Le idee non stanno ferme. Le grandi idee, i grandi principi, le visioni del mondo hanno sempre delle radici, come le piante. Ma, diversamente dalle piante, raramente restano dove sono nate. Le idee si muovono, cambiano habitat, come uccelli di passo. È quel che è successo a tre grandi ideali della sinistra: difesa dei deboli, libertà di pensiero, cultura come via privilegiata verso l'eguaglianza. Oggi queste idee, che hanno fatto la storia della sinistra, non abitano più lì. Alcune vagano senza meta, altre si sono posate sulla destra. A vagare senza meta è soprattutto l'idea gramsciana della cultura alta come strumento di emancipazione dei ceti popolari, un'idea ancora viva ai tempi di Togliatti, ma completamente sopraffatta da mezzo secolo di riforme dell'istruzione, che - abbassando la qualità degli studi - hanno finito per bloccare l'ascensore sociale. A posarsi sulla destra, invece, sono state la difesa della libertà di pensiero, contro l'adesione acritica della sinistra al politicamente corretto, e la difesa dei deboli, contro l'incapacità di ascoltare la domanda di protezione dei ceti popolari. Attraverso un nuovo modello interpretativo, la dottrina delle tre società, Ricolfi individua con precisione chi sono i deboli oggi, e ricostruisce il lungo processo che ha portato la destra e la sinistra a scambiarsi le rispettive basi sociali, determinando una vera e propria mutazione del sistema politico. E azzarda l'ipotesi che sia un'eccessiva celebrazione del progresso ad accecare i progressisti, incapaci di vederne anche i lati oscuri, le falle che alimentano una nuova disperazione sociale, di cui sarebbe bene invece intercettare il grido.
Dall'unità d'Italia a oggi, l'inefficienza della nostra pubblica amministrazione è passata indenne attraverso un'infinità di scrupolose rilevazioni, coraggiose denunzie, volenterose riforme. Al fallimento di tali riforme può aver contribuito il fatto che i giuristi hanno proceduto da soli al disegno della macchina burocratica, laddove sarebbe stato necessario un approccio multidisciplinare. Eppure, lo sviluppo della società postindustriale impone servizi pubblici sempre più sofisticati, e per assicurare tali servizi si deve saper progettare con dovuto anticipo una pubblica amministrazione capace di erogarli. E per progettare occorre prevedere. Nasce da queste constatazioni la ricerca condotta da Domenico De Masi, focalizzata sul lavoro dei dipendenti pubblici: oltre tre milioni di persone tra operai, impiegati, funzionari e dirigenti cui spesso si imputa l'inadeguatezza della macchina statale, un apparato indispensabile che rappresenta anche il principale datore di lavoro del nostro Paese. "Lo Stato necessario" unisce una lettura storica del fenomeno burocratico e l'analisi sociologica di tale fenomeno inteso come «iperogetto» alla previsione dello scenario evolutivo più probabile, proiettato nel prossimo decennio. Coadiuvato da undici tra i massimi esperti in materia, De Masi indaga le variabili centrali che determinano l'evoluzione organizzativa della pubblica amministrazione: il rapporto tra domanda e offerta, la reazione ai trend demografici, l'impatto del progresso tecnologico, la gestione delle risorse umane, la conflittualità, il ruolo dei corpi intermedi come i sindacati, il bilanciamento tra lavoro e vita privata. Una ricerca preziosa che va a colmare una lacuna profonda nel panorama sociologico non solo italiano, offrendo ai tecnici, agli studiosi, ai cittadini comuni e soprattutto ai dipendenti pubblici un ritratto dell'amministrazione statale severo ma non privo di speranza.
«In quest'epoca di disorientamento, abbiamo due certezze inconfutabili. La prima è che il mondo in cui oggi viviamo non è il migliore dei mondi possibili, ma è di sicuro il migliore dei mondi esistiti fino a oggi. La seconda è che l'opera creatrice dell'uomo è solo all'inizio del suo cammino e, per la prima volta nella storia dell'umanità, sta a noi proseguirla o interromperla per sempre.» È un viaggio quello che Domenico De Masi intraprende in queste pagine. Un percorso segnato da dieci svolte decisive, dieci diadi terminologiche e concettuali che puntano a individuare una meta e tracciare una rotta, capaci di trasformare la nostra timorosa navigazione a vista in progetto consapevole verso una ragionevole felicità. Punto di partenza è la certificazione sociologica del senso di smarrimento che caratterizza la nostra società, la prima in assoluto nata senza un preventivo modello di riferimento, sorta quasi per germinazione spontanea da quella che l'ha preceduta. Temi centrali per tutti quali la Longevità, il Lavoro, l'Impegno; concetti di natura sociologica come quelli di Classe e Genere, o più propri della psicologia come Paura e Felicità: un vocabolario indispensabile per orientarsi anche politicamente nel mondo che è già qui e che verrà, quel «mondo giovane ancora», per dirla con Giambattista Vico, che mai come oggi necessita di essere compreso, tradotto, e necessariamente riscritto. A oltre vent'anni da "L'ozio creativo", De Masi, come allora in conversazione con Maria Serena Palieri, offre un'accurata e convincente istantanea del tempo che stiamo vivendo, un'inquadratura realistica e carica di speranza che descrive chi siamo e come saremo.
Ormai non esiste famiglia dove non ci sia un tiglio, un parente o un amico che non sia disoccupato. Se ne parla come di un appestato, abbassando la voce per non farsi sentire dagli estranei, e comunque sospettando che, sotto sotto, si tratti di un fannullone o di uno scapestrato. Con la disoccupazione giovanile stabile oltre il 40 per cento, l'Italia è oggi un Paese con milioni dì questi fannulloni e scapestrati. Tutte le soluzioni sperimentate finora, compresi i voucher e il jobs act, celano l'intento di ampliare a dismisura un esercito di riserva professionalizzato e docile, disponibile a entrare e uscire dal mondo del lavoro secondo le fluttuazioni capricciose del mercato. Invece bisognerebbe avere il coraggio di affrontare il problema in tutta la sua gravità: la disoccupazione non solo non diminuirà, ma è destinata a crescere. Basta guardarsi intorno: ieri le macchine sostituivano l'uomo alla catena di montaggio, domani software sempre più sofisticati lavoreranno al posto di medici, dirigenti e notai. Insomma, il progresso tecnologico ci procurerà sempre più beni e servizi senza impiegare lavoro umano. E la soluzione non è ostacolarne la marcia trionfale, ma trovare criteri radicalmente nuovi per ridistribuire in modo equo la ricchezza. Per questo i disoccupati e tutti coloro che temono di poterlo diventare, se vogliono salvarsi, devono adottare una precisa strategia di riscatto. Perché pretendere un comportamento e un'etica ritagliati sul lavoro quando il lavoro viene negato? Perché non trasformare i disoccupati in un'avanguardia di quel mondo libero dal lavoro e sperimentare le occasioni preziose offerte da quella libertà? Ciò che oggi si prospetta non è conquistare, lottando con le unghie e con i denti, un posto di ultima fila nel mercato del lavoro industriale, ma sedere nella cabina di regia della società postindustriale. La soluzione è un nuovo modello di sviluppo e di convivenza, che possa condurci verso approdi sempre meno infelici.
2999: alla vigilia del capodanno che segna il passaggio al quarto millennio, il pianeta Terra pare essere il più gettonato come meta dei viaggi intergalattici. Recenti scavi archeologici hanno infatti riportato alla luce reperti che raccontano la vita dei terrestri all'inizio del millennio. Una civiltà oziosa, dedita all'introspezione, all'amicizia, all'amore, al gioco, alla bellezza e alla convivialità scopre così che i suoi antenati erano strani esseri interessati soltanto alla lotta per il potere, al denaro e al possesso di beni materiali. Quegli antenati siamo noi. Domenico De Masi adotta questa prospettiva fantascientifica per provocare il nostro sguardo. Allontanandosi nello spazio e nel tempo è più facile riflettere sulla direzione che vogliamo imprimere al nostro futuro. Con la forza delle sue analisi e la felice sintesi delle sue formule, l'autore ci racconta come siamo cambiati in questi ultimi anni pur essendo rimasti fedeli a stili di vita ormai superati, per dimostrare che esiste una prospettiva che ci può guidare fuori dallo smarrimento attuale. In poche parole, "Una semplice rivoluzione". Nuove rotte sono possibili, a condizione però di dotarsi dei giusti strumenti per navigare. La società postindustriale in cui siamo immersi è appena agli albori, è in fase ancora di assestamento, ma la sua apparente complessità non ci deve condannare alla rassegnata accettazione delle sue distorsioni.
Jen e Bill, fin da bambini, hanno dovuto provare sulla loro pelle quanto può essere dura la vita. Nati entrambi con una forma di nanismo che li ha costretti a complicate operazioni e lunghi e dolorosissimi periodi di convalescenza, si sono sfiorati più volte negli stessi ospedali che frequentavano, curati dallo stesso specialista e assistiti dalla stessa infermiera, prima di incontrarsi su un sito di incontri riservato a persone con la stessa patologia dove avevano deciso di iscriversi per trovare qualcuno con cui uscire. In comune hanno la solidità di una famiglia che li ha adorati e sostenuti nel corso delle tante avversità quotidiane ma anche una grande forza di lottare e la volontà di avere una vita il più possibile "normale" e soprattutto felice: non ci vuole molto perché si innamorino e decidano di vivere insieme, di sposarsi e costruire una famiglia. Senza autocommiserazione o senso di rivalsa, i due autori raccontano il percorso straordinario compiuto per riuscire a vivere come tutti, insieme, e lo fanno con un'incredibile positività e infinito entusiasmo, regalando ai lettori (e ai fedeli telespettatori) un'importante lezione: nei momenti bui, affrontare la vita con un sorriso può portare dappertutto.
Bellezza, genio, lavoro, disordine, valore. Ma anche luoghi dell'anima come Napoli e Roma. Sono solo alcune delle parole che Domenico De Masi, il padre dell'ozio creativo, usa per sfidarci, per dimostrare che quelli che per noi sono concetti scontati in realtà non lo sono affatto. Dietro c'è un mondo: talvolta una storia antica, quando questi vocaboli avevano significati e valenze diversi, come diverse erano le loro implicazioni sulla vita degli uomini e sul loro universo mentale; altre volte, invece, si tratta di neologismi che spiegano più di mille discorsi la nostra condizione di postmoderni. Questa collezione di sintesi su concetti che ci stanno molto a cuore quali la felicità, l'arte, il rapporto problematico con il tempo e con il lavoro, il progresso scientifico e la conoscenza, parlano con profondità e immediatezza degli snodi più importanti della nostra cultura. E lo fanno con ricchezza e felicità narrativa, spingendoci a riflettere e a prendere le distanze da quello che supponiamo di sapere, a uscire dal binari di convinzioni e stili di vita che ci rendono infelici. Soprattutto, suggerendoci una nuova idea di libertà. Questo libro è molto più della somma delle sue parti: è la fotografia ispirata e dolceamara del nostro presente alla luce del cammino fatto finora. Che lancia la sfida di riempire di nuovi contenuti queste stesse parole, in uno sforzo di creatività collettiva.
Come si producono le idee quando sono opera non di un singolo individuo ma di un gruppo creativo? Per rispondere a questa domanda, il sociologo Domenico De Masi ha coordinato un'indagine sui movimenti artistici e letterari e sulle équipes di scienziati che tra la metà dell'Ottocento e la metà del Novecento hanno fissato i parametri dei nostri riferimenti culturali: dalla Casa Thonet al Bauhaus, dall'Istituto Pasteur di Parigi al gruppo di fisici di via Panisperna a Roma al Progetto Manhattan di Los Alamos. Osservare questi straordinari episodi di ideazione collettiva significa porre le basi per capire il funzionamento della nostra società e per rendere sempre più efficace la nostra organizzazione del lavoro.
Se si parla sempre più spesso di crisi dell'Occidente, se ormai l'intero pianeta avverte un disagio che i profeti di sventura prevedono irreversibile, forse non è la realtà a essere in crisi, forse è in crisi il nostro modo di interpretarla, sono in crisi i nostri modelli esplicativi. Siccome le categorie mentali che abbiamo ereditato dall'epoca industriale non sono più capaci di spiegarci il presente, siamo indotti a diffidare del futuro, oscillando tra disorientamento e paura. Attendiamo il vento favorevole ma non sappiamo dove andare. Sentiamo crescere intorno a noi e dentro di noi l'esigenza di un mondo nuovo consapevole e solidale, l'urgenza di un nuovo modello di vita capace di orientare un progresso che, privo di regole e di scopi, risulta sempre più insensato. Ma a chi tocca l'onere di elaborare questo nuovo modello? Ne esiste già un embrione da qualche parte? In queste pagine l'autore parte dalle domande più urgenti del nostro tempo per avviare un'analisi a tutto campo dei modelli di vita elaborati dall'uomo nel corso dei secoli, dei sistemi sociali, culturali, religiosi creati per rispondere alle sfide dell'esistenza. Possono ancora esserci utili per affrontare il tempo che ci attende? Solo a partire da una seria rivisitazione critica, che ci orienti sul percorso che l'intelligenza collettiva ha compiuto per giungere fino a oggi, si potranno trarre indicazioni per il percorso da intraprendere.
Un'opera fondamentale per comprendere le caratteristiche essenziali della societa' capitalistica moderna, le sue radici culturali e il suo destino.