Dopo ben oltre un secolo, e con tutti i nuovi elementi che sono emersi, si può sicuramente affermare che la dottrina sociale della Chiesa non è nata solo per motivi di ordine sociale ed economico. Questi furono sicuramente importanti, ma, accanto a questi, non vanno trascurati quelli di natura teologica, politica e pedagogica. In un secolo, come l'Ottocento, segnato da quelle che, poi, verranno chiamate ideologie o "religioni terrene e secolarizzate", Leone XIII intendeva ribadire che il cristianesimo è l'unica possibilità di un'autentica salvezza mentre tutte le altre opportunità sono solo contraffazioni. Dopo l'evento epocale della "presa di Roma", che fu vissuto nel mondo intero con profonde riflessioni e interrogativi, anche e soprattutto da parte di intellettuali non cattolici, mons. Gioacchino Pecci, con il nome di Leone, succede a Pio IX al soglio pontificio, dopo essere stato nel 1843 nunzio apostolico a Bruxelles, città per tanti versi in fermento e dove erano confluiti intellettuali e rivoluzionari di varie estrazioni, dai liberali ai socialisti. Da qui prende le mosse l'insegnamento sociale cristiano del nuovo Pontefice. Questo insegnamento consente di affrontare con serenità ed efficacia le problematiche terrene senza generare frustrazioni e degenerazioni già insite nelle ideologie. Il loro fallimento - sembra già preannunciarci Leone XIII - avrebbe comportato le aberrazioni che tutti vediamo: da una parte un individualismo sfrenato ed egoistico tipico di un liberalismo che approda al libertarismo, dall'altra una rassegnazione priva di speranza che approda al nichilismo. È da tutto ciò che la Dottrina sociale della Chiesa intende metterci in guardia.
«L'imprenditore cristiano è figlio della Chiesa. Della Chiesa è la via attraverso la quale essa costruisce sulla terra, in mezzo alla società degli uomini, il bene comune. Egli è prima di tutto un testimone della carità della Chiesa, un servitore dell'amore di Cristo Gesù. Come testimonia e come serve quest'amore nell'oggi della storia, nelle particolari contingenze della quotidianità? Ponendo l'uomo al centro, facendone il fine del lavoro e non il mezzo. Spostando l'asse della questione: riducendo cioè il lavoro a semplice mezzo. Così operando, si priva il lavoro della sua mostruosità di fine. Se è l'uomo il fine del lavoro, allora tutto deve ruotare intorno all'uomo. L'uomo riacquista la sua signoria, la sua dignità, la sua gloria». (Dalla prefazione di Mons. Antonio Ciliberti).