I cinque agenti della scorta di Aldo Moro: chi erano e perché vivono ancora.
«Quando chiuderete le pagine di questo libro potrete dire di conoscerli e non potrete più dimenticarli.» - dalla Prefazione di Mario Calabresi
Il 16 marzo 1978, in via Fani, a Roma, le Brigate rosse rapirono Aldo Moro e uccisero i cinque uomini della sua scorta: Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi, due carabinieri e tre poliziotti. Per decenni le attenzioni di storici e giornalisti si sono incentrate sulle figure dei terroristi, a cui sono stati dedicati articoli, libri, dibattiti e interviste, mentre le vittime venivano trascurate se non del tutto dimenticate. Lo storico Filippo Boni ha sentito il bisogno personale e civile di ricostruire le vite spezzate di questi cinque servitori dello Stato e per farlo è andato nei luoghi in cui vivevano, a parlare con le persone che li avevano amati e conosciuti: genitori, figli, fratelli, e fidanzate a cui il terrorismo ha impedito di sposare l’uomo che amavano. In questo libro, Boni ha raccolto le toccanti storie di vite umili ma piene di sogni e di affetti, restituendo così verità e memoria a quei corpi prima trucidati e poi dimenticati e al tempo stesso componendo uno straordinario affresco di un’Italia semplice e vera, che resistendo alle atrocità della storia si ostina a guardare al futuro.
Nell'immaginario collettivo gli anni Sessanta sono definiti "favolosi": l'Italia, superato definitivamente il dopoguerra, si lanciava con gioia e ottimismo verso un futuro che appariva radioso. In questo racconto, Alfio Caruso ci fa rivivere in presa diretta l'anno speciale con cui inizia il decennio. E il 1960 vanta una crescita economica impressionante: il Pil tocca il record del +8%, oltre il 50% delle famiglie si avvia a possedere un frigorifero e un televisore (venduti al ritmo di 1500 al giorno) e spopolano le due utilitarie della Fiat, la 500 e la 600. Il sentimento generale è ben rappresentato da Domenica è sempre domenica, il motivetto che conclude Il Musichiere, la trasmissione televisiva di maggior successo. È anche l'anno delle Olimpiadi di Roma, quelle della corsa trionfale a piedi nudi di Abebe Bikila nella maratona e di Berruti nei 200 metri. Per il cinema italiano è un momento straordinario, in cui escono, tra gli altri: La dolce vita di Fellini, prima accolto da polemiche e poi acclamato a Cannes, Rocco e i suoi fratelli di Visconti e La ciociara di De Sica con l'oscar alla Loren. Ma non solo: è l'anno della trasmissione più importante della storia della Rai, Non è mai troppo tardi, condotta dal maestro Alberto Manzi, l'anno delle prime tribune elettorali, dell'elezione di Kennedy... E Il cielo in una stanza, portato al successo da Mina, è la perfetta colonna sonora di un anno caratterizzato da speranza, ottimismo e gioia di vivere. 1960.
A dispetto del nome, la guerra fredda fu un lungo periodo di pace e stabilità per l'Europa. Pur se costellati da momenti di grande tensione, i decenni che seguirono la seconda guerra mondiale furono caratterizzati dalla fermezza con cui le due superpotenze, Unione Sovietica e Stati Uniti, seppero frenare le forze che al loro interno premevano per lo scontro, ben consapevoli che lo scoppio di una guerra nucleare avrebbe avuto conseguenze disastrose per tutti. Con la caduta del muro di Berlino e la disintegrazione dell'Urss, i confini dell'ex Impero sovietico divennero nuovamente contesi, rinacquero antichi nazionalismi, scoppiarono numerose guerre: in Cecenia, nel Caucaso e nella ex Jugoslavia. Gli Stati Uniti, dal canto loro, pensarono di avere vinto la guerra fredda, ma oggi emergono chiari i limiti della superpotenza americana e le conseguenze del suo avventurismo: rivoluzioni sfuggite di mano, guerriglie fomentate dal fanatismo religioso, contrasti sempre più accesi con la Russia. Ma la fine della guerra fredda, e i conflitti del dopoguerra, hanno avuto come effetto soprattutto il sorgere dei "non Stati" - Isis, Ghaza, Kurdistan iracheno, Bosnia, Kosovo, Siria, Libia - con le grandi incognite che ne derivano: come si combatte contro un "non Stato"? Come lo si governa? E come si può ricostruire l'ordine perduto?
Tra il 1934 e il 1944 Adolf Hitler e Benito Mussolini si sono incontrati diciassette volte. Molto si è scritto sulle relazioni fra i due dittatori, ma fino a oggi nessun libro aveva tracciato un resoconto dettagliato di tutti i loro colloqui. Che cosa si sono detti? Di cosa hanno discusso? Su quali presupposti si fondava il loro rapporto? Basandosi sui documenti conservati negli archivi diplomatici di Italia e Germania, Pierre Milza racconta passo dopo passo tutti gli incontri, rispondendo a queste e ad altre domande. Ma ancor più importanti per la ricostruzione sono state le testimonianze di chi ministri, diplomatici, interpreti - ha partecipato a quei colloqui. Pagina dopo pagina, l'autore rivela le intese, i bruschi voltafaccia, i dubbi e i segreti che hanno alimentato il lungo sodalizio. E grazie alla rievocazione di questi momenti, così importanti per il destino dell'Europa e del mondo intero, possiamo comprendere meglio come e perché due personaggi tanto diversi siano stati in grado di trovare un accordo e una complicità nel crimine più mostruoso che abbia mai macchiato la storia dell'umanità.
Per quanto non dichiarata, la guerra che si combatté in Sicilia tra lo sbarco angloamericano nel 1943 e l'uccisione di Salvatore Giuliano nel 1950 fu ad altissima intensità. Cambiarono i pupi e gli scenari, ma il puparo rimase sempre il Partito unico siciliano (massoni, imprenditori, boss di Cosa Nostra, politici d'ogni colore, giudici). E suoi alla fine furono i guadagni. Sette anni di anarchia e terrore, con lo Stato ospite indesiderato. Cominciarono i grandi proprietari terrieri e i nobili per difendere anche i centimetri dei latifondi. Proseguirono gli agitatori fascisti per sabotare la leva obbligatoria. Poi avvennero le rivolte contro la politica dell'ammasso, la guerriglia per il pane, la ribellione di cento comuni, dove l'esercito per ristabilire l'ordine usò mitragliatrici, cannoni, blindati. In un misterioso agguato venne ucciso il personaggio più singolare, Antonio Canepa, professore universitario: nella sua breve vita preparò un attentato a Mussolini, guidò lo spionaggio britannico nell'isola, infiammò con un libello i cuori indipendentisti, si iscrisse clandestinamente al Pci. A intorbidare le acque provvidero la congiura per instaurare i Savoia a Palermo e l'arruolamento nell'Esercito dei volontari per l'indipendenza siciliana. Ne sarebbero discese le stragi di Portella della Ginestra e degli otto carabinieri di Feudo Nobile, sulle quali tuttora proseguono misteri e depistaggi...
Domenica 7 novembre 1915, al largo di capo Carbonara, Tirreno meridionale. Verso le ore 13, il sommergibile tedesco U-38, inalberando la bandiera austroungarica, affonda il piroscafo Ancona diretto a New York con a bordo 164 uomini di equipaggio, 626 passeggeri, in gran parte donne e bambini, e un carico segreto: 12 casse di sovrane d'oro per un valore di 50 milioni di euro. Tra le 208 vittime, un funzionario del ministero dell'Agricoltura che accompagnava il tesoro con cui l'Italia avrebbe pagato la partecipazione all'Expo tenutasi quell'anno a San Francisco. Le cancellerie di Washington (nel disastro sono morti nove cittadini americani), Roma, Berlino e Vienna si scambiano messaggi di accusa o di giustificazione, ma solo le prime due conoscono la verità: le 133.000 sovrane rappresentano una franche di un colossale contrabbando di cavalli, muli, foraggio, armi e munizioni che l'Italia - entrata in guerra da sei mesi contro l'Austria-Ungheria - ha acquistato dagli Stati Uniti per "girarlo", forse, in parte alla Francia. Il comandante dell'Ancona, Pietro Massardo, non rivelò mai il punto nave dell'affondamento, e per settant'anni il relitto è rimasto indisturbato. Lo ritrovò nel 1985, integro e in buone condizioni, a 471 metri di profondità, Henri Delauze, il più grande cacciatore di relitti del dopoguerra. Da allora la caccia al tesoro è diventata un'autentica spy story, che ha coinvolto ministeri degli Esteri e tribunali...