La filosofia politica di Miguel Abensour si definisce «critica» perché non smette mai di interrogarsi sul problema del dominio e della servitù volontaria, che spinge gli uomini ad accettarlo. In queste pagine compare inoltre una dimensione utopica e si presta molta attenzione a coloro che - per usare le parole di Marx - hanno saputo dar vita all’«espressione immaginativa di un mondo nuovo». In forme diverse, e attraverso l’analisi delle opere di Claude Lefort, Hanna Arendt, Pierre Leroux ed Emmanuel Levinas, Abensour propone un confronto serrato fra democrazia e utopia: entrambe sono considerate una via d’uscita, un’evasione verso l’alterità, al di là della compatta opacità del potere, che ha trovato la sua drastica espressione nei totalitarismi del Novecento e riaffiora nei governi neoautoritari dell’Europa attuale. La democrazia non può essere pensata che come insorgenza al di là dei poteri istituiti e critica radicale dell’ordine esistente, restituendo al termine il significato rivoluzionario che aveva alle sue origini e strappandolo alla banalizzazione corrente.
Gli adepti della posizione radicale considerano che il liberalismo abbia condotto gloriose battaglie, prima contro la teocrazia papista, poi contro il nazionalismo, il nazismo, il comunismo. Oggi esso si impegna ad affrontare la sfida dell’islamismo, se non dell’islam, quale nuovo totalitarismo e nuovo nemico globale. In altri termini, il mondo arabo e musulmano, come l’URSS nel XX secolo, dovrà essere strangolato fino alla sua capitolazione sotto la pressione economica, politica e culturale. È questa, in sintesi, la sostanza della teoria dello «scontro di civiltà» applicata all’islam dopo il 2001. Ma questa posizione è irrealistica. Il liberalismo è uscito vincitore dalle sue varie battaglie, ma non ha mai affrontato una religione per sradicarla. D’altro canto il socialismo, che era un’ideologia umanista, si è trasformato in totalitarismo proprio nei paesi in cui ha condotto una guerra di sradicamento delle religioni e delle tradizioni. Il rischio è ancora più reale dal momento che lo stesso Occidente sembra conoscere una recrudescenza religiosa incontrollata di cui nessuno può prevedere i limiti e le ricadute.
Le uniche soluzioni realistiche consistono nell’incoraggiare le riforme attraverso la democratizzazione progressiva del mondo arabo e musulmano, nel favorire il buon governo e un’economia al servizio dell’interesse dei popoli e, ciò che qui ci interessa, nell’avviare una revisione graduale ma profonda delle rappresentazioni e delle pratiche religiose. I musulmani devono uscire dal loro isolamento per partecipare pienamente all’edificazione di un mondo nuovo, più giusto e più rispettoso degli equilibri tra gli uomini da una parte, e tra gli uomini e la natura dall’altra. Ma questo mondo non potrà edificarsi nella pace se un quinto dell’umanità sarà marginalizzato. È essenziale che sia fatto il possibile per evitare il diffondersi del sentimento di una nuova crociata o di una nuova guerra di religione. Per questo sarà molto più utile operare insieme a tutte le tradizioni religiose per fare della riforma un paradigma universale che si applichi all’islam come alle altre religioni, e per arginare in maniera collettiva il ritorno inopportuno e anacronistico del conservatorismo religioso. Ogni tradizione religiosa nasconde un nucleo di esclusione e di violenza ed è tentata di additare gli orrori dell’altro per giustificare i propri errori e abusi. Facciamo attenzione a non risvegliare gli antichi demoni.
Sono poche le personalità capaci, con la loro storia, di suscitare ancora, dopo secoli dalla loro vita, interesse, ammirazione e stupore; capaci di risultare attraenti tanto da essere oggetto di lettura, di studio, di pubblicazioni e di convegni.
Quella di Raimondo Lullo (1232 ca.-1316) è una di queste: giovane dalla vita contraddittoria, convertito, poi mistico, missionario, filosofo, teologo e infaticabile scrittore e annunciatore del Vangelo, in particolare al mondo islamico, attraverso l’ideazione di un metodo dalle connotazioni combinatorie (la sua Arte) e lo studio delle lingue.
Nella propria opera letteraria ha saputo coniugare rigore ed efficacia nelle dimostrazioni teologiche, ma anche la lirica dell’amore mistico; considerato il creatore della lingua letteraria catalana, ha prodotto uno dei più bei poemi mistici della letteratura universale (il Libro dell’Amico e dell’Amato) e uno dei primi romanzi autobiografici dal sapore moderno (il Blaquerna).
Raimondo ha però corso il rischio, in questi secoli, di essere considerato marginale, o peggio di diventare un "personaggio", piegato e declinato di volta in volta all’interesse di chi lo ha studiato o ne ha fatto la propria "caricatura".
A lungo inascoltato dalle corti d’Europa e persino dalle stessi corti pontificie, rischia anche oggi di non essere accolto per quello che è.
La prima traduzione in lingua italiana della Vita Coetanea, dettata a un discepolo nel 1311 dallo stesso Raimondo Lullo, intende iniziare a colmare una lacuna e delineare il profilo di una figura che, come la sua, non può essere ridotta a uno stereotipo.
«Lo spazio è un vuoto misurabile soltanto per mutui rapporti fra oggetti. La forma implica, cioè, per la qualità stessa del materiale che investe, presenze corporee opposte a un insieme di pure relazioni. Se le prime, in sé, conservano intensissimo il proprio peso, l’altro, essenziale, è già pronto, direi, per rivelare il suo significato, che è una trasformazione della struttura dell’esistere, senza richiedere d’essesere scoperto fra suggerimenti forviatori.
Ciascuno ama l’oggetto del proprio interesse; e io, l’architettura. Forse per questo mi sembra rivelatrice più di altre attività umane... Tracciarne e coglierne la storia e le forme vuol dire indagare e sentire l’esistere là dove si esplica».
(da Esistere e costruire, 1970)
Diversamente da quanto si vuol far credere, il nucleare non è una tecnologia avanzata, ma una tecnologia complicata, vecchia, costosa e pericolosa, che in mezzo secolo ha creato - oltre all’incubo tutt’altro che scomparso dell’olocausto nucleare - problemi gravissimi, che graveranno per centinaia o migliaia di anni, senza avere apportato alcun beneficio sostanziale o insostituibile.
Questa tesi viene sviluppata nel libro in termini analitici e rigorosi, analizzando in modo sistematico l’intero ciclo nucleare per tutti gli aspetti rilevanti: emissioni di anidride carbonica, indipendenza dalle fonti fossili, costi disaggregati, emissioni di radioattività nel normale funzionamento, residui radioattivi ingestibili, rischi e portata di possibili incidenti, pericoli di proliferazione militare. Un capitolo di Ernesto Burgio analizza i danni biologici e sanitari delle radiazioni ionizzanti in base ai risultati più recenti della ricerca biologica, che dimostrano la profonda inadeguatezza dell’approccio e della normativa ufficiali, e delle sue conclusioni tranquillizzanti per le piccole dosi di radiazioni.
Particolare attenzione viene rivolta all’Italia, discutendo nel merito l’inefficienza del nostro sistema elettrico e i corrispondenti interessi e speculazioni che alimentano tutti i programmi energetici (e non solo), specie quelli nucleari, anche alla luce della non certo brillante storia passata. Tanto più utile risulta il confronto con l’«immagine speculare» della Francia, la cui fama di paradiso del nucleare viene smontata e analizzata nelle sue profonde contraddizioni da uno specialista di notorietà internazionale, Mycle Schneider.
L’ultima parte del libro è dedicata a dimostrare l’inconsistenza e la impraticabilità delle soluzioni miracolistiche prospettate dall’industria nucleare per prolungare nel tempo lo sfruttamento dell’uranio e porre fine ai problemi irrisolti del ciclo nucleare dopo mezzo secolo di irresponsabile negligenza: il tutto sostenuto con ingenti finanziamenti anche pubblici, nel mentre si ridicolizzano nuove prospettive che meriterebbero almeno una verifica seria e imparziale.
L’Era nucleare deve essere chiusa al più presto, per cercare di limitare e tamponare i danni insostenibili e la pesante eredità che già ci ha lasciato.
SCRAM
È il repentino spegnimento di un reattore nucleare attraverso l’inserzione rapida di barre di controllo. È l’acronimo di "safety control rod axe man" che letteralmente significa l’uomo-ascia della barra di controllo di sicurezza, cioè colui che nel primo reattore nucleare degli stati uniti era addetto ad inserire la barra di emergenza, sospesa ad una fune che veniva recisa con un ascia.
Questo libro individua nell’idea dell’aggiunta il tratto costitutivo della cultura europea e - più radicalmente - il genoma teoretico della realtà. Plotino invitava a battere tutto intorno per tirare via le cose aggiunte; il Bene, che "conclude" il suo sistema, non è però ciò che resta, una volta eliminato il mondo, ma quello che dona tutte le aggiunte. La messa in opera di quel precetto ha dunque in Plotino una curvatura ironica e paradossale.
In nessun luogo più che nell’idea di SS. Trinità diviene chiaro il nesso indissolubile di essere e aggiunta. L’immensa pretesa che l’Unico, proprio essendo e restando Uno, sia tuttavia Tre, individua nel concetto di Dio una tensione esplosiva, un sovrappiù impossibile che Anselmo, Tommaso e Duns Scoto hanno indicato. L’essere, però, è aggiunta solo in forza del Bene. Se il Bene fosse semplice perfezione, ad esso non potrebbe aggiungersi niente, perché ogni aggiunta o non sarebbe tale, o sarebbe nociva. Ma il Bene è perfezione in quanto bontà (non viceversa), il che richiede di "definirlo" come la Regola, o il Fondamento, con aggiunta. La commozione del Bene è appunto questa capacità inaudita di aggiungere, di fare stare ancora qualcosa in uno spazio che, per definizione, è saturo e inemendabile.
Il modello aggiuntistico si concepisce dall’inizio alla fine come un pensiero della liberazione, anche in senso politico. L’emancipazione, l’uscita, non può però consistere mai nella mera eliminazione delle cose aggiunte, piuttosto in un trattamento di esse, che le raccolga come significati, ma ne faccia girare il senso complessivo nella direzione del Bene - il che è appunto quanto la tradizione ha pensato con il concetto di "provvidenza".
Una sintesi del pensatore francese Teilhard de Chardin Pierre che traccia il cammino evolutivo con efficacia ancora oggi straordinaria.
Il lavoro inizia chiarendo il posto e il significato della Vita nell’Universo; segue lo sviluppo della Biosfera, in essa appare l’uomo con l’espandersi della Riflessione e si forma così la Noosfera.
Come la fisica tende a vedere una sorta di avvenimento atomico primitivo, la biologia, «estrapolata all’estremo (e questa volta in avanti), ci conduce a un’ipotesi analoga: quella di un Punto Focale universale (che ho chiamato Omega) non più di esteriorizzazione e di espansione fisiche, ma di interiorizzazione psichica – nel quale la Noosfera terrestre in via di concentrazione (attraverso la complessificazione) sembra destinata a finire tra qualche milione di anni. Spettacolo notevole, certo, quello di un Universo fusiforme, chiuso alle due estremità (all’indietro e in avanti) da due sommità d’inversa natura».
Questo volume, gioiello di storia paleontologica, ci apre orizzonti che dialogano necessariamente, oltre che con la biologia, con le scienze umane e la filosofia.
A cura di: Pier Paolo Poggio
La storia europea nella seconda metà del Novecento è ancora fortemente segnata dalle vicende del comunismo sovietico. Anzi gli esiti della Seconda guerra mondiale, che vedono l’URSS di Stalin prostrata ma vittoriosa, consentono quella impetuosa avanzata verso Occidente che era fallita nel primo dopoguerra. L’Europa è spaccata in due e nella sua parte centro-orientale si insediano regimi esemplificati su quello moscovita e sotto stretto controllo sovietico. Ma anche in Europa occidentale, in paesi come l’Italia e la Francia, si affermano partiti comunisti di massa di orientamento filosovietico, in grado di egemonizzare le forze politico-intellettuali di sinistra.
In un tale contesto i comunisti eretici e gli intellettuali critici erano totalmente isolati, destinati a svolgere un ruolo di pura testimonianza, anche perché la loro posizione nel pieno della Guerra fredda tra gli ex alleati era scomoda al limite dell’insostenibile, per cui pochi seppero mantenere la loro indipendenza, essendo bersaglio degli attacchi dei due schieramenti contrapposti.
La situazione di paralisi era mascherata dall’impetuoso sviluppo, innescato dalla ricostruzione post-bellica, che pareva in grado di superare lo scontro ideologico, stemperandosi in una gara puramente economica e tecnologica tra sistemi che, sotto l’egida dell’equilibrio del terrore, sembravano convergere in direzione di una uniforme società industrializzata destinata ad estendersi sull’intero pianeta, pur tra contrasti e squilibri.
È vero che il campo socialista sovietico, poi indebolito strutturalmente dalla rottura con la Cina di Mao, non era in grado di reggere la sfida con l’Occidente a guida americana, al di fuori dagli entusiasmi per i primati in campo spaziale, presto accantonati. Ma fungeva da supporto al socialismo reale un evento di portata planetaria che proprio dopo il 1945 assunse un andamento impetuoso, vale a dire il movimento anticoloniale e il processo di decolonizzazione in tutto il Terzo mondo. Processo dotato di una dinamica propria su cui però poté innestarsi l’azione politica dell’URSS (e della Cina).
Al momento lo schema bipolare ne risultava confermato e apparentemente insuperabile. In realtà nel profondo del mondo sovietico non meno che in quello occidentale erano all’opera forze minoritarie, che talvolta si ispiravano proprio ai filoni di pensiero oggetto della presente opera. In alcuni momenti la critica e la dissidenza, soprattutto nell’Europa dell’Est, assunsero una dimensione sociale, trasformandosi in veri e propri fenomeni di contestazione e rivolta. La società e lo Stato, i singoli e il potere si disaccoppiavano, allontanandosi tra di loro sino a trovarsi agli antipodi. In primo piano tutto lo spazio era occupato dal "sistema", quale ne fosse il colore politico; contro o al di fuori di esso si dispiegavano i "movimenti", con una preponderante presenza di giovani. Movimenti che interessavano e colpivano i due campi politico-ideologici in cui era divisa l’Europa (e il mondo), ma che non riuscivano a interagire per non dire a coordinarsi tra di loro.
A cura di: Silvano Petrosino
Volume pubblicato in coedizione con l'Università Cattolica di Milano
Contributi di: Christine Barbier-Kontler, Monica Bisi, Christian Cannuyer, Maria Antonietta Crippa, Davide Domenici, Pierluigi Nicolin, Edith Parlier-Renault, Rosamaria Parrinello, Silvano Petrosino, Virginie Prevost, Gilles Sauron, Anca Vasiliu, Matteo Vercelloni
Il volume raccoglie gli atti del primo Seminario Internazionale organizzato nel 2010 dall’«Archivio "Julien Ries" per l’antropologia simbolica» presso l’Università Cattolica di Milano.
Al centro del volume è posto il tema dell’abitare interpretato come il gesto antropologico per eccellenza: l’uomo esiste in quanto abita, e nell’abitare egli manifesta sempre il proprio specifico modo d’essere. All’interno di questa prospettiva il «monumentale» è emerso, più che come il tratto specifico di determinate costruzioni (i monumenti in senso stretto), come il carattere stesso di ogni costruire umano, che in quanto tale sarebbe sempre abitato dal rinvio all’altro e dunque dal simbolo. Attorno a questa ipotesi lavorano saggi che da una parte mettono in luce i fondamenti simbolici delle società umane (Cina imperiale, Antico Egitto, Mesoamerica, ecc.), dall’altra denunciano anche le derive di una rappresentazione del potere che, come accade in molta architettura contemporanea, scollandosi da ogni legame comunitario, finisce per interpretare la monumentalità solo come feticcio mercificato.
La rivolta tunisina che ambisce a trasformarsi in rivoluzione per una vera svolta democratica, ha colto tutti di sorpresa per la rapidità con la quale è riuscita a rovesciare uno dei regimi più autoritari grazie anche a nuove forme di lotta: la cyber rivoluzione.
Questa rivolta però non ha nulla di sorprendente se si vanno ad esaminare le condizioni socio-economiche del paese nella morsa della crisi economica globale e della pressione ormai insostenibile del regime corrotto di Ben Ali.
Non sorprende neppure l’effetto domino sugli altri paesi del Nord Africa fino all’Egitto, alla Libia e oltre, la cui situazione socio-politica ed economica è molto simile, aldilà delle diverse scelte a livello istituzionale e di sviluppo.
All’indomani dell’indipendenza dal colonialismo, la speranza di realizzare democrazia e progresso è stata nel tempo delusa da una deriva autoritaria che ha bloccato il processo democratico con il silenzio connivente dell’Europa. Inoltre, il fallimento dei vari modelli di sviluppo, culminato con gli effetti devastanti della crisi economica mondiale e della globalizzazione, ha aperto un baratro presto colmato dai movimenti islamici portatori di altri modelli sociali e identitari. Nemmeno le successive politiche del partenariato euro-mediterraneo, compresa l’ultima utopia dell’"unione per il mediterraneo", sono riuscite a far decollare un reale sviluppo regionale in vista di creare una zona di libero scambio improntata ai valori democratici, sociali e culturali. Con un’ottica neocolonialista, l’Europa ha sostenuto i regimi dittatoriali del Nord Africa, al fine di servirsene come barriera contro la minaccia del fondamentalismo islamico e il terrorismo, come agente di contenimento nei flussi immigratori, e come mercati di subappalti, servizi e scambi commerciali per le multinazionali della globalizzazione.
Di fronte all’infiammarsi del Mediterraneo, saprà la sponda Nord cogliere l’occasione per rimettere in causa l’ambigua "politica di vicinato" della fortezza Europa nei confronti dei suoi diretti dirimpettai in piena crisi, per rilanciare un nuovo partenariato economico, sociale, culturale e umano realmente solidale, capace di vedere oltre il business della globalizzazione d’impronta neocoloniale e oltre lo spauracchio del fondamentalismo islamico?
Nel cuore del deserto siriano, Paolo Dall’Oglio, gesuita, ha fondato la comunità monastica di Deir Mar Musa el-Habasci. Dedita al dialogo tra Islam e Cristianità, la comunità di monache e monaci impegnati nel movimento ecumenico accoglie ogni anno migliaia di musulmani così come visitatori di ogni nazionalità. Forte dei suoi trent’anni di esperienza e di impegno, Paolo Dall’Oglio prende posizione sulla relazione tra la Chiesa, in particolare la Chiesa cattolica, e la religione musulmana. Come praticare il buon vicinato? Qual è l’originalità delle due tradizioni religiose? Come avvengono l’evangelizzazione e l’inculturazione della fede cristiana nel contesto musulmano? Qual è il valore teologico della profezia di Muhammad dal punto di vista cristiano?
Di fronte alla rinascita di teologie esclusiviste, così di moda dal momento in cui una certa islamofobia è riemersa, il lettore troverà qui una posizione opposta, di teologia dell’apertura, dichiaratamente inclusiva, entro la quale le esigenze radicali della fede cristiana sono vissute in profondità.
L’ambizione di quest’opera è di proporre una speranza che soltanto l’impegno in favore dell’altro renderà legittima e realista.0
Lotta agli sprechi, risparmio energetico, riciclaggio totale dei rifiuti, tutela e valorizzazione del suolo naturalizzato e degli alberi, dieta povera di proteine e grassi animali, vestiti con tessuti naturali, bioedilizia, energie rinnovabili, mobilità sostenibile, città a misura di bicicletta, insomma tutto l’armamentario di quella che oggi è chiamata pomposamente green economy lo ritroviamo in parte realizzato, in parte progettato nella seconda metà degli anni Trenta, il periodo che il fascismo volle chiamare «autarchia». In realtà, tutte le economie sviluppate, compresi gli USA con il New Deal, risposero alla crisi del ’29 con forme diverse di protezionismo e di autarchia.
Ma il «caso italiano», depurato dalle incrostazioni del regime, ha caratteristiche uniche e di assoluto interesse, perché l'Italia era pressoché priva di combustibili fossili. L’Italia, insomma, dovette far fronte alla necessità di rimodellare la propria economia e società facendo affidamento esclusivamente su risorse che, a parte un po’ di metano e di carbone e alcuni minerali, erano essenzialmente quelle dell’agricoltura e del sole; la stessa condizione che si prospetta in un prossimo futuro all’intero Pianeta con l’esaurimento dei combustibili fossili. In sostanza si trattò di un involontario e obbligato esperimento di «economia verde», costretta anticipatamente a fare i conti con i «limiti dello sviluppo». «Lo studio dei prodotti e dei processi del periodo autarchico italiano», scrive Giorgio Nebbia nella prefazione, «non esenta, ovviamente, dal giudizio di ferma condanna del regime fascista, delle sue avventure razziali, militari e colonialistiche, delle sue stupidità e ignoranza. Non si tratta di rilanciare il ruralismo fascista o nazista, la virtù delle famiglie contadine, ma di riconoscere che la terra, in pianura, collina, montagna, è la base per produzioni anche tecnicamente avanzate, con vantaggi per la decongestione delle zone urbane, per la difesa delle acque e la prevenzione di frane e alluvioni. [...] Volenti o nolenti, il ‘passato è prologo’».