieno di insidie come quello azionario? Quali sono i trucchi, i segreti e i principi di un businessman così geniale e atipico? I due autori, attraverso l'analisi di 125 "sentenze" del loro guru, delineano una mentalità e una filosofia caratterizzate in primo luogo dalla capacità di andare sempre in direzione opposta al "gregge". Ciò che conta per Buffett è investire i propri soldi in modo sicuro, comprando, al prezzo più vantaggioso possibile, società in grado di acquistare valore nel lungo periodo, che producano prodotti semplici e di largo consumo e siano gestite da manager in gamba. L'importante, secondo il miliardario americano, è non dare ascolto alle "sirene" del mercato, e non farsi infinocchiare dai "maghi" di Wall Street: promettono grandi guadagni in poco tempo, ma in realtà vogliono solo speculare sui nostri soldi.
E se un giorno chi detiene le chiavi dell'economia mondiale prendesse le sue decisioni non solo ricercando il profitto, ma lasciandosi guidare da principi morali universali? Forse il benessere sarebbe più diffuso e nei momenti di crisi alla fine si conterebbero meno vittime... Questa prospettiva è decisamente di là da realizzarsi. Ciò non toglie che si possa cominciare a porre le basi ideali per una fondazione morale dell'economia, che abbia al suo centro l'attenzione per l'uomo e - esigenza non più rinviabile - la cura dell'ambiente. In questo libro si apre una riflessione a tutto campo che invita gli attori economici a chiedersi non solo che cosa sia più vantaggioso, ma che cosa sia più giusto fare. Questa domanda fondamentale viene via via declinata in interrogativi più specifici: è vero che tutto può essere comprato e venduto? Bene e utile coincidono? L'interesse di chi bisogna perseguire nella propria iniziativa imprenditoriale? L'avidità è il motore del progresso oppure un vizio? In quale misura sono accettabili le diseguaglianze economico-sociali? Che tipo di uomo vuole essere il businessman? Quale rapporto ha la ricchezza con la felicità? Quali valori sono in gioco nell'attività economica? Che cosa si intende per sviluppo, e lo sviluppo di chi si deve ricercare? Lungo questo percorso, a segnare i punti fermi del ragionamento, si ritrovano alcuni imperativi morali, che intendono offrire un orientamento per capire come rendere eticamente corretto il proprio agire economico. Da questa prospettiva l'etica e l'economia non sono discipline separate o addirittura in competizione tra loro, ma modalità di intervento sulla realtà in dialogo e mutua collaborazione, entrambe dirette verso il «bene», concetto che è tanto più urgente riscoprire quanto più oggi suona fuori moda e privo di significato.
Non viviamo nel migliore dei mondi possibili. Facciamocene una ragione. Le limitazioni alla democrazia, il potere dispotico esercitato sui popoli dalle istituzioni sovranazionali, la prevalenza della finanza sulla politica, sono tutti effetti prodotti dall'economia della crescita continua. Un sistema che sta giungendo alla fine e che, come un animale ferito, mostra il suo volto peggiore e aggressivo, pronto a trascinare tutto e tutti nel baratro. Per arginare questa potenza distruttrice non basta riformare il sistema, ma è necessario cambiare l'orizzonte culturale e le categorie attraverso le quali pensiamo e interpretiamo il mondo. Le grandi famiglie politiche tradizionali non sono in grado di comprendere i rischi che l'umanità corre in questa fase storica, in cui il modo di produzione industriale si sta estendendo a tutto il mondo. Destra e sinistra sono categorie del passato. E per certi versi incarnano anche parte del problema. Se vogliamo garantirci un futuro dobbiamo smetterla con la crescita. Solo una decrescita felice, selettiva e governata, può salvarci.
Gli autori analizzano la realtà italiana illustrando i vari significati del "conflitto d'interessi", dimensione trasversale riscontrabile in ogni dimensione progettuale e produttiva del Paese (politica, informazione, sanità, ricerca scientifica), che ha causato un vero arretramento della democrazia e dell'economia. Ma per cogliere la dimensione del problema bisogna allargare lo sguardo: si vedrà così quanto la separazione dei poteri sia compromessa dalla mancanza di efficaci sistemi sovranazionali di controllo, e la necessità di normative europee e internazionali per tutelarla. Un libro che lascia presagire un triste scenario futuro, se non si interverrà per mutarlo con riforme appropriate e promuovendo un'inversione di tendenza culturale, che diffonda la percezione del conflitto d'interessi come "disvalore".
Questo libro accomuna in un'improbabile simbiosi due tipi di scienziati che, a prima vista, sembrerebbero non avere molto in comune: il naturalista e l'economista. Ma teoria dell'evoluzione e economia hanno in realtà molte analogie, e spesso gli argomenti usati per spiegare determinati fenomeni economici hanno una sorprendente affinità con l'evoluzione biologica. E "poiché gli uomini si sono evoluti come narratori di storie, praticamente tutti trovano facile assorbire le informazioni in forma narrativa". Di qui la formula di questo libro non convenzionale ma curioso e al tempo stesso serissimo, basato su domande e risposte riguardanti argomenti e situazioni solo in apparenza "minori" - che possiamo osservare nella vita di ogni giorno: si va dal frigorifero al computer, dalle auto usate al fascino esercitato dalla timidezza, ai tacchi alti portati dalle donne (e ai bottoni dei loro abiti). Fra i principi che meglio si prestano ad essere esposti mediante una forma "narrativa" (accompagnata, in questo caso, da divertenti vignette), e che aiutano i lettori a imparare in modo facile e indolore i fondamenti dell'economia, ci sono per esempio il principio dei costi e benefici e la legge della domanda e dell'offerta. Ancora più sorprendente è il fatto che una quantità insospettata di comportamenti strani o misteriosi in cui ci si imbatte nell'esperienza quotidiana risultano avere, a un attento esame, precise motivazioni economiche.
Un impietoso affresco del capitalismo italiano che ritrae un sistema economico in declino attraverso le sue figure più fragili: i rampolli delle grandi famiglie imprenditoriali, tutte alle prese col passaggio generazionale. Sottolineando un male tipicamente italiano, quel "tengo famiglia" che secondo Leo Longanesi avrebbe dovuto essere scritto sulla bandiera tricolore, Filippo Astone passa in rassegna le storie di molti "tesori di papà"; ne racconta vizi e virtù, senza sconti per nessuno, e li classifica in base ai risultati che hanno prodotto. C'è chi ha distrutto le aziende del padre e rovinato la vita ai dipendenti. Chi è sotto inchiesta per aver contribuito a provocare lo scandalo dei rifiuti a Napoli. Chi - pur in assenza di giustificazioni economiche e di merito - riceve compensi e incentivi pari a decine di milioni di euro. Chi (pochi per la verità) è riuscito a fare meglio del padre. Chi si è dedicato anima e corpo a Confindustria. E infine chi è entrato in guerra con il potente genitore che in modo plateale l'ha pubblicamente rinnegato. È il caso, quest'ultimo, di Giuseppe Caprotti e di Roberto Berger, fortemente criticato in "Falce e carrello" il primo, e additato al pubblico ludibrio in "Disonora il padre" il secondo. "Gli affari di famiglia" è anche una risposta a questi due libri che confuta completamente, ribaltandone tesi e conclusioni.

