Un viaggio attraverso i secoli e i continenti, dalle origini del Cristianesimo ai giorni nostri, per riscoprire la narrazione dei re magi, fra religione, storia, iconografia e leggende popolari.
In questo quarto volume si tratta di un'«azione» lungamente preparata. Nel primo è stata anzitutto elaborata una precomprensione della categoria del drammatico come introduzione alla comprensione della rivelazione (o «teologia»). Poi occorreva presentare i personaggi del dramma. Ma nella tensione tra la libertà riconosciuta della creatura davanti a Dio (vol. due) e l'inclusione di questa libertà in Cristo, a partire dal quale soltanto si danno personaggi teodrammatici (vol. tre), c'era già l'esca di accensione per qualcosa di così esplosivo che non si poteva cominciare altrimenti che nel «segno dell'Apocalisse». Essa già indica che l'agire della libertà umana non può essere aggirato o sorvolato dal più vasto agire dell'«Agnello come immolato» e ridotto a fattore inoffensivo. Qui il discorso non è quello di una apocatastasi che inserisce l'impegno cristiano tra Dio e l'uomo in un panorama filosofico (alla maniera di Plotino o di Hegel) circa un'emersione e un rientro del mondo nella divinità. Giacché si dà un'insurrezione titanica degli uomini contro la loro inclusione nel mistero della croce. Fin dal tempo di Cristo esiste una passione anticristica: «Se io non fossi venuto e non avessi parlato loro, essi sarebbero senza peccato». Solo là dove si apre il cielo si spalanca anche l'inferno.
In questo secondo volume dei «Percorsi», Inos Biffi, recentemente insignito in Vaticano del Premio Ratzinger per la ricerca teologica, attua una esposizione che possiamo chiamare «narrativa» dell'economia trinitaria, a partire da una messa a fuoco della Eucarestia come centro del mistero cristiano. Il mistero trinitario, restando mistero insondabile, si lascia raccontare dall'uomo che «con gli occhi della fede» ne ravvisa la dinamica tramite le Scritture. Questa narrazione non intende spiegare il mistero, ma è il dispiegarsi del mistero stesso, l'estremo amore del Padre per l'umanità del Figlio, che svela all'uomo la sua più profonda dimensione antropologica. L'uomo comprende sé stesso tramite l'umanità di Cristo di cui il Padre è entusiasta. Il lavoro teologico di Biffi ci introduce all'antropologia religiosa propria del cristiano in relazione al dono trinitario che la costituisce. Anche il desiderio del Cardinale Julien Ries, fondatore dell'«Antropologia Religiosa Fondamentale», era quello di poter leggere una nuova esposizione dell'antropologia religiosa del cristiano. I rapporti tra Ries e Biffi sono stati di grande stima reciproca e di reciproca curiosità. Le costanti del sacro -sempre ricordate da Ries - Mito, Simbolo e Rito, rispetto alle quali il Cristianesimo non fa eccezione, trovano nel Cristianesimo un punto di presenza privilegiato in cui, come spiega Biffi, Yeschaton si incrocia con la Storia: l'Eucarestia, «mito» di creazione e di redenzione, diviene simbolo efficace, sacramento, in un rito che attesta una presenza reale.
È il 25 giugno 1978. A Buenos Aires, Estadio Monumentai, va in scena Argentina-Olanda, finale dei mondiali di calcio. Il clima è surriscaldato, perché la nazionale Argentina vuole vincere a tutti i costi e non può sbagliare. Poi si gioca tutto davanti al suo pubblico, soprattutto davanti agli occhi vigili del dittatore e torturatore argentino generale Jorge Videla, e a quelli di tutti i membri della Junta militare, al potere dalla notte del 24 marzo 1976, seduti in tribuna d'onore. Accanto a loro, nascosto dai riflettori delle telecamere, c'è un signore italiano ancora sconosciuto ai più: è Licio Gelli, il Venerabile della loggia massonica P2, Propaganda 2, imprenditore, amico personale degli uomini del potere argentino. La partita finisce 3 a 1 per l'Argentina. A poche centinaia di metri dallo stadio di Buenos Aires, in Avenida del Libertador 8151, anche gli aguzzini dell'Escuela de Mecánica de la Armada, I'esma, uno dei centri di tortura del regime, esultano e abbracciano le loro vittime agonizzanti. Per una sera almeno, dai cieli dell'Argentina, cadono solo coriandoli e festoni, e non corpi di donne e uomini lanciati dai portelloni degli aerei verso le acque nere e minacciose dell'oceano. Il giorno dopo riprenderanno puntuali e precisi i voli della morte. Tutto tornerà normale, nell'assurda anormalità dell'Olocausto argentino. Proprio in quei giorni, il mondo conoscerà anche il coraggio delle Madri di Plaza de Mayo: la televisione olandese diffonderà le immagini della marcia di decine di donne con il fazzoletto bianco che chiedono giustizia per una generazione ormai scomparsa.
Come è noto, la nozione di romanico "lombardo" supera largamente i confini amministrativi dell'attuale Lombardia, a marcare uno dei centri propulsori a raggio europeo del rinnovamento architettonico e artistico dopo l'Anno Mille. Al punto che quasi un secolo fa un grande storico dell'arte americano, Arthur Kingsley Porter, tentando con una monumentale catalogazione sinora insuperata di censirne i monumenti conosciuti, inglobava nel concetto l'intera Italia centro-settentrionale. Per non parlare della diffusione di formule architettoniche e soluzioni decorative, come quella degli archetti pensili, che ne proiettano anche a grande distanza i presunti effetti. Essa ne individua comunque il baricentro, che nella triangolazione tra Milano, Como e Pavia segna i raggiungimenti più alti del fenomeno, oltre a registrare la fitta trama di esperienze diffuse nel territorio, con densità e coerenza non comuni. Quale sia la ragione di tale situazione privilegiata è difficile dire. Si è fatto appello, non impropriamente, alla lunga tradizione di maestranze specializzate nella lavorazione della pietra (estratta dalle vicine cave prealpine) che si è voluta far risalire ai "magistri comacini" di età longobarda (ma si discute ancora sulla corretta etimologia del nome), o meglio ai maestri intelvesi e poi campionesi, che percorsero le strade dell'Italia centro-settentrionale tra il XII e il XIV secolo.
Negli incontri tra Michel Enaudeau e Miguel Abensour il filosofo francese racconta il suo itinerario di pensiero, dal folgorate incontro con le utopie di William Morris e La Boétie, con il suo concetto di “Tous uns”, al confronto con Marx, la Teoria critica della scuola di Francoforte, Hannah Arendt e Lévinas. Ognuna di queste tappe è per Abensour occasione feconda di interrogazione e messa al vaglio dei presupposti e dei paradigmi della filosofia politica occidentale.
«La Sezione prima degli Opera omnia di Henri de Lubac si sostanzia di quattro scritti che, sotto il titolo lluomo davanti a Dio, sono ricondotti dallo stesso Autore a questo ordine: 1. Sulle vie di Dio; 2. Il dramma dell'umanesimo ateo; 3. Proudhon e il cristianesimo; 4. Paradossi e Nuovi paradossi. L'intento non è stato quello di una proposizione cronologica, ma dell'articolazione dei nuclei tematici del lavoro e della riflessione teologici e storico-teologici dell'Autore. [...] Dovessimo trovare, per quanto ci è dato osservare, un centro, non sistematico ma genetico, a questo plesso di opere, attorno a cui far gravitare l'impegno circoscritto da questa produzione letteraria, lo vedremmo in quel dialogo "disarmato" tra due ventenni, un gesuita o meglio aspirante gesuita e un neo-insegnante non credente, nelle trincee della Grande Guerra. Ci pare che il fatto, insistentemente ricordato dal teologo, conferisca intensità al titolo stesso scelto per la sezione e alla sua problematicità. E ci pare che esso sia ciò che concretamente segna il fuoco o l'anima dell'impegno intellettuale di de Lubac, almeno per questa sezione. [...] Se la pubblicazione del Proudhon fu intensamente voluta da Mounier, quella dei Paradoxes lo fu dal letterato e critico d'arte Stanislas Fumet, figura di punta del cattolicesimo sociale ed anche editore, ma per de Lubac "l'uomo meno commerciale" da lui conosciuto. "Egli - ebbe a scrivere - mi strappò i Paradoxes, la maggior parte dei quali scritti prima della guerra; fu questo, credo, il primo della serie dei suoi Cailloux blancs. Ma la sua casa editrice fallì e il libro restò pressoché invenduto. I Paradoxes "strappati" da Fumet, così come i Nouveaux paradoxes che seguirono sono, secondo lo stesso Autore, "riflessioni di ordine spirituale".» (Dall'Introduzione di Costante Marabelli alla Sezione prima dell'Opera Omnia)