Chi è l'antenato diretto del genere umano? Perché la scoperta di Lucy è fondamentale? Come hanno fatto i primi Ominidi a lasciare l'Africa? Chi erano i piccoli Uomini di Flores? A quando risalgono i primi popolamenti della Cina? Chi è stato il vero scopritore del fuoco? A tutte queste grandi domande Yves Coppens, in questo libro che gli somiglia, insieme profondo e divertente, dà risposte assolutamente nuove. Partendo dalle origini dell'Uomo, ci fa anche prendere coscienza della sorprendente attualità di questo passato dal quale noi tutti discendiamo: "Ho cercato di dimostrare che l'archeologia, la preistoria e la storia permettono una nuova lettura dell'attualità. Antichità e attualità vengono qui conciliate. E interessante constatare come questa concatenazione narri senza grandi lacune (è ovviamente una esagerazione che sottintende una certa continuità) gli ultimi dieci milioni di anni della storia dell'Uomo, dai Preominidi ai Vichinghi ai Visigoti, passando per tutte le tappe, o quasi, della nostra storia, dalla filiazione Preominidi-Ominidi e dalla diffusione di questi ultimi sul pianeta al cambiamento di economia dell'umanità e allo sviluppo verso la scoperta dei metalli, la prima architettura monumentale, l'invenzione della scrittura e l'emergere delle grandi civiltà".
Il più noto paleontropologo europeo, Yves Coppens, Premio Nonino 2007, seguita con l'amico disegnatore Gepner a lavorare sulle nostre origini per un pubblico di ragazzi ma non solo, data la qualità di testi ed immagini. In questo volume vediamo come si caratterizzano lungo i due milioni e mezzo di anni prima dei ''tempi storici'' le varie attività dell'uomo: l'abitazione, la vita in comune, la caccia, il cibo, la tecnologia, il vestire etc.
«Nel 1997, con il titolo Sudafrica. Storia politica, usciva in italiano una nuova edizione, rielaborata e aggiornata in modo sostanziale, del mio volume pubblicato per la prima volta nel 1952 a Città del Capo con il titolo 300 Years. A history of South Africa. Quanto scrivevo nella Conclusione del 1997 è stato confermato dagli eventi che si sono susseguiti fi no al 2010, quando il Sudafrica ospita il Campionato del mondo di calcio. L’euforia successiva alle elezioni del 1994, che furono incoronate dalla presidenza di Nelson Mandela, iniziò già a trasformarsi in una diffusa delusione quando il presidente portò l’ANC in un’instabile coalizione con il National Party di Frederick de Klerk, espressione del mondo dei coloni bianchi. Ma nei primi tre anni del "nuovo" Sudafrica, mentre le grandi compagnie straniere e quelle dei coloni, che si muovevano all’interno e nell’orbita della Chamber of Mines, i reali padroni del Sudafrica, esportavano capitali e profi tti, il cambio del rand rispetto al dollaro americano cadde del 30%. Il "potere nero" stava già perdendo la sua gara con il "capitale aureo". Quando il prezzo dell’oro crebbe oltre il valore del suo punto critico di equilibro, 330 dollari l’oncia, fi no a schizzare alle stelle oltre i 1.300 dollari l’oncia nel 2010, all’aumento si accompagnarono tanto la disillusione quanto le aspettative e le ottimistiche speranze espresse anche dal terzo presidente, Jacob Zuma, che gode ancora di diffusa popolarità. Nello stesso tempo il fl usso migratorio nei ghetti urbani crebbe di sette milioni di persone e parallelamente centinaia di migliaia di "bianchi" si trasferirono all’estero oppure nei nuovi quartieri suburbani di lusso. Come l’oro, anche il razzismo sta vincendo la gara con il Sudafrica "non razzista".
Al centro di questo grave deterioramento delle condizioni di vita di 45 dei 50 milioni di sudafricani, ci sono due realtà organicamente connesse e i problemi che esse pongono: il monopolio quasi esclusivo della terra e del lavoro africano a basso costo nelle mani di quel gigante capitalista e coloniale che è la "Chamber of Mines" e l’enorme e innaturale esodo di popolazione e povertà dalle campag"Pass laws", le leggi che, per tutelare l’apartheid, limitavano la libera circolazione all’interno del paese.
Il volume Sudafrica. Storia politica ripropone il compito urgente e terribile di far fronte a questo problema negli anni a venire». (dalla prefazione dell’autore)
Alessandro Rivali, poco più che trentenne, è già un poeta inconfondibile, importante. Intatta da ogni cedimento minimalista, o sentimentale, coraggiosa e imprudente, la sua poesia visionaria e sontuosa si staglia con la forza divampante del fuoco eracliteo: le sue visioni di Bisanzio, delle civiltà che sorgono e vengono mutate dal tempo in polvere, la ruota del destino contro cui stoicamente l’uomo combatte propongono una poesia epica, bronzea, dai bagliori poundiani, che pare attingere a certe grandi (e poco o nulla seguite) esperienze poetiche del Novecento, come quella dell’americano Hart Crane (inizio secolo) e del serbo Ivan Lalic (seconda metà del secolo). La poesia nel nodo agonico, amletico tra essere e non essere, lampeggiante di visioni e oscurata da presagi. Originario e presente il conflitto tra luce e buio, tra divenire e sospensione del tempo, appare in turbinose scene di lotta dell’uomo tra destino e divenire, travolto da un’energia spirituale spesso inafferrabile, o non percepita, o fraintesa, come un fuoco fuggente. Attingendo alle fonti della tradizione occidentale Rivali riscopre la storia (Historia), genere letterario e filosofico inventato in Occidente, come pelle, immagine del mito, come la stoffa di cui il mito è tessuto e da cui è tramato per assumere forma visibile. Ispirato dai tragici greci e dal cinema di Kurosawa, antico nella posizione morale ma mai anacronistico, il suo libro riporta nella poesia lirica il brivido dell’avventura e la tormentosa domanda sul destino del mondo, in una perenne ricerca di una luce ulteriore presente ma spesso, nel tempo terreno, inattingibile o offuscata dal turbine degli eventi.
(Roberto Mussapi)
Collezionista d’arte contemporanea sin dalla fine degli anni Quaranta, Giuseppe Panza ha giocato un ruolo fondamentale nella cultura artistica del suo tempo, introducendo in Europa, fra i primi, fenomeni come la Pop Art, il Minimalismo, l’arte ambientale e l’arte concettuale.
La sua attività collezionistica è poi proseguita, con raro rigore, nel corso degli anni Ottanta e Novanta, ma è stata anche affiancata da una costante ricerca dei contesti più appropriati in cui esibire le opere d’arte: parti coerenti della sua collezione sono così state esposte ed acquisite nelle raccolte di grandi musei d’arte contemporanea, come il MOCA di Los Angeles e il Guggenheim di Bilbao, ma hanno anche trovato collocazione in architetture storiche, come palazzi barocchi e dimore settecentesche, creando un felice ed innovativo dialogo fra contesto ambientale ed opera d’arte.
L’autobiografia attraversa decenni densi di avvenimenti storici e profonde trasformazioni nella cultura artistica su entrambe le sponde dell’oceano. Dagli anni della formazione umana ed intellettuale prima della seconda guerra mondiale ai primi incontri con la cultura americana e con i nuovi protagonisti dell’Action Painting e della Pop Art, dal coinvolgimento con i movimenti d’avanguardia degli anni Sessanta e Settanta alle più recenti frequentazioni di nuovi protagonisti della scena contemporanea, il racconto di Giuseppe Panza svela, lungo la vita della sua collezione e degli incontri che l’hanno animata, un percorso di appassionata ricerca e insieme di lucida analisi e scelte decise attraverso gli snodi fondamentali dell’arte contemporanea.
L'architettura, l'uomo, l'ambiente: sfide per il XXI secolo
L’architettura si trova oggi a un bivio. Essa può scegliere da un lato di essere strumento - sia esso colto e raffinato oppure brutale e invasivo, ma pur sempre strumento - delle logiche oggi imperanti di consumo del territorio; dall’altro di farsi carico delle sfide aperte per la cura di un pianeta ferito. Solo da poco tempo, infatti, si è affermata una condivisa consapevolezza che non bastano l’estetica, la qualità tecnologica, la razionalità programmatica, di architettura e urbanistica, per salvaguardare l’habitat umano sul pianeta e custodire la vita degli uomini. Conseguente è il diffondersi dell’urgente necessità di comprendere modi e caratteristiche della sostenibilità dei nuovi progetti di architettura e urbanistica. Sostenibilità è oggi parola magica, di cui però risulta ancora troppo fragile il profilo di una efficace, immediata pratica, che esige l’assunzione di un habitus culturale e operativo condiviso. Paolo Soleri è stato ed è tuttora pioniere della sostenibilità. Le sue anticipazioni, di una visione ecosistemica degli insediamenti umani e delle città possibili, costituiscono fervido terreno di incontro e di dialogo di molte discipline. E proprio da un confronto ispirato dal magistero di Soleri nasce questo libro, che chiama studiosi di varia estrazione ma anche architetti di rilievo internazionale, come Renzo Piano e Tadao Ando, a dare la loro voce su questi temi così centrali per il futuro del genere umano più ancora della pratica architettonica.
La rivista che ha forgiato l'idea dell'architettura moderna in Italia: il lavoro delle idee viene qui colto e raccontato nel concreto del laboratorio editoriale di casabella
Negli anni Trenta del Novecento la rivista «Casabella» interpreta, in un difficile contesto storico-politico, la voce della cultura architettonica italiana più attenta alle novità del panorama internazionale contemporaneo e più sensibile al rinnovamento dell’architettura in Italia. A ottanta anni dalla sua fondazione, Rossano Astarita riparte da via Beatrice d’Este 7, sede storica della rivista, per ricostruire di quegli anni tormentati, così fertili e ricchi, non tanto una storia ufficiale, ma una lettura "trasversale" basata sulle testimonianze dirette e indirette di architetti, pittori, critici e letterati che contribuirono da un lato all’affermazione di «Casabella», dall’altro al formarsi di una nuova coscienza architettonica italiana. Ruolo centrale in questo studio è affidato ad Anna Maria Mazzucchelli, segretaria di redazione e redattrice capo della rivista dal 1934 al 1939, figura di riferimento per scambi di lettere e opinioni, richieste di articoli, recensioni, annunci di mostre. Il materiale dell’archivio Mazzucchelli costituisce infatti la struttura portante di questa "microstoria" di «Casabella» e dei suoi artefici, dei quali fa cogliere gli stati d’animo più intimi, quindi più autentici, e posizioni critiche a volte inedite. Il testo, in linea con una metodologia di ricerca che intende la documentazione originale già una scelta storico-critica, consente dunque una nuova lettura di autori e avvenimenti. La stessa ricostruzione del "dietro le quinte" del lavoro redazionale sulla base di appunti autografi e fotografie ritoccate porta a individuare e comprendere il processo di selezione e di fortuna critica di alcune architetture piuttosto che di altre, all’interno di correnti di gusto ben delineate, in modo del tutto analogo a ciò che accade ancora oggi. Il quadro che emerge, lontano dall’offrire una visione unitaria di un percorso che unitario non fu, è quindi il risultato articolato e complesso di punti di vista diversi e intrecciati, e, proprio per questo, coerente con gli umori del tempo e della cultura che racconta.
Lo sradicamento della miseria passa per la riscoperta…della povertà
Perché pubblicare in «Biblioteca Permanente» un dialogo? Perché quando il dialogo fa emergere il sapere e l’esperienza di anni può diventare quel contributo maturo che oggi, causa i panni sempre più stretti e rigidi delle discipline, non si ravvisa in opere dedicate a un singolo campo del sapere. L’ambito di questa conversazione che pesca nella storia del pensiero e nei contributi di varie figure contemporanee riguarda il recupero della povertà come via per sradicare la miseria. Jean Robert è cresciuto alla scuola di Ivan Illich, il suo impegno intellettuale è legato a pratiche sociali. Majid Rahnema è una grande figura ponte tra saggezza persiana e sapere europeo. Il suo pensiero condensa una lunga esperienza del bacino mediterraneo e si compara con le società tradizionali del pianeta. C’è una saggezza e una prassi di vita millenaria che Rahnema condensa come «povertà conviviale». Questa povertà, ma dovremmo dire «la povertà», che è l’opposto della miseria, è il luogo, l’episteme di qualsiasi cultura e civiltà. In un periodo come il nostro, devastato dalla edificazione dei non-luoghi, la potenza dei poveri ravvisa la povertà come brodo di cultura di una vita fatta di legami significativi e di costruzioni accoglienti. Siamo di fronte a una visione antropologica che spazia tra più discipline, mettendole in crisi, in primo luogo quella che si definisce come economia. L’ampio arco storico trattato dal volume, vera storia della povertà e della sua potenza, giunge a figure del presente. La «potenza» della povertà mostra la sua concreta potenzialità in atto nella condizione attuale del pianeta.
La dimensione del sacro nell'orizzonte contemporaneo
«Usciamo da un periodo - quello che i sociologi chiamano della ‘secolarizzazione’ - in cui la religione non era certo morta, però si nascondeva dietro sostituti mutuati dal mondo profano; il culto delle stelle dello spettacolo prende il posto del culto dei santi, le nuove mitologie dei mass media si sostituiscono a quelle delle Chiese antiche (Karl Marx ne aveva già preso coscienza, benché al suo tempo esistesse soltanto il mondo dei giornali); oppure si dissimulava dietro la valorizzazione dell’eroe sacrilego (Prometeo, Icaro, Axion e, con la psicanalisi, Edipo), ma, naturalmente, non c’è sacrilegio senza postulare al contempo un sacro contro cui si lotta. Oggi tuttavia tutti questi surrogati di religione elaborati dalla società dei consumi o dalla psicoterapia analgesica fanno l’oggetto di una contestazione crescente. Allora permettetemi di vedere in queste esperienze di sacro selvaggio, anche se ancora maldestre, la volontà di riprendere il gesto di Mosè quando colpiva con la sua verga - anche se in essa gli psicanalisti vogliono vedere soltanto una verga fallica - il suolo arido per farvi scaturire l’acqua che fa rifiorire i deserti».
Studioso di fama mondiale e prestigioso pensatore, Pierre Teilhard de Chardin si sottrae agli isolamenti disciplinari, come alle correnti che variano a seconda della moda e della pubblicità. Incompreso o assimilato, egli emerge come una figura eccezionale della filosofia e della teologia del XX secolo. Teilhard de Chardin è certamente uno dei grandi pionieri del rinnovamento religioso che segna il nostro tempo e senza dubbio uno dei teologi più importanti per la nuova evangelizzazione. Fondata su una conoscenza esaustiva dei testi di padre Teilhard e della sua vasta corrispondenza, quest’opera mette in luce, con precisione e chiarezza, quello che l’autore considera come la via privilegiata del suo cammino intellettuale e spirituale: la ricerca di Dio. Perseguita appassionatamente per tutta la vita, essa costituisce un’esperienza di prim’ordine. Grazie alla profondità della sua analisi e alla ricchezza della sua sintesi, essa arriva a toccare l’universale. Il suo percorso rimane dunque esemplare per l’uomo della modernità. La sua analisi del fenomeno religioso, considerato come parte integrante del fenomeno umano, ha condotto padre Teilhard a prevedere non solamente il ritorno del religioso, ma soprattutto il ritorno di Dio nella coscienza degli uomini del XXI secolo. Dio non è morto. Egli è ritornato.