Nel XXI secolo l'umanità si è trovata a dover fronteggiare delle sfide epocali, tra le quali spiccano i gravi danni arrecati alla Natura e quella radicale transizione verso una "mutazione antropologica" chiamata rivoluzione digitale. Tali sfide hanno imposto un drastico cambiamento nel modo di percepire la cultura quale vera fonte di progresso. Questa deve infatti essere intesa come una "cultura della complessità", fondata su una sintesi tra approccio umanistico e approccio scientifico e posta al servizio di un umanesimo planetario che, nell'ottica della solidarietà e della sostenibilità, consenta di capire che "noi" precede "io".
Quello a cui stiamo assistendo oggi è un processo di digitalizzazione estrema e assoluta, un processo che mira a innovare l'infrastruttura tecnologica della nostra società, ma a causa del quale stiamo perdendo ogni possibilità di identificazione. La "miseria del simbolico" di cui parla Bernard Stiegler non è soltanto quel triste vuoto che viveva il proletario alienato dal lavoro, ma anche il vuoto d'esperienza del consumatore odierno, privato della possibilità di determinare i propri desideri e totalmente condizionato dalle logiche di consumo. L'estetica è l'arma privilegiata della tecnologia industriale, e il cinema il suo campo di battaglia preferito: entrambi concorrono ad avvelenare l'esperienza individuale e collettiva. Tuttavia, è proprio nel cuore di questi due campi che l'autore rintraccia l'antidoto per sfuggire alla miseria antropologica che stiamo vivendo e per ritrovare quel sentimento comune che è condizione preliminare e necessaria alla vita pubblica.
Nel dibattito pubblico è sempre più ricorrente l'appello ad "abbattere le frontiere" e brulicano i commentatori che, in epoca di globalizzazione e migrazioni di massa, ritengono i confini irrilevanti, discriminatori o reazionari. Non si tratta solo dei cosiddetti 'no borders', e non sono solo le frontiere tra gli Stati a essere sotto attacco, ma il concetto stesso di confine. Nelle società occidentali, infatti, anche le tradizionali linee di demarcazione tra pubblico e privato, uomini e donne, adulti e bambini, esseri umani e animali, cittadini e non cittadini sono spesso condannate come arbitrarie, innaturali e ingiuste. E ciò mentre imperversa la politica dell'identità, che paradossalmente non fa che tracciare nuovi confini simbolici. Frank Furedi mette in guardia da una società culturalmente alla deriva, che fatica a produrre senso e significato e che, a livello individuale e collettivo, tende a svalutare la facoltà di esprimere giudizi. Anche per questo è fondamentale che l'umanità riscopra l'arte di tracciare confini.
A chi appartiene la mia vita? Il suicidio - scrive Walter Benjamin nei suoi Passages - è "la quintessenza della modernità". In effetti, dopo che per secoli il tentativo di togliersi la vita è stato considerato un peccato o l'espressione di una malattia psichica, e in alcuni paesi è stato addirittura sanzionato penalmente, nel XX secolo si è assistito a un profondo rivolgimento, che ha contribuito a far emergere una nuova cultura del morire. Chi si toglie la vita non vuole più solo cancellarla ma anche, in qualche modo, appropriarsene e darle un nuovo significato in virtù di un gesto che l'espressione utilizzata per il titolo tedesco del libro, Das Leben nehmen ("togliersi la vita", ma anche "prendersi la vita"), con la sua ambiguità, trasmette immediatamente. A chi appartiene la mia vita? è il vivo e profondo racconto della complessa storia del suicidio nella modernità. Ne esamina le radici culturali attraverso diari, film e opere d'arte, per giungere a un'inquietante diagnosi: viviamo in un'epoca sempre più affascinata dal suicidio.
Questo libro tratta due questioni fondamentali della teoria dell'immagine. La prima è il rapporto tra immagine e osservatore: come guardare un'immagine? Maria Giulia Dondero propone una metodologia dello sguardo attraverso analisi figurative e plastiche che delineano il panorama teorico della semiotica dell'immagine contemporanea. L'autrice, distaccandosi dalle prime proposte semiologiche di Roland Barthes e di Émile Benveniste sulla relazione tra linguaggio visivo e linguaggio naturale, si ispira ai lavori di Algirdas Julien Greimas e nello stesso tempo avanza nuove proposte teoriche e metodologiche per poter rispondere alle sfide attuali: i Big Visual Data, le visualizzazioni di grandi corpus di immagini, l'analisi computazionale. La seconda questione è quella della materialità delle immagini. La relazione fra trasversalità delle forme e caratteristiche materiali dei supporti mediatici è esplorata al fine di rendere conto delle pratiche di utilizzo e di interpretazione proprie di ogni medium.
Il XXI secolo si sta rivelando marcato dall'aumento delle disuguaglianze sociali, da guerre di ogni genere, dalle conseguenze devastanti del cambiamento climatico, nonché dall'ascesa di partiti conservatori e reazionari, i quali a loro volta stanno intensificando tali fenomeni: questo è il volto tangibile dell'Antropocene, qui inteso come l'aumento dell'entropia termodinamica, biologica e dell'informazione causato dalle attività umane. È in tale contesto di urgenza che nasce il Collettivo Internation, guidato dal grande filosofo francese Bernard Stiegler, che in questo libro analizza i concetti di entropia e località. Abbandonata spesso nel ripostiglio dei principi politici, la località - da non confondersi con il localismo delle retoriche sovraniste - oggi può essere la chiave per ripensare la ricerca e il sapere, la collettività, la tecnologia e la politica, in direzione ostinata e contraria rispetto al processo che ha condotto all'Antropocene.
Gaia non è il Globo, né la Madre Terra; non è una dea pagana e neppure la Natura così come l'abbiamo immaginata finora. Eppure, a causa degli effetti imprevisti della storia umana, quel che chiamavamo Natura abbandona ora le quinte e sale sulla scena. L?aria, gli oceani, i ghiacciai, il clima, il suolo: tutto quel che abbiamo reso instabile interagisce con noi. La vecchia Natura scompare e lascia il posto a un essere di cui è difficile prevedere le manifestazioni: Gaia. In questo libro sconvolgente come una profezia, Bruno Latour, fra i massimi antropologi contemporanei, esamina le innumerevoli e ambigue figure di Gaia per districare gli aspetti etici, politici, teologici e scientifici che la nozione ormai obsoleta di Natura aveva confuso, alla ricerca di una rinnovata solidarietà universale.
L'essere umano è Homo Fictus, non fa altro che inventarsi in continui immaginari. Oggi l'immaginario è in precessione tecnica e per questo il progresso si è sostituito alla speranza. Esiste quindi un Dramma Tecnologico, in quanto la sostituzione della speranza con la celebrazione del progresso attua una continua dissipazione, mentre il progresso non si realizza mai, in quanto si rinnova incessantemente, dissipando quello che ha prodotto in precedenza.
L'umanità si trova a un bivio. Le crescenti disuguaglianze, l'acuirsi della violenza a livello politico, i fondamentalismi in conflitto e una crisi ambientale di proporzioni planetarie rappresentano l'attuale scenario cui far fronte. Come modellare un mondo che abbia spazio per tutti, incluse le generazioni future? Quali le possibilità per un vivere collettivo? A queste urgenti questioni cerca di rispondere l'antropologia, mettendo in campo la saggezza e l'esperienza delle persone, indipendentemente da background e percorsi di vita. L'autore ripercorre le tappe di sviluppo di questo campo di studi; nato per supportare gli ideali del progresso, crollato tra le rovine della guerra e del colonialismo, rinasce oggi come disciplina della speranza, destinata ad assumere un ruolo centrale nel dibattito sulle impellenti questioni intellettuali, etiche e politiche contemporanee. Con appassionate argomentazioni, Tim Ingold dimostra perché l'antropologia è importante per tutti noi.
Il riconoscimento è diventato una parola chiave del nostro tempo, fondamentale per concettualizzare le lotte contemporanee sull'identità e la differenza. Che si tratti di rivendicazioni territoriali degli indigeni, di matrimonio omosessuale o di velo islamico, i filosofi morali utilizzano sempre più il termine per ricostruire le basi normative delle rivendicazioni politiche. Meno investigato rimane il suo rapporto con il paradigma della giustizia distributiva: le lotte intorno alla religione, alla nazionalità e al genere, nonché le crescenti disuguaglianze economiche impongono ai filosofi della politica di oggi di affrontare tale relazione. E proprio questo è lo scopo del libro, scritto a quattro mani da due dei principali pensatori contemporanei.
Un antropologo studia sul campo una strana tribù: i bambini di una scuola dell'infanzia. In particolare, cerca di capire come questi utilizzino spontaneamente e per i propri scopi uno strumento di comunicazione a loro congeniale, il disegno. Evitando estetiche primitiviste e valutazioni psicologico-cognitive, l'analisi fa emergere, con uno sguardo relativista, come i bambini attraverso il disegno agiscano in modalità peculiari, con precise intenzioni, nel loro mondo sociale: comunicare la propria identità, mettersi in relazione con il contesto, dare vita a giochi che nascono nell'immagine, negoziare e stabilire relazioni sociali. Per cogliere quindi il significato di un disegno è necessario valutarne le condizioni di produzione e comprenderne l'uso all'interno del gruppo. In questo testo, si propone una selezione di strumenti interpretativi per analizzare la complessità e il significato del disegno infantile colto nel suo stato "selvaggio".