Se - come disse Piero Gobetti il fascismo è stato l'autobiografia della nazione, chi o che cosa ne potrebbero essere il simbolo in questa stagione di mediocrità mannara?
Una ristretta schiera di Tecnotitani - a capo di imprese come Amazon, Google, SpaceX e Meta - detiene le redini del progresso tecnologico alimentando disuguaglianze laceranti, consumismo di massa, concentrazioni di potere e ingenti speculazioni finanziarie. È il "tecnocapitalismo" di cui Loretta Napoleoni offre un ritratto accurato e impietoso, e che mina alle fondamenta la democrazia e la società tutta. Per l'autrice, a minacciare il futuro è soprattutto la rapidità della trasformazione tecnologica: quanto più le innovazioni si susseguono dirompenti, tanto più i mostruosi profitti dei Tecnotitani si dilatano, a danno di salari e diritti del resto di una popolazione gettata in preda all'ansia. Come se non bastasse, le criptovalute e l'intelligenza artificiale applicata agli scambi di Borsa stanno gonfiando nuove bolle finanziarie destinate a scoppiare, mentre la corsa allo spazio viene appaltata alla voracità di nuovi Baroni. Tecnocapitalismo è un invito a riappropriarsi della tecnologia - e del futuro -, perché solo mettendo l'innovazione al servizio della collettività e del bene comune possiamo evitare il disastro sociale ed ecologico.
"Il passato è davanti, il futuro alle spalle". Da questa frase paradossale parte il saggio di Tim Ingold. Nel suo nuovo, provocatorio e coinvolgente volume, l'antropologo inglese cerca di rispondere a una domanda con cui ognuno di noi finisce prima o poi per confrontarsi: perché il futuro ci fa così paura? Ingold sostiene che la radice della nostra difficoltà nell'affrontare il futuro risiede soprattutto nel modo in cui pensiamo alle generazioni. Esse sono spesso immaginate a strati una sull'altra come fogli in una pila. Cosa accadrebbe, invece, se considerassimo le generazioni come fibre di una corda tra loro intrecciate? Adottare l'idea secondo cui la vita si forma nella collaborazione tra generazioni potrebbe non solo ridurre l'ansia che caratterizza l'età presente, ma anche offrire una solida base per la coesistenza futura. Ciò implicherebbe l'abbandono di una cieca fede nel progresso e quindi nella Scienza e nella tecnologia come uniche risposte ai problemi dell'umanità. Ingold mostra che c'è ancora speranza, e questa si trova nelle generazioni del passato, per le generazioni a venire. A cura e con un saggio introduttivo di Nicola Perullo.
Il volume presenta per la prima volta al lettore italiano due testi appartenenti all'ultima parte della produzione di Jean Baudrillard: Carnevale e Cannibale, ovvero il gioco dell'antagonismo globale (2004) e Il Male ventriloquo (2006). Scritti in uno stile rapido e graffiante, i due saggi si caratterizzano per un taglio polemico e provocatorio di perdurante attualità. L'analisi impietosa della società globale dei consumi e dello spettacolo, giunta allo stadio estremo e simulacrale, e la critica serrata al conformismo intellettuale e politico di ogni colore, soprattutto di sinistra - vere e proprie cifre dell'opera di Baudrillard -, si condensano nella brevità icastica di questi due folgoranti interventi, gettati come sassi nelle acque falsamente rassicuranti del dominio politico e tecnoscientifico di un Occidente in fase terminale.
Prima di diventare uno dei personaggi più conosciuti sulla scena politica internazionale, Volodymyr Zelens'kyj, attore di tv e cinema, era già uno degli uomini più famosi in Russia, in Ucraina e nelle ex Repubbliche Sovietiche. Il 20 maggio 2019 è stato eletto alla presidenza dell'Ucraina e da quel momento la sua notorietà è cresciuta a dismisura in tutto il mondo. Ma davvero possiamo dire di conoscerlo? Nella sua breve e tumultuosa esperienza politica, Zelens'kyj è stato - o ha interpretato - un personaggio sempre diverso: l'attore che si è fatto politico con l'appoggio degli oligarchi; il presidente che ha ingaggiato una rovinosa battaglia per riformare l'Ucraina; il complottista guidato dall'opportunismo; il leader in tenuta militare protagonista della resistenza ucraina di fronte all'invasione russa; il democratico che sognava l'Europa, ma che si è appoggiato all'estrema destra; il rappresentante del popolo che ha accentrato tutti i poteri nelle proprie mani e in quelle di una ristretta cerchia di fedelissimi, talvolta dal passato di dubbia trasparenza. Con audacia e schiettezza, Fulvio Scaglione ci racconta la parabola - ancora poco limpida - di Volodymyr Zelens'kyj tra luci e ombre, consensi e contraddizioni, alla scoperta dell'uomo e del politico.
L'attenzione - scrive Simone Weil - consiste nel sospendere il pensiero, nel lasciarlo disponibile, vuoto e permeabile all'oggetto, nel mantenere vicino al pensiero, ma a un livello inferiore e senza contatto con esso, le varie conoscenze acquisite che si è costretti a utilizzare. In un mondo che, nello studio, nella politica, persino negli spazi deputati all'istruzione, alla comunicazione e al pensiero, manca sempre più di attenzione, queste parole richiamano ognuno di noi a una doppia responsabilità: non confondere l'attenzione con la prestazione e comprendere pienamente che è sempre un'apertura, un'attesa - attesa dell'altro, attesa di sé, attesa dell'Altro da sé. L'attenzione è una disposizione del corpo, della mente e dello spirito: nella sua forma più pura è già preghiera.
Quest'opera offre una testimonianza viva del denso e assai prolifico dibattito che stava prendendo forma attorno all'insegnamento di Edmund Husserl e che avrebbe poi dato origine alle diverse correnti del cosiddetto "movimento fenomenologico". L'analisi dettagliata dei processi percettivi proposta da Wilhelm Schapp è fondata su una rielaborazione del metodo fenomenologico husserliano che risente delle influenze di esponenti di spicco del circolo di Monaco e di altri autori centrali nel panorama culturale dell'epoca, quali Theodor Lipps, Wilhelm Dilthey e Heinrich Rickert. Il risultato è una riflessione che non vuole lasciarsi incatenare dal formalismo husserliano delle "Ricerche logiche" e delle prime lezioni gottinghesi e che cerca di ampliare la propria indagine al mondo della vita e dell'esperienza quotidiana. Sia il modo in cui Schapp intende il presentarsi del mondo attraverso la dinamica percettiva del vissuto intenzionale, sia il modo in cui il filosofo elabora il passaggio dalla cosa all'idea nella comprensione avranno una grande influenza su altri protagonisti nella storia della filosofia del '900, quali José Ortega y Gasset, Martin Heidegger e Maurice Merleau-Ponty. Testo di mediazione e avvicinamento tra la fenomenologia husserliana e le altre istanze di pensiero dell'epoca, il volume discute problematiche centrali e decisive per le sorti della filosofia contemporanea, tra cui il problema del rapporto tra realtà e narrazione in ambito percettivo-cognitivo.
Nato dallo sviluppo di alcuni appunti presi a proposito di Cyril e Samantha, due personaggi del film "Il ragazzo con la bicicletta" (2011), questo volume muove da una profonda preoccupazione filosofica, che attanaglia l'essere umano: come accettare la morte di Dio senza abbandonarsi a consolazioni e fedi sostitutive? Divenuti orfani dell'amore divino, come affrontare l'umana paura di morire senza negare la nostra condizione mortale e senza rifiutare il mondo e l'altro da sé? La risposta di Luc Dardenne a queste domande esistenziali passa per il riconoscimento del ruolo essenziale che svolge l'amore incondizionato e assoluto di ogni figura materna nei confronti del nuovo nato; amore grazie al quale l'essere umano, superando la paura di morire, si apre alla vita e all'altro da sé, fino a sviluppare la capacità di empatizzare con la sofferenza del prossimo come base necessaria di ogni società etica. In questo contesto, l'arte non può che farsi portatrice di un'istanza profondamente umanistica: esprimere la sofferenza umana e, al contempo, la gioia d'essere al mondo.
Il nostro presente ci espone a un'inflazione di simboli dal valore e dalla forza differenti: la bandiera europea e Charlie Brown, la croce e il pane, i Beatles e Chanel, Mike Bongiorno e Maradona, il Che e la regina Elisabetta, la Gioconda e il Guggenheim, i Lego e la Coca-Cola, ma anche Arco, QAnon, la conchiglia di San Giacomo, Falcone e Borsellino e il genocidio. Non ci sono limiti a cosa possa diventare simbolo né tantomeno a cosa possa smettere di esserlo, al punto che occorre rinunciare a chiedersi cosa sia simbolo per focalizzarsi invece su quando esso si dia. Questo libro affronta tale questione partendo dai simboli che riconosciamo e utilizziamo, che abbiamo creato e distrutto, intorno ai quali costruiamo consensi e dissensi, che riteniamo eterni o che invece ci appaiono effimeri. Prodotti culturali di varia natura dei quali si può dire solo una cosa con certezza: non sono come gli altri.
Il tema dell'archivio emerge con sempre maggiore centralità nelle pratiche artistiche ed espositive del presente. Al gesto selettivo di una narrazione unilineare si contrappone la proliferazione policentrica degli archivi, alla storia con le sue gerarchie precostituite il decentramento di una geografia dei molteplici punti di vista. Marco Scotini ha contribuito in maniera decisiva al consolidamento di tale prospettiva attraverso il suo lavoro teorico e l'organizzazione di mostre di grande rilievo. L'inarchiviabile presenta una riflessione complessiva sull'estetica dell'archivio a partire non dall'applicazione di astratti principi teorici ma da un percorso di confronto con opere e artisti, lungo un itinerario che partendo dall'Italia si estende all'Europa orientale, all'Africa e all'Asia. Dai dialoghi con Harun Farocki, Vyacheslav Akhunov e Marko Pogacnik alle analisi su uno spettro di pratiche artistiche - che dalla "differenza italiana" si aprono sugli spazi della decolonialità, chiamando in causa il lavoro di figure quali Piero Gilardi e Ugo La Pietra, Laura Grisi e Marcella Campagnano, Ivan Kozaric, Mao Tongqiang e Meschac Gaba - l'archivio diviene la prospettiva attraverso la quale costruire narrazioni controegemoniche in grado di restituire alle pratiche artistiche una vocazione critica.
Mentre l'umanità avanza verso il collasso ecologico, sociale e politico, in Occidente la teoria economica neoclassica, incurante dei propri fallimenti, domina ancora l'accademia, l'informazione e il senso comune. Questa vera e propria chiesa intellettuale, con i suoi dogmi, il suo clero e le sue superstizioni, ha ormai perso ogni contatto con la realtà e non è in grado di gestire l'instabilità del capitalismo. In questo volume, Steve Keen propone di archiviare il pensiero mainstream, i suoi errori empirici e le sue fallacie logiche in favore di un'Economia nuova che dia la speranza di salvare le nostre società dal disastro e il pianeta dalla catastrofe ambientale. Il nuovo paradigma è empiricamente realistico, anziché fondato su modelli fantasiosi su come la realtà dovrebbe essere; riconosce il ruolo fondamentale della moneta, invece di ritenerla neutrale come vuole la falsa credenza neoclassica; interpreta l'economia come un sistema complesso e dinamico, e non in equilibrio; rispetta le leggi della termodinamica contro la pretesa di organizzare le attività umane come se la Terra offrisse risorse infinite. Elegante, arguta e irriverente, l'opera di Steve Keen è un riferimento ineludibile per chi si è reso conto che l'economia, come l'Imperatore delle fiabe, è nuda. E che è necessario quindi rivestirla.
Il testo si pone l'obiettivo di analizzare ed esplorare la realtà sociale e urbana che ospita il lavoro stagionale agricolo dei migranti nelle province di Huelva (Spagna) e di Roma (Italia). Migrazione, stagionalità e transnazionalismo sono i temi che fanno da sfondo all'analisi sociologico-qualitativa di questo studio, che pone in risalto soprattutto l'impatto dei processi globali sulle vite dei migranti coinvolti. Nel settore agroalimentare, in particolare, l'intensificazione dei processi di produzione ha comportato una progressiva femminilizzazione della manodopera, con l'ingresso delle temporeras (mujeres marroquíes) nel mercato agricolo. In tal senso, sia la provincia di Huelva sia la provincia di Roma possono considerarsi delle periferie globali: nate dalla necessità dei contesti locali di adeguarsi alle regole internazionali del mercato, esse costituiscono esempi di transnazionalismo.