Il "tamburo del diavolo" è, nella colorita immagine usata dai pastori del Cilento, il fragore del tuono, che porta la tempesta e oscura il sole. Questo libro, fin dal titolo, vuole essere dunque uno straordinario omaggio ai pastori, e insieme un rigoroso e ricchissimo studio antropologico del loro mondo. Frutto di una ricerca intrapresa da quarant'anni, esso evoca, per il suo respiro, il grande antecedente del lavoro sui contadini e il mondo magico di Ernesto De Martino. Nei pascoli solitari delle montagne non giungevano i rumori e i contrasti della città. Ma si può ancora immaginare, nella convulsione attuale dei centri urbani, com'era la vita di un pastore? A narrarla, in questo volume, sono gli stessi protagonisti, per lo più del Vallo di Diano, ma anche delle aree vicine, Cilento e Basilicata. I racconti, registrati a partire dagli anni settanta, sono espressione diretta della collettività pastorale. Non pochi, tra i testimoni interpellati, erano nati nell'Ottocento e conoscevano bene le tradizioni degli avi, al di là delle proprie esperienze di vita. Non si può entrare nel vissuto quotidiano del pastore senza tener conto dell'alone di mistero che lo circondava: ecco perché una parte importante del libro è dedicata al suo mondo magico. Qual è il senso del recupero di queste memorie? Prima di tutto un bisogno profondo di ricerca della più remota identità dei luoghi. E un mondo perduto, quello di cui stiamo parlando? Forse, e fortunatamente, ancora non del tutto.
«L’incontro tra credenti e non credenti avviene quando si lasciano alle spalle apologetiche feroci e dissacrazioni devastanti e si toglie via la coltre grigia della superficialità e dell’indifferenza, che seppellisce l’anelito alla ricerca, e si rivelano, invece, le ragioni profonde della speranza del credente e dell’attesa dell’agnostico».
Gianfranco Ravasi
Stimolare e raccogliere le riflessioni di credenti e non credenti sui temi più diversi, come la salvaguardia del pianeta, la questione della laicità, l’interrogativo nietzschiano sulla morte di Dio, o la riflessione critica sul nichilismo o sull’indifferenza: è questo l’intento di una nuova iniziativa promossa dal Pontificio Consiglio della Cultura, il Cortile dei Gentili. Creato dal cardinale Gianfranco Ravasi in risposta all’invito di Benedetto XVI ad aprire la Chiesa a coloro che «non vogliono vedere se stessi come oggetto di missione, né rinunciare alla loro libertà di pensiero e di volontà», il Cortile dei Gentili rimanda a quello spazio dell’antico Tempio di Gerusalemme a cui potevano accedere anche i non ebrei indipendentemente dalla cultura, dalla lingua o dalla religione. Dunque uno spazio ideale di incontro e confronto delle molteplicità di pensiero intorno alle questioni ultime dell’esistenza. Ma quali sono oggi le basi per un dialogo tra laici e credenti?Quali i temi e quali le finalità che possono sostanziarlo? A questi e altri interrogativi di fondo rispondono le grandi personalità della scienza, del diritto e
della filosofia che per prime hanno accolto le sollecitazioni del Cortile dei Gentili.