Che cosa hanno in comune gli ultimi samurai giapponesi e i burocrati della nostra pubblica amministrazione? Quali armi utilizzano i moderni samurai per bloccare le riforme? E perché la resistenza che oppongono è la vera ragione per cui è tanto difficile riformare, aprire i mercati alla concorrenza, evitare la corruzione? In questo libro l'economista Francesco Giavazzi e il giornalista Giorgio Barbieri individuano nella burocrazia, che da mercati bloccati ottiene potere e rendite, la corporazione che maggiormente si oppone al cambiamento del Paese.
Questo libro si propone un compito tanto necessario quanto controcorrente: smontare il mito della decrescita come visione alternativa della società rivelandone di volta in volta i numerosi luoghi comuni, le ingenuità o addirittura la malafede. Ha davvero senso il nuovo mito del ritorno alla terra e l'elogio dei contadini del passato? È giusto considerare l'austerità un valore contrapponendola al "demoniaco" consumismo? Siamo proprio sicuri che lo slow food sia più etico e altruistico del tanto stigmatizzato fast food? E uno Stato in cui qualcuno decidesse cosa è necessario consumare per vivere, e cosa non lo è, non diventerebbe uno Stato totalitario? Non c'è il rischio che si tratti dell'ennesima, prepotente riemersione di un'ideologia antica che ha già avuto in passato esiti politicamente nefasti? Da Carlo Petrini a Serge Latouche, da Simone Perotti a Vandana Shiva, Simonetti passa in rassegna idee e proclami di tutti quei teorici della "decrescita felice" che in nome di una visione del passato nostalgica e sentimentale, e animati da diffidenza e ostilità nei confronti della scienza, della tecnica e del progresso, finiscono col "vedere l'apocalisse con ghiotta impazienza". Con ironia e passione, e uno stile limpido e acuminato, l'autore di questo libro ci dimostra che nessuna decrescita potrà mai essere felice, ma solo estremamente pericolosa.
Cesare Romiti ha attraversato cinquant'anni di storia italiana. Lo ha fatto non solo come manager, amministratore delegato e presidente della Fiat prima e presidente della Rcs poi, ma anche da protagonista di un sistema che univa finanza, capitalismo delle grandi famiglie e politica, in un intreccio che ha prodotto insieme frutti virtuosi e perversi. Un sistema che Romiti ha perfettamente incarnato, aiutato anche dall'essere stato per ventiquattro anni il rappresentante della prima e più blasonata industria italiana, un ruolo che gli consentiva di giocare a tutto campo anche fuori dai suoi cancelli. Così, anche per il suo strettissimo legame con la Mediobanca di Enrico Cuccia, non c'è stata grande operazione che lo abbia visto estraneo, o personaggio della vita pubblica con cui non abbia avuto a che fare. Unendo indubbie capacità professionali, un forte decisionismo e un innato senso del potere, Romiti è stato il capostipite di una nuova figura, quella del manager-padrone che provvisto di un mandato forte da parte degli azionisti gestiva l'azienda in completa autonomia e la rappresentava ai tavoli della politica e del confronto tra le parti sociali. Da Gianni Agnelli a De Benedetti, dal terrorismo a Mani Pulite, dalla prima Repubblica a Berlusconi, molti episodi e personalità importanti della recente storia italiana sono strettamente intrecciati con la sua biografia. In questo libro, Romiti rilascia a Paolo Madron una confessione lucida e a tratti impietosa...
"Dopo averci raccontato negli Affari di famiglia le molte miserie e la poca nobiltà dei figli dei padroni, Filippo Astone svela i segreti di Confindustria, un partito come tutti gli altri, con tanto di scandali, guerre interne e conflitti di interesse, ma anche ricco (circa un miliardo di ricavi all'anno), potentissimo e ramificato sul territorio. Di Confindustria si è sempre saputo poco o niente. In questo libro, Astone ne esamina la gigantesca struttura svelandone i meccanismi interni e le complesse e oscure alchimie. Spiega perché è così influente e come funziona il suo potere, quali sono le leggi che ha imposto e in che modo vuole ridisegnare il Paese, delegittimando il sindacato e ottenendo mano libera sui contratti.
Il Partito dei padroni racconta inoltre segreti, trame e strategie dei signori dell’economia italiana e gli scontri sotterranei che ne squassano il tessuto. Scoperchia il santuario dell’establishment economico mettendone in luce la mancanza di ricambio, i compensi incredibili e slegati dai risultati, il parassitismo e la tendenza a comportarsi in modo del tutto analogo, se non peggiore, a quello della "casta" politica.
Questo libro accomuna in un'improbabile simbiosi due tipi di scienziati che, a prima vista, sembrerebbero non avere molto in comune: il naturalista e l'economista. Ma teoria dell'evoluzione e economia hanno in realtà molte analogie, e spesso gli argomenti usati per spiegare determinati fenomeni economici hanno una sorprendente affinità con l'evoluzione biologica. E "poiché gli uomini si sono evoluti come narratori di storie, praticamente tutti trovano facile assorbire le informazioni in forma narrativa". Di qui la formula di questo libro non convenzionale ma curioso e al tempo stesso serissimo, basato su domande e risposte riguardanti argomenti e situazioni solo in apparenza "minori" - che possiamo osservare nella vita di ogni giorno: si va dal frigorifero al computer, dalle auto usate al fascino esercitato dalla timidezza, ai tacchi alti portati dalle donne (e ai bottoni dei loro abiti). Fra i principi che meglio si prestano ad essere esposti mediante una forma "narrativa" (accompagnata, in questo caso, da divertenti vignette), e che aiutano i lettori a imparare in modo facile e indolore i fondamenti dell'economia, ci sono per esempio il principio dei costi e benefici e la legge della domanda e dell'offerta. Ancora più sorprendente è il fatto che una quantità insospettata di comportamenti strani o misteriosi in cui ci si imbatte nell'esperienza quotidiana risultano avere, a un attento esame, precise motivazioni economiche.
Un impietoso affresco del capitalismo italiano che ritrae un sistema economico in declino attraverso le sue figure più fragili: i rampolli delle grandi famiglie imprenditoriali, tutte alle prese col passaggio generazionale. Sottolineando un male tipicamente italiano, quel "tengo famiglia" che secondo Leo Longanesi avrebbe dovuto essere scritto sulla bandiera tricolore, Filippo Astone passa in rassegna le storie di molti "tesori di papà"; ne racconta vizi e virtù, senza sconti per nessuno, e li classifica in base ai risultati che hanno prodotto. C'è chi ha distrutto le aziende del padre e rovinato la vita ai dipendenti. Chi è sotto inchiesta per aver contribuito a provocare lo scandalo dei rifiuti a Napoli. Chi - pur in assenza di giustificazioni economiche e di merito - riceve compensi e incentivi pari a decine di milioni di euro. Chi (pochi per la verità) è riuscito a fare meglio del padre. Chi si è dedicato anima e corpo a Confindustria. E infine chi è entrato in guerra con il potente genitore che in modo plateale l'ha pubblicamente rinnegato. È il caso, quest'ultimo, di Giuseppe Caprotti e di Roberto Berger, fortemente criticato in "Falce e carrello" il primo, e additato al pubblico ludibrio in "Disonora il padre" il secondo. "Gli affari di famiglia" è anche una risposta a questi due libri che confuta completamente, ribaltandone tesi e conclusioni.
Gli autori analizzano la realtà italiana illustrando i vari significati del "conflitto d'interessi", dimensione trasversale riscontrabile in ogni dimensione progettuale e produttiva del Paese (politica, informazione, sanità, ricerca scientifica), che ha causato un vero arretramento della democrazia e dell'economia. Ma per cogliere la dimensione del problema bisogna allargare lo sguardo: si vedrà così quanto la separazione dei poteri sia compromessa dalla mancanza di efficaci sistemi sovranazionali di controllo, e la necessità di normative europee e internazionali per tutelarla. Un libro che lascia presagire un triste scenario futuro, se non si interverrà per mutarlo con riforme appropriate e promuovendo un'inversione di tendenza culturale, che diffonda la percezione del conflitto d'interessi come "disvalore".