Non abbiamo tempo da dedicare ai malati, tanto più se vecchi o terminali e allora li indirizziamo verso ospedali, verso aziende simili a catene di "smontaggio" che " ...si prendono cura di loro e li accompagnano serenamente alla fine..." Vittorino Andreoli ha accettato con coraggio umano e letterario la sfida, immaginando una futuribile Città della morte concepita sul presupposto pseudorazionalista - e, in modo sinistro, attuale - della possibilità scientifica di separare la malattia dalla morte. E dà vita a un teatro che nel mettere in scena i momenti topici del rituale della fine, svela anche quelli della sua rimozione. Il romanzo che talora appare crudo, ci mette davanti alla nostra responsabilità di uomini che trascinati dai falsi miti inventati da fervida fantasia, sta finendo per dimenticare la sua reale natura animale. "L'uomo muore comunque: è una condizione del suo essere... Muore perché è uomo, non perché è malato".
Kouniò Baràm, chiuso in una stanza, cerca di dimenticare l'orrore che lo circonda e che avvolge la sua esistenza. Nel quartiere ghetto in cui vive con altri immigrati, a Verona, assiste impotente alla spedizione punitiva di "bravi ragazzi" bianchi in sella a potenti motociclette in preda all'alcol e alla droga. Devastano indisturbati, stuprano, incendiano, uccidono, per noia o come giustizieri della notte. Ripensa e rivive il luogo magico che da Tireli, un villaggio dogon, lo ha portato ad approdare sulla terra dell'Occidente. Ha lasciato terre vastissime e silenziose, popolate dai suoi cari, fiumi maestosi, alberi giganteschi, donne e uomini che ti accolgono con un sorriso, per approdare a Marsiglia, e poi a Verona. E il contatto con l'uomo bianco e la sua civiltà diventa proposta di vita in un mondo fondato sulla violenza del potere, sull'ingiustizia, sul pregiudizio, sulla cieca sopraffazione. Ma non serve ribellarsi, e così Kouniò pensa di sottrarsi a questa proposta con un viaggio a ritroso, seppure fatto di solo desiderio, verso la terra dei suoi morti, vera terra promessa. Anche in questo romanzo, Andreoli, ci mostra con crudezza e partecipazione gli aspetti feroci e immani che contraddistinguono questa nostra società, troppo occupata a perseguire un folle e spietato delirio d'onnipotenza, ma ci dice anche che la via perduta la possiamo ritrovare fermandoci un momento e ripensando al passato da cui veniamo.
Anno 1944: Giovanni Manes (Nino), prigioniero di guerra italiano, fugge dal campo dove è detenuto, negli Stati Uniti in Texas. La fidanzata Zita gli ha scritto una lettera: "Rinuncio alle nozze, sposo l'anziano matematico Barbaroux". Nino si mette in viaggio per tornare in Italia e impedire il matrimonio, ma finisce nelle mani di un tenente americano. Si dirigono insieme verso Est e a loro si unisce una malinconica prostituta giapponese. Alle loro spalle un inseguimento serrato, un enigmatico capitano e un romantico tenente. L'avventuroso viaggio attraverso gli States si concluderà a New York quando Nino scioglierà il mistero del tenente e della sua missione.
Tradizione filosofica, cristianesimo, islamismo sono grandi muri di pietra, recinti del pensiero davanti a cui la riflessione umana si è arrestata e le costruzioni intellettuali più salde, anche quelle teologiche o scientifiche, possono diventare un alibi per non proseguire nell'interrogazione, per non confrontarsi con il deserto di certezze che la pura filosofia inesorabilmente rivela. Emanuele Severino ci conduce di fronte al rigore della Follia dell'Occidente. Ripercorre la nostra tradizione millenaria, dal Mito alla civiltà della Tecnica, e ne mostra i tragici e inevitabili fallimenti. Nel corso degli ultimi due secoli, la filosofia, per chi ne sappia scorgere il sottosuolo, ha saputo affrontare, aggirare e smantellare le prigioni che la tradizione occidentale ha innalzato attorno a sé a propria difesa. Severino riscopre nelle parole di Leopardi e nello Zarathustra di Nietzsche, nella rivolta di Ivan Karamazov e in qualche modo in Heidegger altrettanti "martelli" per distruggere il muro di pietra, altrettante vie alla comprensione del divenire dei corpi e delle anime, della nullità da cui, secondo la Follia dell'Occidente, veniamo e verso cui siamo inevitabilmente risospinti. Una vertiginosa riflessione sulla progressiva coerenza dell'alienazione che oggi domina il pianeta e che, pur lasciandosi alle spalle il "sonno mortale del divino" non si volge ancora verso "la verità eternamente splendente e manifesta in ognuno di noi".
Napoli, 1972. Peppino Lo Cicero è un guappo in pensione, addolcito dai suoi ricordi di vedovo. Solo una cosa lo tiene in vita: il figlio Nino, a cui insegnare le regole, il polveroso galateo di una cultura del crimine vecchio stampo. Peppino aveva immaginato per sé una vecchiaia di tutto riposo, ma qualcuno ha mischiato le carte, ha sporcato il gioco nel peggiore dei modi. Nino muore in una trappola, assassinato dall'uomo che avrebbe dovuto uccidere. Per Peppino torna il tempo della guerra: comincia per lui una nuova stagione, un tempo in cui sentirsi vivo nonostante gli anni, in cui rincontrare storie e volti che pensava persi per sempre. Un tempo per ricominciare, sognare e innamorarsi di un luogo lontano. Romanzo grafico concepito durante un soggiorno a Tokyo, "5 è il numero perfetto" è frutto del lavoro di dieci anni. È uscito in nove paesi e ha vinto numerosi premi, tra cui quello per il Libro dell'anno alla Fiera di Francoforte nel 2003. In un contrasto fra luci limpidissime e oscurità di pece, lgort ha costruito la storia di una rinascita dolorosa quanto inevitabile, dando voce al silenzio minaccioso di figure inquiete e sottili, il brutale splendore di una Napoli immaginaria ha fatto il resto.
Giovanni Astengo, poco più di quarant'anni, lavora all'Archivio di Stato, dove cataloga le vite quotidiane eppure straordinarie racchiuse nei diari di persone come tante. Ha una moglie in carriera e due figli amatissimi: Lorenzo, ventenne entusiasta e generoso, e la dolce Stella, una bambina down. E c'è una ferita non rimarginata nel suo passato: una domenica mattina, quando lui aveva tredici anni, suo padre è scomparso per sempre, senza un perché. In un'alba d'agosto, un'alba "semplice, banale, senza guizzi né significati", Giovanni prova l'impulso di tornare nel casale di campagna della sua famiglia, il luogo della felicità perduta, abbandonato da decenni. Dentro c'è un telefono di bachelite. Quel vecchio oggetto dimenticato diventa lo strumento grazie al quale Giovanni riesce ad aprire un varco nella barriera del tempo per fare luce sul mistero che ha segnato la sua esistenza. Il primo romanzo di Walter Veltroni racconta la forza e lo strazio dei sentimenti; è un'imprevedibile indagine, un viaggio nella trama dei nostri giorni, intrecciata con le notizie che filtrano dai giornali e dalla televisione, e una dolorosa immersione nella storia insanguinata degli anni di piombo; è un'appassionata dichiarazione d'amore e di fede nel potere unico della letteratura e dell'invenzione fantastica: il potere di svelare il senso nascosto delle cose, e di regalarci un'impossibile consolazione.
Mettere insieme, un alunno dopo l'altro, una classe di adulti analfabeti: questo cerca di fare Ariosto Aliquò, detto Osto. Figlio di un tappezziere puparo che dopo uno sgarbo involontario a un boss mafioso si è visto incendiare il teatro, Osto emigra dalla Sicilia in una terra ancora più povera, il Polesine: cerca di rastrellare gli scolari necessari a guadagnare, in base a una vecchia legge, il diritto a quello stipendio ridotto che spetta ai "maestri magri". Lì conosce Ines, una giovane vedova di guerra. E lì, in un mondo sospeso tra la terra e l'acqua, nasce un amore forte, malinconico e allegro. Il libro è il primo romanzo del noto giornalista, inviato del "Corriere della Sera".
Chi ha provato a beccarsi una nota sul registro, a scuola, sa bene quale piccolo dramma si consumi dietro quelle poche righe scritte a penna dal professore. Eppure, una nota disciplinare può far ridere fino alle lacrime se non siamo noi a prenderla! Lo dimostra questo libro, tratto da un blog già notissimo agli utenti della rete - con decine di migliaia di contatti registrati in poche settimane -, che raccoglie le imprese scolastiche più incredibili, assurde e divertenti d'Italia, documentate dalle note autentiche che diligenti professori, rassegnati, sconvolti, indignati, a volte spaventati, hanno redatto con notevole precisione e rigore. Le avventure tra i banchi, infatti, non hanno limiti: c'è chi lascia l'aula durante una lezione per andare a farsi un nuovo taglio di capelli, chi ordina una pizza, chi è occupato a vessare i compagni nei modi più fantasiosi e perversi. E ancora, chi si impegna a smontare la cattedra per restaurarla e chi inventa scuse surreali per giustificare un'assenza. L'effetto comico è irresistibile: il registro linguistico degli increduli professori spazia dall'ironico al letterario, dal burocratico all'aulico, delineando così una gamma di tipologie umane all'interno della quale tutti riconosceremo almeno un personaggio delle nostre memorie scolastiche. Qualche volta le note, piccoli capolavori di sintesi, fanno trapelare una malcelata ammirazione per la creatività, l'intelligenza e la simpatia degli studenti.
Scritta nei primi anni del regno di Augusto, l'Eneide doveva essere, nelle aspettative dell'imperatore, non solo il racconto dell'avventuroso arrivo nel Lazio di Enea e la glorificazione della famiglia Giulia, discendente in linea diretta dall'eroe troiano, ma il poema nazionale romano, corrispettivo di quello che per i Greci erano l'Iliade e l'Odissea. Anche la vicenda di Enea, come quella di Ulisse, è la storia di un ritorno: il travagliato ritorno verso una terra considerata per tradizione l"'antica madre" dei fondatori di Troia ormai distrutta, l'Italia, dove fondare una nuova patria. E dopo furenti burrasche, dolorose perdite di compagni, tragici amori, una profetica discesa agli Inferi e sanguinose battaglie, l'Eneide si chiude con la promessa di una fusione di popoli e culture diverse, nel nome di una nuova civiltà comune. Alessandro Barchiesi inquadra nel saggio introduttivo i punti essenziali del discorso poetico virgiliano, presentato nella nuova traduzione di Riccardo Scarcia, che coniuga scorrevolezza e fedeltà al testo.
Il libro riproduce assemblee, lezioni e dialoghi di don Giussani con i responsabili degli universitari di Comunione e Liberazione, tenuti nei periodici incontri chiamati "équipes" a partire dalla metà degli anni Settanta (questo volume riguarda gli anni 1975/1978). A tema, le domande che bruciano: che destino ha la vita? La felicità, il cambiamento è possibile? Che cos'è il cristianesimo? Che cos'è la fede? Dov'è Cristo oggi? E la società, la politica?
Il Tantra è un'antica dottrina orientale che conduce alla scoperta di uno spazio interiore, del proprio corpo usato come strumento di conoscenza e consapevolezza, dell'energia del Tutto in cui immergersi. In questo manuale, gli autori guidano in un percorso in cui, attraverso la meditazione, si imparano a governare le emozioni, a espandere la coscienza e a sperimentare le tecniche dell'estasi sessuale, che diviene così uno strumento privilegiato per arricchire la vita. Le meditazioni suggerite sono adatte alle diverse circostanze quotidiane: esercizi da fare in pubblico o sul lavoro, in gruppo o nell'intimità col partner. Ognuna è accompagnata da istruzioni che illustrano i processi mentali e corporei.
"Immaginate un libro in cui l'abitante di una casa bombardata si adatta a vivere nella buca dell'esplosione. Una famiglia presso cui per 30 anni si installa un guappo e non se ne va più. Un giocatore di carte incallito che avendo perso tutto è costretto dalla moglie a giocare solo con il figlio del portinaio. La fenomenologia del "pernacchio". Una zona temporaneamente autonoma in cui impazza la maschera Totò, che infatti ha interpretato il capolavoro di Marotta." (Giuseppe Genna)