"La rivoluzione farà molto di più che liberare dall'oppressione e dall'imperialismo: creerà un nuovo tipo di essere umano." Era il 1979 quando Khomeini pronunciò queste parole. Il suo ritorno a Teheran dopo l'esilio fu salutato da quattro milioni di persone, pronte a travolgere la monarchia e instaurare una Repubblica islamica. In nome dell'islam la società iraniana si sarebbe liberata dall'ingiustizia, dalla povertà, dalla corruzione. Ma era sempre in nome dell'islam che un uomo solo, dopo lo shah, continuava a decidere le sorti del Paese. Dieci anni dopo, nel giugno 1989, l'Iran era reduce da una devastante guerra contro l'Iraq e da sanguinose lotte interne quando il funerale di Khomeini venne celebrato in un'atmosfera di esaltazione mistica. Oggi Ahmadinejad, il presidente-pasdaran, ha invocato una "seconda rivoluzione", puntando sui programmi nucleari, su un populismo millenarista e sull'avanzata dello sciismo in Medioriente. Qual è il segreto della solidità della Repubblica islamica, che con tutte le sue ombre continua a guidare una società vivace e complessa? In questo libro Alberto Negri ripercorre la storia dell'Iran per rintracciare le origini della rivoluzione, esplorandone i luoghi, interrogandone i protagonisti, rivelando il ruolo del petrolio e "le colpe" dell'Occidente, e districando la rete di alleanze fra le forze economiche e religiose del Paese che da trent'anni vanifica ogni speranza di riforme nella "Repubblica degli ayatollah".
Autrice di fama mondiale, amata per la sua particolare sensibilità letteraria, Sue Miller torna a parlarci di famiglia, maternità e fedeltà, attraverso l'intenso ritratto di due donne che agli opposti stadi della vita si trovano a dover affrontare problemi paralleli. La giovane Meri si è appena sposata con Nathan, un brillante docente universitario. Una gravidanza inattesa la costringe a riflettere su se stessa, sullo scarto - che col passare del tempo si fa sempre più ampio - fra aspettative e realtà. Delia, la raffinata vicina di casa, è la moglie del senatore di lungo corso Tom Naughton. L'infedeltà cronica di quest'ultimo è un fatto risaputo nei circoli mondani e politici di Washington, ma ogni volta che s'incontrano, i due sembrano vivere un riavvicinamento profondo e sincero. Com'è possibile, di fronte all'ennesima umiliazione, provare ancora una forma d'amore? Fino a che punto un cammino segnato dai compromessi e dalle delusioni può culminare nella grazia e nel perdono?
Prefazione.
Ero adolescente quando venni a sapere che Chomsky era un anarchico: la cosa ebbe un grande effetto su di me. Eravamo verso il 1980 e, mentre la parola «anarchia» veniva gridata dal palco del concerto punk cui assistevo, mi sentivo solo nella mia convinzione che, nella dottrina da me adottata, c’era qualcosa di profondo e molto serio, qualcosa che trascendeva le facili esortazioni ad «abbattere lo stato», senza alcun suggerimento su come fare o con cosa sostituirlo. Avevo letto i classici (Proudhon, Bakunin, Kropotkin), ma era difficile trovarli, e poi erano morti. Chomsky non era soltanto vivo, ma anche un intellettuale assai letto e rispettato, che aveva scritto il suo primo saggio filoanarchico all’età di dieci anni, da ragazzo aveva frequentato le librerie e le rivendite anarchiche sulla Quarta Avenue, a Manhattan, non molto lontano da dove si teneva il concerto punk, e da adulto aveva mantenuto le sue convinzioni antiautoritarie. Nonostante la contraddizione che i miei compagni di quella sera avrebbero potuto rilevare nel mio ricorrere all’autorità di un personaggio pubblico, la cosa mi confortava, mi
faceva sentire meno solo.
In parte, questo libro viene pubblicato affinché possa ispirare quello stesso senso di scoperta e conforto. Ovviamente, è molto più difficile oggi nascondersi, se non altro all’interno dello stesso movimento anarchico. L’anarchia è più visibile e diffusa, il senso comunitario e di appartenenza molto più facile da trovare. Conosciamo meglio la versione chomskyana del socialismo libertario. Ma forse questa familiarità è pericolosa: crediamo di sapere cosa sia l’anarchia e chi sia Chomsky; così facendo, però, perdiamo un mucchio di sfumature e complessità. I saggi e le interviste contenuti nel presente volume, che risalgono al periodo tra 1969 e 2004, contengono, lo spero, alcune sorprese e stimoleranno domande anche agli anarchici più sicuri di sé.
Pubblichiamo inoltre quest’opera per i tanti che non sanno cos’è l’anarchia o che ne hanno una conoscenza perlopiù limitata ai titoli dei giornali che vogliono fare sensazione. A queste persone, presentiamo Chomsky come figura di collegamento con la nuova serie di idee sui mezzi per realizzare un cambiamento sociale, con una tradizione di concezioni e pratiche rivoluzionarie che, da 150 anni, cercano la giustizia socioeconomica senza la mediazione di capi, politici o burocrati. Al di fuori del movimento anarchico, molti sono completamente all’oscuro del fatto che l’opera di Chomsky affonda
le radici nel socialismo libertario, e che esse non riguardano solo la sua critica sociale, ma anche la sua teoria linguistica. Per loro, quindi, le sorprese di questo libro saranno perfino maggiori. In fondo, cosa potrebbe avere in comune quest’uomo tanto intelligente e ragionevole con gli individui che i telegiornali ci descrivono come l’antitesi della Ragione?
Parecchie cose, come dimostrano chiaramente i seguenti capitoli. La notissima critica chomskyana ai mezzi di comunicazione, alla politica estera americana, allo sfruttamento e all’oppressione di ogni genere, non nasce dal nulla. Si fonda infatti sulla sua idea basilare di quel che significa essere uomini: chi siamo, ciò che possiamo diventare, in che modo possiamo organizzarci la vita e come il nostro potenziale viene deformato e inibito dai rapporti gerarchici.
La critica senza una teoria sottesa si riduce alla semplice lamentela, cioè al modo in cui politici e mezzibusti della Fox News dipingono ogni protesta sociale. Per capire Chomsky, dobbiamo comprendere la sua filosofia, il che equivale a dire che occorre capire come concepisce l’anarchia.
Se questa raccolta servirà al suo scopo, sarete a buon punto. Nell’Introduzione, Barry Pateman sostiene che non esiste un’unica definizione movimento anarchico. Certo, alcuni anarchici appoggerebbero
qualche aspetto della versione chomskyana, per esempio il suo sottolineare l’importanza delle vittorie del riformismo, benché lui stesso ne scorga i limiti. Tuttavia, chiunque legga questo libro, sia che non sappia nulla sia che creda di sapere tutto sull’anarchia, imparerà qualcosa di prezioso. E poi spero che sarà incentivato a saperne di più, magari per contribuire a forgiare il mondo immaginato da Chomsky, quello in cui ognuno parteciperà direttamente alle decisioni che influiscono sulla sua vita e ove l’autorità illegittima verrà relegata nel posto che le spetta: una triste nota a piè di pagina sui tempi precedenti a quelli in cui sapremo metterci d’accordo per sistemare le cose nella giusta maniera.
Spesso l'intero progresso tecnico e scientifico è attribuito a un ristretto numero di menti geniali che si eleva al di sopra della gente comune. Ma la verità è che la scienza è sempre stata il prodotto di uno sforzo collettivo, e che di volta in volta il risultato del singolo si è avvalso di una consolidata esperienza popolare. Questo studio ripercorre il cammino della scienza dalle sue radici primitive ai nostri giorni illustrando il contributo imprescindibile dei cacciatori-raccoglitori, dei contadini, dei marinai, dei minatori, dei fabbri, delle masse anonime di lavoratori che nei secoli hanno ricavato i propri mezzi di sussistenza dal confronto quotidiano con la natura. La medicina si sviluppò attraverso le proprietà terapeutiche delle piante, scoperte dai popoli preletterati. La chimica e la metallurgia mossero i primi passi nelle antiche fucine, nelle botteghe dei vasai e nelle buie gallerie delle miniere, dove nacquero anche la geologia e l'archeologia. La matematica deve la sua esistenza e molti dei suoi progressi alle pratiche millenarie di mercanti, agrimensori, contabili e meccanici. Contro il retaggio della "tradizione eroica", la ricerca storica di Conner rintraccia le origini trascurate delle grandi scoperte scientifiche per rivelare il vero genio. Quello del popolo.
In "Fuga, ferro e fuoco" s'intrecciano due racconti ambientati in epoche distinte. Da una parte la rivolta di un gruppo di suore nella città messicana di Puebla, nell'anno di grazia 1776; dall'altra, la vicenda personale dello scrittore, vecchio e malato, che si lascia alle spalle una vita priva di emozioni, e si ritira in una casa della Puebla di oggi per scrivere il suo romanzo. Mentre evoca quel lontano successo - la ribellione delle suore contro il potere delle autorità religiose e civili - la città è sconvolta dagli scontri fra studenti e polizia. In questi disordini, ecco il figlio rivoluzionario dello scrittore, che cerca riparo nella casa del padre per curare un compagno ferito. Il passato e il presente risultano così molto meno distanti di quanto si potrebbe pensare, e da queste coincidenze storiche nasce un senso più profondo e complesso della realtà e del romanzo.
La fisica non è forse una scienza noiosa, in grado di confondere le idee al più innocente degli studenti e di far vacillare il più convinto dei professori? Questo breve saggio è la risposta - negativa - a tale domanda. L'intento dell'autore è infatti dimostrare che la fisica può essere interessante e avvincente e che la generale diffidenza nei suoi confronti dipende in realtà dal fatto che il suo aspetto ludico non è ancora stato approfondito e divulgato adeguatamente.
<br/
E se la storia degli Stati Uniti l'avessero scritta gli indiani, gli schiavi, i minatori, gli operai, gli immigrati, le donne? È quanto si è chiesto Howard Zinn affrontando questo libro e ripercorrendo i cinque secoli di vita del Nuovo Mondo. L'arrivo di Colombo sul continente, visto attraverso gli occhi degli arawak, apre un emozionante racconto che rivela le condizioni dei nativi durante la conquista del West, le proteste contro gli obiettivi imperialistici della Guerra ispano-americana, le lotte per la fine della schiavitù, la nascita dei sindacati e i primi scioperi, le rivolte prodotte dalla vertiginosa crescita economica dell'Ottocento e dall'ascesa degli Stati Uniti al rango di superpotenza. Il viaggio prosegue nel Ventesimo secolo attraverso il suo carico di guerre e rivoluzioni, speranze e disinganni. Zinn descrive la resistenza popolare all'aggressiva politica estera del governo, le grandi battaglie per i diritti civili e l'emancipazione femminile, le conquiste e le delusioni del pacifismo, le vicen de dei movimenti di contestazione fino alle soglie cupe del presente, con la guerra al terrorismo e il conflitto in Iraq. Corredata da un pratico glossario e accompagnata da testimonianze dirette di schiavi fuggitivi, attivisti politici e reduci di guerra, l'appassionante ricostruzione di Zinn scava nelle multiformi contraddizioni della democrazia americana.
Il New Deal di Franklin Delano Roosevelt è oggi considerato come un ideale democratico, la fiera risposta americana a una crisi economica che spinse la Germania e l'Italia verso la deriva del fascismo e del nazionalsocialismo. In realtà, negli anni Trenta, le tre forme di governo non erano così diverse come si è soliti credere. Prendendo le mosse dalla Grande depressione, Schivelbusch indaga la nascita e la fortuna di un nuovo tipo di stato, sostenuto da una massiccia propaganda governativa, guidato da una figura carismatica e volto alla salvaguardia della stabilità e del potere costituito. Emergono così sorprendenti somiglianze fra le politiche di Roosevelt, Hitler e Mussolini: il controllo governativo dell'economia e della società; il valore simbolico delle grandi opere pubbliche, che non solo crearono nuovi posti di lavoro, ma si imposero come vivide emanazioni dell'autorità statale; la forza persuasiva delle "chiacchierate al caminetto" di Roosevelt e dei discorsi di Mussolini alla radio; l'architettura monumentale che plasmò Washington come Berlino; le martellanti campagne di arruolamento dei cittadini, chiamati a essere leali difensori della patria; l'esaltazione dei concetti di nazione, popolo e terra. Frutto di un'analisi scientifica dei programmi e delle strategie politiche, questo studio comparato, lungi dal minimizzare le essenziali differenze fra i tre regimi, ne approfondisce i comuni elementi populisti e paternalisti.
Emozioni, idee, paure, desideri, spiritualità, e tanti altri aspetti della nostra vita che ci caratterizzano come esseri umani dipendono dalle complesse operazioni del nostro cervello. Quando ci interroghiamo su noi stessi, sono molte le domande che sorgono: l'anima non è altro che il risultato di reazioni chimiche ed elettriche? Un aspetto tanto importante della nostra esistenza come l'amore deriva semplicemente da certe connessioni neuronali? È possibile manipolare il pensiero degli altri? Gli artisti hanno un cervello diverso da quello delle persone comuni? Ciò che ci dice il nostro inconscio è quello che siamo? Inganniamo le nostre percezioni? Abbiamo lo stesso cervello dei nostri antenati dell'età della pietra? La quantità di interrogativi che suscitano il cervello e il suo modo di funzionare è infinita. Scienziati, filosofi, artisti, tutti i grandi pensatori sono stati attratti da questo enigma nel corso della storia, ma il Ventesimo e il Ventunesimo secolo stanno finalmente offrendo le chiavi di accesso a quelli che sembravano misteri insondabili. Sollevando i dubbi che tutti noi ci poniamo, l'indagine condotta da Eduardo Punset ci introduce alle riflessioni degli studiosi più autorevoli in materia, permettendoci di esplorare i grandi segreti racchiusi nel cervello umano.
Che ci piaccia o no, di menzogne ne abbiamo dette (e ne continuiamo a dire) tante. Mentiamo per viltà, per conformismo, per quieto vivere, con l'intenzione di farlo, ma anche inavvertitamente. C'è chi lo ha fatto per disperazione, in quei momenti drammatici della vita individuale e collettiva in cui mentire diventa quasi un imperativo morale. Ecco, allora, "l'Elogio della menzogna". Che non è, come si potrebbe pensare, il cinico esercizio di un autore postmoderno, il disincantato ritratto di un mondo inevitabilmente corrotto, popolato da bugiardi incalliti. No, qui si tratta di ripercorrere la vasta geografia della menzogna per analizzare il suo ruolo specifico nella costruzione e nel mantenimento delle relazioni umane. In effetti, una società di esseri puri, "sinceri fino in fondo", non solo non è desiderabile, ma neppure possibile. Perché abbiamo bisogno di mentire, e non solo con gli altri, ma anche con noi stessi, per raccontarci una favola alla quale solo noi siamo disposti a credere. In fondo, come scriveva Borges, "non c'è uomo che alla fine di una giornata non abbia mentito, a ragione".
In un'importante mostra d'arte di Milano compaiono sei quadri neri di sconosciuta provenienza. Un errore? Uno scherzo? O forse la chiave di un nefasto mistero? Un art detective e una cerchia di esperti e professionisti del settore, fatalmente attratti dall'enigma, scoprono che le tele imbrattate nascondono non solo antichi dipinti, ma anche l'inquietante capacità di resistere al fuoco e agli agenti naturali, risalendo alla leggenda di quadri che in passato portarono alla rovina chi volle distruggerli. Testi d'epoca, diari e carteggi resuscitano una fantasmagorica galleria di artisti, cortigiane, fanatici visionari, nobili diabolici, trasformando l'indagine in un vorticoso e imprevedibile viaggio a ritroso nel tempo, attraverso calcoli alchemici ed echi simbolici, lotte sanguinarie, macchinazioni perverse, società occulte ed estasi dionisiache, sulle tracce degli arcani segreti della Cromantica, l'arte magica che sta all'origine dei dipinti. La visione diviene morboso delirio, l'arte trasmuta in prezioso artificio e il gioco allucinatorio si traduce in una sinistra cospirazione che incombe sul presente.
La nuova avventura del capitano Alatriste nello sfavillante mondo del teatro del Secolo d'Oro. Le opere di Lope de Vega e Caldéron de la Barca riempiono i corral di Madrid, mentre la città è animata da una fervida vita mondana, fra duelli di spada e di versi poetici, intrighi di corte, schermaglie amorose, invidie e sgambetti per i favori della Corona. Alla malia del teatro non sfugge neppure il malinconico capitano dai folti mustacchi e dallo sguardo di ghiaccio, che si è invaghito di María de Castro, la più famosa attrice dell'epoca, godendo del privilegio di essere ricambiato. Ma sulla bella María ha messo gli occhi Filippo IV in persona e, come tutti sanno, nessuno può "andare a caccia nella riserva del re". Ferito nell'orgoglio, Alatriste non può soffocare le proprie emozioni e si ribella al capriccio reale, contro i consigli del poeta Francisco de Quevedo e le minacce del potente conte di Guadalmedina. E mentre anche il suo giovane scudiero Iñigo Balboa impara a proprie spese che la passione per una donna nasconde più insidie di qualsiasi fendente, il capitano Alatriste si scoprirà pedina di oscuro complotto. Ancora una volta Pérez-Reverte schiude le porte dell'avventura e dell'immaginazione sullo sfondo di un potente ritratto d'epoca, offrendoci allo stesso tempo un'articolata mappa poetica delle passioni umane.