Capita a Carlo Monterossi di trovarsi impelagato in faccende diverse, per via della sua doppia vita. Da un lato ha fatto i soldi come autore televisivo con un programma senza pudore e dalla lacrima facile, Crazy Love. Dall'altro, quasi per emendarsi, si adopera per risolvere casi umano-criminali, insieme agli amici detective della Sistemi Integrati, Oscar Falcone e Agatina Cirrielli, in una Milano faticosa e ostile. Flora De Pisis lo manda a Zelo Surrigone, poco lontano dalla metropoli: un crocifisso si è messo a luccicare e un bel santone, don Vincenzo, un ex prete, predica di miracoli e raccoglie donazioni, un'occasione imperdibile per Crazy Love. Negli stessi giorni, un manager della Italiana Grandi Opere, un impero industriale delle costruzioni nel mondo, chiede aiuto alla Sistemi Integrati: l'azienda ha subìto uno strano furto, soldi, documenti, una pennetta usb. Il tutto mentre i poliziotti Ghezzi e Carella risolvono mugugnando una manciata di piccoli casi, storie ordinarie di disperazione e malavita di sopravvivenza, una caccia a tanti pesci piccoli, perché «servono un sacco di perdenti per tenere vivo il mito della città vincente». La vita complicata del detective dilettante Carlo Monterossi - privilegiato sull'orlo del cinismo e al tempo stesso disincantato Robin Hood -, permette al suo creatore Alessandro Robecchi di scrivere noir a forte impianto sociale, che fanno molto pensare a Scerbanenco: crudo realismo unito a una solidarietà che si incarna in personaggi teneri e vivissimi. Come la Teresa di questo romanzo, la piccola donna delle pulizie che non ha mai pensato di poter cambiare la propria vita. E proprio la sua limpida carica di verità attrae Carlo oltre la semplice simpatia, contribuendo a scompigliargli l'esistenza. Un sapore di situazioni reali accentuato dal modo di narrare di Robecchi che è come se stesse a fianco del lettore a mostrargli e illustrargli i fatti che stanno accadendo di fronte a loro.
Sarah Miles e Maurice Bendrix sono stati amanti durante la guerra. Il loro è un amore clandestino, rabbioso, quasi feroce. Una passione così assoluta che perfino i terribili bombardamenti tedeschi su Londra sembravano solo un sottofondo rumoroso. Il marito di lei, Henry, alto funzionario, non aveva mai dato segno di sospettare. Poi, Sarah aveva troncato di netto la relazione, improvvisamente e senza nessuna spiegazione. Dopo quasi due anni, finita la guerra, un incontro casuale tra Bendrix e Henry Miles riaccende la gelosia dell'ex amante: Bendrix non crede che Sarah sia semplicemente tornata dal marito; «l'odio, il sospetto e l'invidia», mai realmente sopiti, lo spingono ad assoldare un investigatore privato che pedini Sarah alla ricerca di un «terzo uomo». Ma che cosa ha capito Bendrix, che di mestiere scrive romanzi, ricordando il passato amore e inseguendo, attraverso i resoconti del detective, il presente di Sarah? Che cosa ha capito della «fine di una storia»? Il diario di Sarah svela un'altra verità. Non è solo l'ossessione, a volte selvaggia e spietata, di Bendrix che ha distorto la sua versione dei fatti. È anche che la storia di Sarah ha intrapreso una strada incommensurabile dove si incontra l'assurdo della fede, come desiderio di non essere soli nel deserto. Pubblicato nel 1951, Fine di una storia - da Greene definito il suo «Great Sex Novel» - è un romanzo lancinante, il resoconto di un amore carnale, immenso, crudele, in cui, per via dell'enormità della guerra, irrompe il divino. Ma è un divino diviso, tragicamente incerto, rischioso. Alla fine di questa storia, al di là dello scandalo e delle censure, resta - ha scritto Scott Spencer nella sua introduzione - la «convinzione che anche nelle circostanze più squallide ci sia qualcosa che non si vede, qualcosa che resiste e nobilita».
Dopo il "Repertorio dei pazzi della città di Palermo" ancora una volta Roberto Alajmo gioca con ironia e arguzia a raccontare la sua Isola e con questo glossario di voci dialettali siciliane prova a definire il carattere identitario di un'intera regione, o forse dell'Italia tutta. Abbecedario perché forse il segreto sta tutto nella semplificazione, nel ridurre le presunte complessità all'eresia del buon senso. Smetterla di intorbidare le acque facendo credere che in ogni cosa o ragionamento esista sempre un piano recondito. In quest'Isola - e in questa Penisola, anche - i problemi nascono non tanto dall'essere complicati, quanto dal credersi complicati. E questo in effetti complica le cose, anche le più semplici. Semplificare, invece, partire dalle piccole cose. Guardare il mondo con occhi da bambino, lasciarsi sbigottire da come ogni cosa sia illuminata. Sillabare le parole come fossero creature, rigirarsele fra lingua, denti e palato, assaporarle. Ricondurre tutto al minimo senso indispensabile. Scandire ogni parola. Scandire e semplificare, semplificare e scandire.
Gerolamo è una strana creatura, un ragazzo di venticinque anni che vive in una città di mare, abita da solo, mangia spesso dalla zia. Ha qualche amico e nessun lavoro, esce di sera e di notte, dorme la mattina. Aspetta, ma non si sa bene cosa. Lo agita un desiderio quasi violento di diventare adulto e al tempo stesso porta dentro di sé un Gerolamo precedente, bambino e adolescente, che non lo vuole abbandonare. Eppure nella sua attesa, nell'immobilità, nell'indecisione sospesa tra dubbi e inesperienza, nella paura costante di perdersi, Gerolamo è travolto dall'intensità e dalla meraviglia di quanto gli accade. Ha un amico che sta molto male, un altro che finalmente si è innamorato, un pappagallo da accudire per qualche giorno, la ragazza del piano di sopra sul punto di partorire. Fuma molte sigarette, beve volentieri, ma soprattutto Gero spera che giunga un momento in cui le cose cambino, in cui per lui e per tutti quelli intorno a lui arrivi il «punto di rottura», un bagliore di chiarezza che squarcia le nubi piene di pioggia, la realtà finalmente tirata a lucido, la vita che si mette a scorrere nella direzione giusta. Alla sua seconda opera Bernardo Zannoni racconta il mondo degli umani con la fantasia e la profondità emotiva con cui aveva narrato la società degli animali ne "I miei stupidi intenti". Scrive un romanzo che ha i tempi scomposti e incoerenti della giovinezza, lo sguardo in cui si fondono dolcezza e crudeltà di chi ha fame di vita, la comicità e l'assurdo delle menti che si avviluppano su se stesse. Dalle sue incursioni appassionate, fiabesche, avventurose, scaturisce un disegno di sorprendente realismo, un ritratto pieno di curiosità e di premura, al tempo stesso divertito e sgomento di fronte a quegli strani esseri che compongono il genere umano.
Il Solista del mitra prepara un colpo grosso, l'obiettivo sono i Frigoriferi Milanesi, l'intricato sistema di caveau a prova di furto, l'antica Fabbrica del Ghiaccio. Complici sono Il Piero, Faccia d'Angelo, La Miciona, La Piccerella, Il René, La Mantide. Il malloppo è qualcosa di estremamente prezioso, di losca provenienza, in ballo c'è anche una vendetta. Nel frattempo alla Casa di ringhiera la vita continua al solito, litigiosa, pettegola e malignetta. La falsa invalida, signorina Mattei-Ferri, ha deciso di cambiare atteggiamento e rendersi più amabile con i vicini, soprattutto i nuovi; il pensionato Amedeo Consonni si dedica al nipotino Enrico, dopo aver superato una profonda depressione; la professoressa Angela, dal buen retiro di Camogli, non perde di vista affetti e affari; il vecchio Luis De Angelis continua ad accudire paranoicamente la sua automobile, adesso una Maserati. E così via, tutti ostili tra loro, estranei, eppure legati gli uni agli altri come nella Finestra sul cortile. Però ci sono delle novità. Un gruppo allegro di studentesse di Fashion, venute dalla provincia più opulenta ad addentare la metropoli; e due nuove coppie di ricchi inquilini, a testimoniare che anche la Casa di ringhiera si gentrifica. E proprio da Camilla, la bella amante dell'architetto Sommariva, si viene a sapere qualcosa di Yutta, la venere tedesca che, dopo aver ammaliato tutti, era sparita con una fortuna e in barba al pensionato Consonni. La notizia fa ripiombare la Casa di ringhiera in una scalcagnata ed esagerata avventura. In questa nuova puntata della serie fortunata in cui un intero caseggiato assume personalità entro una cornice comico criminale, mosso da un'animazione farsesca, l'autore Francesco Recami sollecita il lettore a riflettere su cosa sia in realtà l'intrattenimento letterario. Un tema drammatico e surreale entra nella scena: che tipo di vita è quella dei personaggi di un romanzo?
Una madre e un figlio salgono a bordo di una piccola barca a motore, lui è nero, lei bianca, e assieme intraprendono un viaggio lungo il fiume Atrato, l'unica via che permette loro di penetrare nella fitta giungla colombiana per arrivare a Bellavista, dove abita la madre biologica del bambino. Un percorso lento, scandito da numerose fermate, in condizioni tutt'altro che ideali. Mentre l'imbarcazione procede nella navigazione la madre racconta a un'altra viaggiatrice come il bambino addormentato tra le sue braccia sia arrivato una mattina nella sua vita e quale sia il motivo di questa loro immersione nel cuore della giungla. È un modo per esorcizzare l'ansia crescente, ripensare al passato che l'ha condotta fin lì, e un tentativo disperato di procrastinare il loro arrivo. Ogni gesto, anche il più quotidiano, acquisisce una dimensione nuova: mangiare un mango maturo, intrecciarsi i capelli, cucinare un pesce per rifocillarsi, fare il bagno nell'acqua piovana. Nel mezzo di questa regione segnata dalla violenza, da uccisioni e attentati, i passeggeri incontrano sempre più persone alle prese con un destino oscuro e un futuro tutto da costruire. Un incendio devasta un villaggio, emergenze continue, un parto improvviso. Sembra di non arrivare mai, sembra che il fiume non voglia mai smettere di intonare il proprio canto di dolore e di speranza. Un romanzo di paesaggi travolgenti, un accurato ritratto della paura di una madre, la cronaca di un dramma storico, la terribile violenza che ha colpito la Colombia negli ultimi decenni. E poi l'intima comprensione tra donne che si incontrano per la prima volta, la sorellanza allo stato più puro, la crudeltà della forza come unica soluzione, in un esordio che scruta senza ritrarsi il conflitto drammatico tra diritti naturali e affettivi, tra chi è madre e chi si sente madre, senza mai distogliere lo sguardo di fronte alla brutalità e all'incanto dell'animo umano.
"L'eterno rivale" è uno dei tre romanzi di Jane Gardam che compongono uno straordinario ciclo letterario. I protagonisti sono accomunati soprattutto dal fatto di essere «orfani dell'Impero Britannico», nati in paesi asiatici dall'ultima generazione dei funzionari coloniali. Un gruppo di (ciascuno a modo proprio) «sbandati», eccentrici: ricchi, privilegiati, segnati da qualcosa di profondo e oscuro, legati a doppio filo dalla competizione e dal disprezzo reciproco. Ogni volume è autonomo e non vi è una sequenza cronologica: la stessa vita collettiva è raccontata ogni volta partendo da un punto di vista diverso, e focalizzando non una ripeti-zione della stessa vicenda ma una vicenda nuova, la quale diventa la chiave per leggere nuovamente gli stessi personaggi. Al centro del gruppo c'è il ricco e affermato legale Sir Edward Feathers, il comune «amico» che collega tutti, soprannominato Old Filth («Vecchia Schifezza»), dalle iniziali di Failed In London Try Hong Kong. In questo romanzo, per la prima volta tradotto in italiano, sotto i riflettori c'è Sir Terence Veneering, Terry, l'eterno rivale, anch'egli avvocato di fama. Per entrambi, e per ragioni diverse, la lo-ro «patria non era mai stata l'Inghilterra». Tra di loro sessant'anni di competizione, «un'ostilità inesplicabile. Un intruglio da streghe. O una semplice avversione reciproca». Alla fine dei loro giorni per «una burla degli oziosi dèi dell'Olimpo» si sono trovati a vivere in lussuose dimore a poca distanza, nel ritiro dorato del Dorset. Ma una burla più feroce c'è stata sempre sotto il loro rapporto, riguardante la moglie di Filth, la magnifica Betty. Adesso che sono morti la storia è ricordata da due coetanei, la svanita Dulcie, «gran dame del villaggio», e il sempre snobbato avvocato Fiscal-Smith. I due «ultimi amici» consegnano inaspettati segreti, mentre trascinano anche loro gli ultimi passi e gli estremi ricordi personali. Una scrittura distaccata e dotata di un umorismo basato sulla distanza tra le intenzioni e la realtà consente all'autrice di esprimere il modo di vivere accanito e disarmato dei suoi personaggi e la situazione storica che hanno vissuto e che rende ancora oggi la Gran Bretagna un paese unico al mondo.
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, autore del Gattopardo, e Alessandra Wolff von Stomersee, baronessa baltica e psicoanalista che contribuì a introdurre Freud in Italia, si sposarono nel 1932, trentottenne lei, di due anni di meno lui: si erano conosciuti grazie a complicati incroci di famiglia, frequenti tra gli aristocratici del tempo. Per una lunga fase della vita si spedirono lettere con molte notizie su come trascorrevano le giornate, su parenti, amici, pranzi e cani e, soprattutto, sulle reciproche letture. Rari i sentimenti. Scritte tra il 1932 e il 1943, quando, a causa delle vicende belliche, il loro matrimonio finì per assumere un «assetto più tradizionale», queste circa duecento lettere costituiscono una testimonianza estremamente significativa. Fino ad allora il loro era stato, infatti, quello che si potrebbe definire un «matrimonio epistolare»: basato su di una forte consonanza intellettuale ma di cui lo stare lontani per lunghi periodi costituiva «un elemento strutturale». Erano, i coniugi Lampedusa, fatalmente vincolati ai luoghi, alle case, ai miti fondanti della propria origine, tanto che lo scambio epistolare, il parlarsi rimanendo ognuno nel suo mondo, era divenuto, negli anni, uno dei codici primari della loro comunicazione. Giuseppe amava perdutamente la grande casa di Palermo: la casa dove era nato e si aspettava di morire. Licy (così veniva chiamata in famiglia Alessandra) non poteva, invece, restare separata a lungo dal castello avito di Stomersee in Lettonia e dalla «gente del Baltico», la «sua» gente. Sarà la guerra a scompigliare definitivamente assetti fino ad allora ritenuti immutabili: Palazzo Lampedusa viene bombardato e distrutto nel 1943, il castello di Stomersee confiscato tra l’avanzata dei tedeschi e la controffensiva sovietica. Nel commento che conclude il volume, Giorgio Manganelli caratterizza così i due personaggi: lei, «regina boreale che ha per reggia un castello tedesco in terra di Lettonia»; lui, «custode della propria infanzia»; e sottolinea quanta energia promani da lei e quanto più languido, infantile ed emotivo appaia lui. Caterina Cardona sulle lettere, attraverso le lettere e oltre le lettere di Giuseppe e Licy conduce la sua sottile indagine svelando «un gioco della psiche, una astuzia della intelligenza e degli affetti» (Manganelli) che cattura l’interesse del lettore conducendolo alla ricerca della chiave profonda di un matrimonio e alla genesi imprevista di un capolavoro: Il Gattopardo.
Carlo Monterossi, il protagonista di questi racconti e dei romanzi di Alessandro Robecchi, è una figura di detective del tutto atipica. Suo punto di partenza è sempre stato «guardare nelle vite degli altri». Pubblicare a dieci anni dall'esordio in un unico volume i racconti sparsi, già comparsi nelle diverse antologie gialle di Sellerio, serve - spiega Robecchi nel testo che li introduce - «a fare il punto sull'evoluzione dei personaggi», a comprenderli a tutto tondo. E infatti si va da un Monterossi quasi naïf del primo racconto, che si fa aiutare da un professionista misterioso come Oscar Falcone, fino a un'agenzia investigativa dell'ultimo, aperta in società con Agatina Cirrielli, ex poliziotta risoluta e sbrigativa già incontrata negli ultimi romanzi della serie. Ma lui, lungo tutto questo arco di tempo, è sempre più riluttante, quasi preda delle diverse storie: una truffa a suo danno e la contro beffa, il rapimento di un chihuahua che chissà cosa nasconde, l'etica di due killer, cartoline di significato misterioso su un interno di famiglia miliardaria, la ricerca affannosa del più sfortunato degli eredi di una fortuna industriale. Perché la cifra di Monterossi è il dubbio: dubita del comodo lavoro di produttore di programmi televisivi di grande successo commerciale, che lui giudica spazzatura, ma dubita anche della sincerità del suo disprezzo per il mondo da cui succhia tanto denaro. Così affronta la sua scettica parte sia tra le belle donne il cui fascino è cesellato da generazioni di privilegi, sia nei bilocali con soggiorno-cucina di chi sa sulla propria pelle che «il merito è sempre il merito dei già meritati». E tutto questo, senza rinunciare al whisky più costoso, all'automobile più silenziosa, all'appartamento più elegante, nutrendo una preferenza per chi riesce a vivere da sfigato. O forse è invidia. Alessandro Robecchi racconta una Milano nera ma «fatta della stessa sostanza di cui sono fatti i soldi», in modo un po' cinico e sarcastico, ma soprattutto pietoso.
Vita Castellá giace cadavere nella stanza di un lussuoso albergo di Madrid, avvelenata con un caffè al cianuro. È stata la presidente della Comunità Valenciana. Amata e detestata, benefattrice e prepotente, ha dominato la città e la regione in una stagione segnata da una corruzione pervasiva e quasi proverbiale. La rete di potere che da lei si è estesa ha lasciato al suo ritiro una schiera di scheletri in moltissimi armadi. Della sua morte, le autorità, il capo della polizia, il ministro, vogliono far passare una versione ufficiale meno compromettente, un infarto che eviti «un casino di dimensioni stratosferiche». L'inchiesta di polizia è però inevitabile. L'idea brillante è di affidarla a degli investigatori inesperti e malleabili. Come Berta e Marta, due sorelle giovanissime appena uscite dall'Accademia di Polizia. Diverse l'una dall'altra come due fiocchi di neve, sono acute, ambiziose e sono donne, cioè con una emergente avversione per i maschi al potere. Vanno così per la loro strada di poliziotte determinate. Con un po' di rimorso «tacendo e mentendo» ai loro capi come questi fanno con loro due. E s'inerpicano in un'inchiesta che si svolge in una fascinosa Valencia. Poteri e misteri, false apparenze, vendette e rancori, altri spietati omicidi debbono svelare a poco a poco, anche con l'aiuto dell'affezionato addetto stampa della presidente, «Boro» Badía, un giornalista a cui il «partito» ha spezzato la carriera e ferito la dignità a causa del-le scelte sessuali. Le due creature di Alicia Giménez-Bartlett, le sorelle Miralles, Berta e Marta, sfidano lo stereotipo del detective tradizionale. Le ubbie, le paturnie, e i sogni propri di ogni ragazza risaltano nei dialoghi, e danno al mistero poliziesco la stessa quotidiana leggerezza che ha reso famosa l'ispettrice di Barcellona Petra Delicado. Quell'umorismo d'ambiente che ha tra i suoi scopi, come sempre nei romanzi dell'autrice, anche quello di affermare i diritti.
Il vino scese dal Caucaso, intorno al terzo millennio. La sua espansione nel mondo, dopo i momenti trionfanti dei simposi di Grecia e di Roma, presto sposò il Cristianesimo, che eliminò nell'uso del vino l'abbandono, minaccioso disvelarsi del mistero insondabile del divino. Unici ostacoli al viaggio del vino e del Cristianesimo verso il Pacifico furono il Corano e il riso. Altre forme di ebbrezza s'imposero per altre religioni: la birra, il saké, il vino di palma. Il legame del sacro con le bevande fermentate appare, allo sguardo storico e geografico di questo libro, inevitabile: per l'ebbrezza che è il suo dono, e anche per il mistero della fermentazione. L'autore, Jean-Robert Pitte, geografo, è preside alla Sorbona.