Il volume è frutto del secondo Seminario internazionale organizzato nel 2011 dall'"Archivio Julien Ries per l'antropologia simbolica" presso l'Università Cattolica di Milano. All'origine del volume vi è l'affermazione di Ries secondo la quale "L'uomo tenta di spiegare la propria esperienza e mantenere un rapporto con il numinoso creando tutta una serie di simboli che chiamano in causa diversi elementi cosmici come la luce, il vento, l'acqua, la folgore, gli astri, il sole, la luna [...]. Tutte le manifestazioni del sacro presuppongono l'esistenza di una via simbolica, poiché il sacro non si manifesta mai allo stato puro". A conferma di questa concezione il volume sviluppa un'ampia e articolata riflessione sul simbolo dell'aria/spirito come ierofania fondamentale dell'esperienza religiosa affrontata sia nelle sue manifestazioni tradizionali (ebraismo, cristianesimo, islamismo, mondo indiano, Cina arcaica, mondo africano, cultura delle Grandi Pianure nordamericane), sia in alcune degenerazioni contemporanee. Uno strumento essenziale per comprendere la stessa sensibilità metropolitana contemporanea fortemente attratta dal fascino discreto dello "spirituale", all'interno del quale, tuttavia, lo spirito si è spesso trasformato in un vento portatore di fantasmi e di pericolosi feticci.
Maurizi inizia con il compiere un veloce viaggio nell'immaginario occidentale per confrontarsi a fondo con la psicoanalisi e giungere poi alla sociologia. L'autore intende svelare come nella società attuale l'ideologia abbia operato una torsione rispetto al significato marxiano acquisito. La critica dell'ideologia non può oggi riguardare il suo carattere di mera rappresentazione: dell'uomo e dei suoi legami. Questa critica non può limitarsi a smascherare cause nascoste, non-dette, manipolazioni operanti in tale rappresentazione. Si tratta piuttosto di cogliere il carattere immaginario di questo sapere, del sapere stesso sui legami. A tale chiusura immaginaria ci ha condotto la forma "spettacolare" della società democratica globale, che ha eroso "l'alterità" come messa alla prova dell'io nella struttura dei suoi giudizi. Il significato del rapporto con l'altro sembra ridotto a pedina delle proprie azioni, piuttosto che essere sorgente sempre da riscoprire della propria identità. Dove è l'io? E difficile attraversare l'intrico di fantasmi in cui tale io si cerca, quando cerca, di ritrovarsi. Questo libro fornisce prospettive inedite e preziose su saperi e mappe disciplinari di una scienza dei legami. Il lettore viene condotto in un itinerario che, da Marx a Durkheim, da Bauman a Lacan, da Zizek a Debord, per citare solo alcune svolte del percorso, tenta di forare il sipario di un immaginario strappato dalla sua destinazione.
Montanari non si nasce, ma si diventa: è, questo, uno dei "principi" con cui occorre impostare qualsiasi ricerca storica sul progressivo popolamento delle Alpi da parte dell'uomo (per lo più al seguito di altri animali e vegetali che hanno trovato sorte stanziale nelle Alpi man mano che è venuta arretrando la glaciazione). A poco a poco gli uomini si sono "fatti" montanari; hanno intrapreso un'esplorazione della natura in linea verticale e hanno tentato variamente di "abitare" le montagne. Questa vicenda ha trovato nelle Alpi uno dei suoi "teatri" più rilevanti. Molteplici gruppi popolazionali si sono avventurati nel mondo "alpino" seguendo differenti itinerari tra quelli propri della grande ramificazione di catene montuose che occupa il cuore d'Europa. Quello del popolamento umano è senza dubbio uno dei più grandi temi della storia delle Alpi. Si tratta di una vicenda che ha comportato non soltanto l'approccio "migratorio" di differenti unità genetico-popolazionali all'ambiente montano, ma anche aspetti di "invenzione" di nuove specie animali con cui praticare un'assidua simbiosi, nonché di nuove specie vegetazionali, coltivabili a fini di sopravvivenza, nonché principalmente di nuove "forme d'uomo". E questo, pertanto, un capitolo di rilievo nella storia dell'evoluzione umana. In tal modo gli uomini si sono fatti interpreti di un paradigma "alpino" di civiltà, che attualmente rischia l'estinzione e che si impone, per contro, come grande e prezioso retaggio culturale.
Cinquant'anni fa, l'11 ottobre 1962, Giovanni XXIII apriva, nella magnifica cornice della basilica di San Pietro, il Concilio Ecumenico Vaticano II: la più grande assemblea di vescovi che la storia della Chiesa avesse mai conosciuto. Il memorabile discorso di apertura, l'allocuzione "Gaudet Mater Ecclesia", può essere considerato come il frutto maturo di un lento percorso intellettuale e spirituale che sempre di più confermò il vecchio Papa sulla "profetica intuizione" della convocazione di un Concilio di aggiornamento per la Chiesa universale. Il programma del Concilio non fu fissato da Giovanni XXIII tutto in una volta; al contrario, i suoi scopi e la sua natura furono da lui messi a fuoco e approfonditi poco alla volta, in un rapporto dialettico e costruttivo tra il Pontefice e quei vescovi (e teologi) ai quali stava molto a cuore il rinnovamento della Chiesa in ambito teologico e pastorale. Attraverso il diario del direttore della Civiltà Cattolica del tempo, padre Roberto Tucci S.J., oggi cardinale, ci è possibile verificare, nell'arco dei tre anni di preparazione di quell'evento, i temi che più stavano a cuore al Papa e quali furono le strategie di azione che egli pose in essere per dare maggiore slancio al futuro Concilio e assicurarne la libertà.
Ci sono personalità enormi che la cronaca, intesa come ciò che i mezzi di comunicazione ci trasmettono, fa fatica ad assumere pienamente. Quello che nel dopoguerra padre Joseph Wresinski ha fatto per i senzatetto e per le loro famiglie in Francia è un'opera straordinaria. Egli fu realmente la voce dei più poveri. Tradurre in italiano questa prima biografia, scritta a un anno dalla morte di padre Joseph nel 1988, è colmare una grande lacuna. Da padre Joseph è nato il Movimento Internazionale ATD Quarto Mondo, che prosegue il lavoro presso quello che all'epoca si chiamava il sottoproletariato dei senza dimora e che oggi rimane tragicamente più che mai attuale, a livello mondiale e in un'Europa dove aumenta la distanza tra ricchezza e povertà e dove nuovamente la miseria si sostituisce alla povertà. Padre Joseph ha ad un tempo trasmesso un messaggio di grande amore cristiano e attuato un'opera aperta a tutti, credenti e non credenti, di riappropriazione, da parte di chi vive nell'assoluta miseria, di una propria dignità umana e di una speranza per sé e per i suoi.
Il più noto paleoantropologo europeo, scopritore di Lucy e di altri nostri antenati, non si è mai ritratto di fronte alla responsabilità di raccontare la preistoria al largo pubblico. Questo volume nasce infatti da interviste di grandissimo seguito realizzate dalla radio francese. L'autore ha però riscritto ogni intervista costruendo una vera storia della preistoria, dai pre-umani a tutte le specie che il genere Homo, cioè noi, abbiamo attraversato sino ad arrivare a un'epoca intorno alla nascita di Cristo. I primi sette capitoli sono perciò un grande mosaico che attraversa milioni di anni, dai dinosauri al mondo romano. Ma il mosaico è fatto di tessere ben identificabili, ognuna è un racconto, un'avventura appassionante. Coppens infine, nell'ultima parte, ci insegna i metodi con cui studiosi come lui hanno "fatto preistoria". La preistoria è infatti una scienza storica che l'uomo ha via via articolato e costruito anche con mezzi nuovi rispetto a quelli utilizzati per la storia antica o moderna. La preistoria appare appassionante: si va dallo studio dei denti degli uomini fossili al sincrotrone, e si incontrano i grandi personaggi che l'hanno concepita, a partire da Darwin e Lamarck. Coppens li guarda divertito e suggerisce che anche il secondo dei due potrebbe tornare alla ribalta. L'autore insiste inoltre su un suo grande tema: l'influenza dei cambiamenti climatici sull'evoluzione.
La genialità di Pavel Florenskij, "Leonardo da Vinci russo", grande filosofo e scienziato nei primi decenni del secolo scorso, si colloca pienamente all'interno della grande tradizione di un popolo. Il filosofo russo pone, infatti, al centro della sua ricerca la questione della istina, cioè della verità vivente. La verità vivente pulsa dal di dentro della struttura dell'io e lo interroga riguardo alla questione del rapporto con la sua origine. La vita non consiste in una neutrale opacità, ma in una domanda rivolta al soggetto e perennemente rinnovata. La vita cioè costringe il soggetto a rivedere la concezione e gli schemi del suo discorso. Florenskij raccoglie la sfida, affrontando l'avventura del sapere con uno sguardo differente. Questa sfida non fu solo scientifica, ma fu una opposizione radicale al regime stalinista sovietico, che in un primo tempo lo tollerò per sfruttare le sue capacità e innovazioni scientifiche e poi lo giustiziò come dissidente. La ragione che egli prospetta è costituita da un'alterità generativa, che istituisce l'io nella forma della testimonianza. Tale ragione allargata dall'accoglienza profonda del mistero è in grado di giungere fino alla testimonianza. Il martirio del filosofo, in tal senso, è il vivo compimento di un pensiero. Le antinomie della vita e della storia non costituiscono per Florenskij una paralisi della ragione, ma sono occasioni sempre nuove e drammatiche per pensare la grandezza e la libertà di un destino donato.
Nel secolo più sanguinoso della storia umana, caratterizzato da un'inusitata violenza coloniale nei confronti di Africa, Asia e America latina e da totalitarismi devastanti, abbiamo visto venire alla luce i fabbricanti di arcobaleni. L'autore si riferisce a figure illuminanti come Gandhi o Martin Luther King, a movimenti e a statisti facitori di istituzioni come quella dei "paesi non allineati" di Bandung o alla stessa Società delle Nazioni. Gli esiti sono stati i più diversi: le guerre attuali sembrano occultare i tentativi e le istanze di pace, ma l'opera di Cantini è una vera storia, incontrovertibile, di chi ha scelto la pace come metodo. Mancava una storia degli operatori di pace; gli evidenti limiti di molti tentativi nulla tolgono a un nuovo orizzonte che si fa luce in contrasto col persistere delle guerre e del loro rinnovarsi, specie in Medio Oriente. Nel libro si segue l'evoluzione del movimento degli obiettori di coscienza nei vari paesi e di coloro che sempre più numerosi rifiutano la guerra in generale. Si ripercorrono le lotte per il disarmo condotte dagli scienziati, dagli uomini di cultura, dalle organizzazioni pacifiste e da singoli e singolari testimoni. Si raccontano le ormai molto numerose lotte non violente dell'ultimo secolo e le loro vittorie raggiunte senza sangue nelle varie parti del mondo. Si analizzano i successi e gli insuccessi della Lega delle Nazioni e delle Nazioni Unite nel corso della loro storia.
W.E.B. Du Bois (1868-1963), fautore dell'emancipazione dei neri americani e del movimento pan-africano, sociologo e storico, sostenitore di un approccio analitico interdisciplinare con metodi attenti alla vita quotidiana degli individui, ha contribuito alla diffusione della sociologia dall'ultimo decennio del XIX secolo. Dall'indagine su Farmville (1898) a quella sui neri a Philadelphia (1899), alle ricerche realizzate durante la permanenza nel Dipartimento di Sociologia dell'Università di Atlanta (1897-1910; e poi 1934-1944), Du Bois, con linguaggio drammatico e pacato, racconta la sua esperienza di ricerca sulla condizione e realtà del popolo nero, del quale considera assetti e contraddizioni, segregazione e processi di autonomia. Egli innova e consolida la prima tradizione sociologica di ricerca, e realizza studi di comunità, analisi della popolazione, indagini su devianza, criminalità, religione, scuola e formazione, salute, in una rappresentazione attenta alla vicenda americana e alla radice africana dei neri. "Sulla sociologia" contiene i capitoli della sua autobiografia (1968) dedicati ai periodi di ricerca a Philadelphia e ad Atlanta. Il volume presenta inoltre il testo della conferenza "Un programma per una società di sociologia", tenuta ad Atlanta nel 1897, saggio nel quale l'autore riassume i suoi orientamenti sul ruolo della disciplina in una specifica iniziativa. Raffaele Rauty, in un breve e denso saggio, delinea i tratti di una biografia intellettuale.
"Con 'La caccia spirituale', Massimo Morasso mette in scena uno degli spettacoli poetici più originali di questi anni: ispirato alla grande linea della poesia alta di Rilke e Yeats, visionario e mito-poietico, fonde rivelazione e misticismo, fuoco lirico e narrazione epica, dove la poesia è intesa come ricerca totale di conoscenza. Sapienziale e svelante, nelle sue tre sezioni il libro offre una rappresentazione dell'agonismo dell'anima nel corpo cosmico: '"Non c'è un movimento del tempo/ nessun movimento nel tempo,/ il tempo inizia e seguita a iniziare nel principio,/ ci sono i suoni che picchiettano la mente, e quei migranti/ respiri di altra vita, le mitragliette/ dei vuoti che si inseguono/ per strada, un clacson, un bobtail che latra [...]". La lezione di Coleridge, Novalis, la visionarietà che nella poesia diviene natura e scienza, l'esplorazione avventurosa e profonda delle grandi tradizioni religiose nella ricerca dell'unità dell'essere: il tutto in un poema dove gli uomini si incontrano, la folla fluttua sciamando nella città come accade quando la poesia vuole essere teatro del mondo. Al centro Genova, la città dei poeti rabdomanti, la capitale portuale che cela gli enigmi della navigazione e della terra, palpitante città-universo. Morasso è autore di un'opera saggistica e critica originale e profonda, la sua cultura e il suo background non sono limitati, nello spazio e nel tempo, ma straordinariamente contemporanei." (R. M.)
In un'isola tropicale dei Caraibi, Zoocrate Zacharie, "Grande Elettrificatore delle anime", è a capo di una feroce dittatura. Henri Postel, ex senatore della deposta Repubblica, è condannato a diventare un piccolo bottegaio. In procinto di esiliarsi e di uccidere un usuraio al servizio del regime, Postel scopre che c'è la gara nazionale dell'albero della cuccagna e decide di partecipare per sconfiggere moralmente il tiranno. Ad aiutarlo sono un vecchio calzolaio, Sora Cisa (mambo-sacerdotessa vudu) ed Elisa Zaza Valéry. Sora Cisa gestisce, secondo i riti vudu, la preparazione di Postel alla gara. Elisa Zaza Valéry entra in questa ritualità dando al protagonista, con la dedizione d'animo e la carnalità del suo giovane corpo, l'energia per l'impresa del giorno successivo. L'azione e il rito iniziatico individuale diventano coinvolgimento collettivo dei depredati. Radicata già nella lontana Guinea africana delle origini, in tutta la narrazione la festa della cuccagna è riletta da magie vudu. Queste forme rituali si schierano da una parte verso il mantenimento di un regime oppressivo che diventa invincibile in forme brutali e violente, dall'altra verso l'esaltazione di un eroe estremo reso invulnerabile, che manifesta la superiorità dell'amore e dell'umanità intera. In un brusio che lentamente si trasforma in frastuono e accelera il ritmo, fino a culminare in uno sparo che sospende il tempo, si celebra la lotta rituale di questo romanzo.
Il piccolo Cro-Mignon è in una tribù di grandi cacciatori chiamati "Uomini di Cro-Magnon", che vivevano in Europa circa 35.000 anni fa. Esperti nel fare trappole, catturare e uccidere animali, si spostavano di luogo in luogo per seguire le loro prede. Spesso alzavano le tende presso caverne che usavano come santuari e che dipingevano all'interno. Erano uomini coraggiosi, rudi, esperti nella difficile arte di cacciare animali molto più forti di loro. Educavano alla loro principale attività, la caccia, tutti i figli, che sin da piccoli volevano diventare grandi cacciatori. Faceva eccezione solo Cro-Mignon, perché era troppo amico degli animali: con loro giocava, si divertiva, faceva amicizia. A nulla valevano gli sforzi del padre e del più vecchio stregone del villaggio per convincerlo ad andare a caccia. Un giorno, spazientito, il padre lo porta nel bosco, ma poi si addormenta. Nel frattempo, un enorme lupo si avvicina e, benché amico degli animali, Cro-Mignon comincia a temere, ma tutti gli uccelli del bosco corrono in suo aiuto, si lanciano sul lupo e lo beccano velocissimi. Cro-Mignon gli assesta un colpo con la clava e il padre si sveglia mentre il lupo, che avrebbe fatto paura a chiunque, fugge. Per il padre è una vittoria: riporta Cro-Mignon al villaggio, che gli fa festa dichiarandolo grande cacciatore. Età di lettura: da 7 anni.