
Il volume raccoglie i contributi di Georgescu Roegen Nicholas nell'ambito della bioeconomia, ma soprattutto, cerca di offrire alla teoria bioeconomica un carattere di maggior sistematicità, integrandola con gli sviluppi più significativi che si sono avuti in tempi recenti in particolare nella biologia e nella teoria dei sistemi complessi. Il volume vuole inoltre recuperare lo spirito originale che animava la teoria bioeconomica.
Secondo Latouche, bisogna mettere in discussione i concetti di crescita, povertà, bisogni fondamentali, tenore di vita e decostruire il nostro immaginario economico, che è ciò che affligge l'occidentalizzazione e la mondializzazione. Non si tratta ovviamente di proporre un impossibile ritorno al passato, ma di pensare a forme di un'alternativa allo sviluppo: in particolare la decrescita condivisa e il localismo. Serge Latouche è professore emerito di Scienze economiche all'Università di Paris-Sud. Specialista dei rapporti economici e culturali Nord-Sud e dell'epistemologia delle scienze sociali, è autore di numerose opere.
La decrescita - sostiene l'autore - non è la crescita negativa. Sarebbe meglio parlare di "acrescita", così come si parla di ateismo. D'altra parte, si tratta proprio dell'abbandono di una fede o di una religione (quella dell'economia, del progresso e dello sviluppo). Se è ormai riconosciuto che il perseguimento indefinito della crescita è incompatibile con un pianeta finito, le conseguenze (produrre meno e consumare meno) sono invece ben lungi dall'essere accettate. Ma se non vi sarà un'inversione di rotta, ci attende una catastrofe ecologica e umana. Siamo ancora in tempo per immaginare, serenamente, un sistema basato su un'altra logica: quella di una "società di decrescita".
Sono qui raccolti i principali scritti di Pound "economista" che presentano il corpus articolato di una riflessione condotta nel corso degli anni Trenta da posizioni sì moralistiche, ma non prive di riscontro presso i monetary cranks, quegli economisti eretici rispetto ai quali fu costretto a prendere posizione lo stesso Keynes. Come mostra Giorgio Lunghini, nel suo saggio introduttivo, la premessa etica di Pound, la sua "filosofia sociale", non è molto lontana da quella di Keynes, certo tenuto a un più professionale realismo, in particolare quando si tratta di affrontare il problema della disoccupazione. In appendice due articoli apparsi nella rivista di T. S. Eliot "Criterion" e una selezione dei discorsi di Pound alla radio fascista pronunciati durante la guerra. Con la prefazione di Mary de Rachewiltz e l'introduzione di Giorgio Lunghini.
il contenuto
Dall’autore del Breve trattato sulla decrescita serena, ecco un saggio di interrogazione radicale sul terreno di una delle «invenzioni» cruciali della modernità.
Come si è formato il nostro «immaginario economico », la nostra visione economica del mondo? Perché oggi vediamo il mondo attraverso i prismi dell’utilità, del lavoro, della concorrenza, della crescita illimitata? Che cosa ha portato l’Occidente a inventare il valore produttività, il valore denaro, il valore competizione, e a costruire un mondo in cui nulla ha più valore, e tutto ha un prezzo?
Serge Latouche ritorna qui alle origini di questa economia che i primi economisti definivano la “scienza sinistra”, e articolando la sua argomentazione in prospettiva storico-filosofica, mostra come si è plasmata la nostra ossessione utilitarista e quantitativa, e ci permette così non solo di gettare uno sguardo nuovo sul nostro mondo, ma soprattutto di affrontarne la sfida sul piano di valori davvero fondamentali come libertà, giustizia, equità.
l'autore
Serge Latouche, professore emerito di scienze economiche all’Università di Paris-Sud, è specialista dei rapporti economici e culturali Nord-Sud e dell’epistemologia delle scienze sociali
Diplomata nel 1984 in una delle più prestigiose business schools francesi, Florence Noiville pone in questo libro due domande fondamentali: le scuole economiche d’eccellenza hanno la loro parte di responsabilità nella crisi che sta devastando società e mercati? Sono state almeno in grado di preparare le élite di domani ad affrontare l’emergenza? Le risposte sono tutt’altro che rassicuranti: sì, le business schools sono colpevoli perché orientano esclusivamente al profitto, mettendo ai posti di comando manager nutriti di elitismo e cultura della prestazione; no, non hanno preparato ad affrontare il disastro perché si sono limitate a sopravvalutare il successo economico.
Tra ricordi autobiografici e casi concreti, Florence Noiville traccia così una panoramica demistificatoria su alcuni disastri dell'economia attuale. Con la sua lucida analisi del fallimentare rampantismo di una generazione, la Noiville consegna al lettore una critica tagliente e ironica della legge del «profitto prima di tutto». Eppure, alla fine, un sogno rimane: quello di un insegnamento che prepari i nuovi dirigenti a evitare le trappole dell'euforia speculativa, che scardini i privilegi delle élite manageriali, in nome della responsabilità, e apra la strada a un capitalismo eticamente sostenibile.
l'autore
Florence Noiville lavora come giornalista a «Le Monde». Dopo la laurea in diritto commerciale presso l'École des Hautes Études Commerciales (HEC), ha presto abbandonato la carriera nella finanza in nome della cultura. Oggi scrive come critica letteraria su «Le Monde des livres», ed è anche saggista e romanziera. In traduzione italiana sono usciti Isaac B. Singer. Una biografia (2006)
Nel volume sono raccolte le testimonianze di quarantacinque autorevoli personalità della vita pubblica italiana - da Ciampi a Draghi, da Cossiga a Prodi, da Colombo a Padoa-Schioppa - che, riflettendo sulla figura di Guido Carli allo scopo di ricostruirne il pensiero e l'azione, hanno ripercorso con la memoria gli snodi cruciali del processo di sviluppo del nostro paese. Al lettore viene così fornita una chiave interpretativa originale per comprendere la visione e gli obiettivi che hanno ispirato, spesso alimentando grandi speranze, la classe dirigente che ha guidato l'Italia dalla ricostruzione postbellica fino alla scelta europea del 1992. Nelle parole dei personaggi che hanno dato vita a questo libro si ritrovano le radici della nostra storia contemporanea e le ragioni per cui, di volta in volta, di fronte ad alternative molteplici, è stata imboccata una determinata direzione; vengono avanzate ipotesi sull'evolvere delle nostre strutture economiche; emergono i successi conseguiti e i progressi compiuti dal paese così come le contraddizioni, i vizi, le carenze, le occasioni mancate. Gli eventi raccontati si intrecciano con i fondamentali passaggi della vita di Guido Carli: la nomina a governatore della Banca d'Italia, l'incarico alla presidenza di Confindustria, la fondazione della Luiss Guido Carli, l'elezione a senatore, la nomina a ministro del Tesoro.
La felicità in un mondo con risorse limitate: meno consumi materiali e più ricchezza interiore, meno «ben essere» e più «ben vivere», ecco l’«utopia concreta» che ha fatto del “Breve trattato sulla decrescita serena” un caso editoriale in Europa. Dopo “Breve trattato sulla decrescita serena” Latouche riprende in questo libro la sua riflessione sulla necessità di abbandonare la via della crescita illimitata in un pianeta dalle risorse limitate. Non si tratta, a suo giudizio, di contrapporre uno sviluppo “buono” a uno “cattivo”, ma di uscire dallo sviluppo stesso, dalla sua logica e dalla sua ideologia. Per questo è innanzitutto necessario «decolonizzare l’immaginario», cambiare la propria visione del mondo. E la scuola, l’educazione è dunque un terreno di lotta privilegiato. La crisi stessa dello sviluppo e della crescita può essere una «buona notizia», se servirà ad aprire gli occhi sulla insostenibilità del «progresso» che l’Occidente ha realizzato fin qui. Per Latouche, infatti, la via della decrescita serena passa in primo luogo per una presa di coscienza del fatto che lo sviluppo è un’invenzione dell’uomo, e che il rapporto tra uomo e natura può essere rimodellato in una dimensione «conviviale», rispettosa della legge dell’entropia e finalizzata alla felicità piuttosto che all’appropriazione delle cose.
Che cos'è mai l'abbondanza frugale, oltre a un ossimoro che lega provocatoriamente due opposti, a un'ennesima parola d'ordine suggestiva e impraticabile? Se qualcuno replicasse così alla prospettiva di una convivenza capace di sobrietà non punitiva, verrebbe preso sul serio da Serge Latouche, e contraddetto con ottime ragioni. Agli argomenti di chi dissente da lui e dagli altri, sempre più numerosi, "obiettori'di crescita", il maggior teorico della decrescita dedica questo libro, ormai necessario dopo anni di malintesi, resistenze, travisamenti strumentali, accese controversie. Gli sviluppisti incrollabili, o gli scettici poco inclini a dar credito alle logiche antieconomiche, troveranno qui il repertorio delle loro tesi e delle loro perplessità, smontate una a una. Sarà difficile continuare a sostenere con qualche fondatezza che la decrescita è retrograda, utopica, tecnofoba, patriarcale, pauperista. La crisi devastante che stiamo vivendo la indica invece come l'uscita laterale dalla falsa alternativa tra austerità e rilancio scriteriato dei consumi. Un'abbondanza virtuosa, ci avverte Latouche, è forse l'unica compatibile con una società davvero solidale.
Sfidare i limiti è l'imperativo del nostro tempo. Forzare il possibile, passare il segno, trasgredire in senso etimologico. Destino paradossale, quello delle parole. In nome della trasgressione appena ieri ci si faceva beffe dei divieti imposti per via autoritaria e del perbenismo, si aspirava all'equità sociale. Secoli prima, grandi movimenti di pensiero avevano ingaggiato battaglia con i valori tramandati, e inaugurato così la modernità. Ma l'"andare oltre" di oggi è l'emblema del dominio, perché si annida in un modello di sviluppo planetario che rispetta una sola regola: ignorare ogni confine naturale, geopolitico, etico, antropologico e simbolico, assimilandone l'idea stessa a remora passatista di cui liberarsi per aprire ai mercati. Il peccato di dismisura, sanzionato con severità dagli antichi, si è rovesciato in precetto; il furore prometeico ha sopravanzato lo spirito di sovversione. Serge Latouche non ci sta. Da anni elabora il progetto di un'alternativa praticabile al binomio crescita-illimitatezza. Si chiama decrescita e il suo concetto strategico è limite. Sinonimo di privazione in una prospettiva sviluppista, il limite appare qui come il vero punto di forza che può trattenerci dal baratro. Alla tracotanza autodistruttiva dell'universalismo liberoscambista e alla pervasività delle sue invarianti culturali, Latouche contrappone le eco-compatibilità, le sovranità circoscritte, le identità plurali, i legami che creano società.