«La poesia, così come la prosa, sta semplicemente tornando a essere ciò che è sempre stata. Cinque secoli di silenziosa cultura tipografica sono solo una parentesi nella lunga storia, Foucault avrebbe detto "a pendenza lieve", dell'"arte del discorso" e della sua inseparabile gemella che riguarda tutti: "l'arte dell'ascolto". Ogni epoca può fare arte con i mezzi che si trova a disposizione, schizzare via più rapida di quanto ci sta già mutando, oppure ricorrere ai mezzi precedenti e già desueti, con i quali solitamente si cerca di tenere buoni e fermi coloro i quali, per loro stessa natura, sono in perpetuo transito. Se io metto su un congegno ad arte per tornare a ripeterti "sta buono lì", non è cambiato nulla, vuol dire che ho il mio interesse nel condividere la messa in stato con cui altre forze, mobilissime e fin troppo dinamiche, ci ripetono di stare tranquilli, perché tanto è tutto come prima. Ma se ti chiedo invece di "darti una mossa" e vivere veloce, allora vuoi dire che io, con te, quelle forze le voglio fregare, e che non voglio starmene fermo ad aspettare che decidano la mia sorte». Gabriele Frasca
Ultima figura emblematica di una ormai classica tradizione modernista, erede e testimone di quel fecondo ambiente romeno di cui facevano parte Brancusi e Tzara, Ionesco, Eliade e Cioran, e come loro inevitabilmente esule, Nina Cassian ha percorso un tragitto artistico e umano singolare come la sua persona. Nel 1985, già titolare di una lunga carriera di successo (con qualche strappo al morso del regime), durante un soggiorno negli Stati Uniti finisce nel mirino della polizia, che ha scoperto certi suoi testi a dir poco caustici contro la politica e i politicanti del Paese: decide allora di non tornare in patria e chiede asilo politico. Qui, sostenuta e tradotta da vari poeti americani, rinasce a nuova vita. E la scelta, la riproposta, la traduzione, a volte la vera e propria ricreazione delle poesie romene precedenti l'esilio, nonché la stesura di nuovi componimenti - in romeno prima, e dopo qualche anno anche in inglese -, alimenteranno un corpus che non ha riscontri, né rivali, nell'odierno panorama poetico internazionale. Si avvertono, nella voce della Cassian, echi ravvicinati di tutta la più nobile stagione del Novecento: da Mandel'stam a Cvetaeva, da Apollinaire a Brecht a Celan, e si potrebbe risalire fino a Emily Dickinson, "sublime sorella", o anche più indietro, all'amoroso "furor" saffico.
Quando ho cominciato a studiare poesia a Yale verso la fine degli anni Settanta, il primo nome di poeta che chiunque avrebbe nominato era John Ashbery. Era l’uomo del mo- mento, il poeta del quale bisognava aver letto i lavori più recenti se davvero si voleva conoscere lo stato dell’arte ed essere à la page. Quando qualche anno fa ebbi l’occasione di tornare a Yale, dopo un quarto di secolo, il poeta di cui più parlavano i giovani lettori, il cui ultimo libro era un passag- gio obbligatorio, il cui lavoro sembrava essere al centro del momento culturale, era ancora John Ashbery.
— Joseph Harrison, dall’introduzione
La grande innovazione delle poesie di Ashbery sta nel fatto che esse non spiegano né simbolizzano e nemmeno si riferi- scono a qualche esperienza che il poeta ha avuto, qualcosa che è fuori di loro e nel mondo, qualcosa di precedente. Le poesie non sono “su” nulla, sono loro a essere qualcosa, esse sono la loro stessa creazione, e sarebbe più giusto dire che il mondo è, invece, una loro chiosa, un saggio critico su di esse. Con tutta la sua modestia e amabilità, nondimeno questa è la grande asserzione simbolista di Ashbery: che il mondo esiste per finire in un libro.
Aforismi inediti
2007-2009