«La sera la mamma mi domandò che cosa avevo fatto durante il giorno. Le raccontai che ero stato insieme ai ragazzi più grandi. Mi domandò se mi prendevano così senz'altro con loro e io le spiegai che ora sì, mi prendevano con loro, perché avevo superato al prova. Ero stato all'osservatorio. Lei mi domandò che cos'era, un osservatorio. Risposi che lo sapeva benissimo, che lì c'erano i cadaveri e che sapeva anche benissimo che mio padre era stato gettato sopra gli altri cadaveri e che non aveva neppure un lenzuolo e io avevo detto ai bambini che ne aveva sì uno, mentre avevo visto benissimo che non ne aveva. Mi misi a strillare che lei era matta a lasciare che lo buttassero così sugli altri cadaveri senza lenzuolo e che non mi aveva neppure raccontato che era stato portato via dalla baracca dell'infermeria e che io volevo andare almeno a salutarlo un'ultima volta e che lei era stata cattiva e che era colpa sua se era lì così nudo sopra i cadaveri».
Un bugiardo, un imbroglione, un ladro e una sgualdrina. Da loro non ti aspetteresti certo la virtù. Eppure sono alcuni dei trentasei Giusti nascosti (a sé e agli altri) che secondo una suggestiva leggenda ebraica permettono al nostro basso mondo di continuare a esistere. Convivida immaginazione e grande sagacia Jonathon Keats rielabora questa leggenda indodici sorprendenti racconti creando personaggi tanto improbabili quanto indimenticabili.
Se si guarda alla condizione umana nel mondo contemporaneo, si può dire che il nostro è il tempo dell'esilio. La tesi originale sostenuta da Trigano è che l'esilio non è una mera fatalità subita, non può più essere visto nei termini negativi di un semplice sradicamento. L'uomo crede di avere radici, così come è convinto di appartenersi, di far corpo con il proprio mondo. L'esilio rompe questa relazione di identità dell'individuo con il suo ambiente: è la frattura che determina la perdita della terra, la scomparsa dei riferimenti quotidiani, la rovina delle abitudini. Ma è anche la possibilità di vedere la condizione umana in modo nuovo, come una libertà creatrice che affranca dal determinismo della terra e apre la via del ritorno. Attraverso una sorta di percorso autobiografico Trigano ripercorre le tappe dell'esilio che, come insegnano le fonti ebraiche alle quali attinge, è un cammino non verso il passato dell'origine, ma verso una nuova modalità di convivere nel futuro.
Il termine ebraico Cabbalà, che nel linguaggio talmudico significa semplicemente “tradizione”, è utilizzato per definire la mistica ebraica e le tradizioni esoteriche dell'ebraismo. La Cabbalà è “la saggezza di ciò che è nascosto”, e i cabbalisti, “gli uomini dell'interiorità”, perseguono instancabilmente la loro ricerca della luce e della verità nascoste in tutto ciò che esiste al fine di trasmettere a coloro che ne sono degni quel poco che può essere trasmesso.
L'antisemitismo razzista non è un'esclusiva del nazismo. E' nato prima ed è connesso con l'antigiudaismo cristiano. Non riguarda tutta la cristianità, ma ha un tempo, un luogo e un nome. Il tempo è tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento, il luogo è la Penisola iberica, il nome è limpieza de sangre.
La limpieza de sangre - sostiene Yerushalmi in questo breve quanto brillante saggio - non è equivalente al nazismo, ma presenta aspetti simili: si fonda su una classificazione degli individui che ha come criterio principale il sangue; serve a espellere chi non è considerato uguale; ha lo scopo di proteggere la comunità nazionale da "intrusi". Perciò non è vero che la Chiesa è l'istituzione che di per sé garantisce che il passaggio tra antigiudaismo e antisemitismo non si risolva in sterminio. Nella storia è già avvenuto. E a chi gli replica che non si possono fare certi paragoni Yerushalmi risponde che i paragoni si fanno non tra cose identiche bensì tra fenomeni che presentanouna combinazione di differenze e somiglianze, e che proprio per questo non solo quel confronto è possibile ma anche costruttivo.
Il libro rilegge con sguardo attuale una controversia rabbinica su un forno da pane: se spezzato in formelle, sarà ancora utilizzabile secondo precetto o sarà invece "impuro"? Tratto dal Talmud Babilonese e ambientato tra il I e il II secolo, questo racconto paradossale, insieme drammatico e ironico, è qui interpretato sullo sfondo di una catastrofe: la distruzione del Tempio di Gerusalemme ad opera dei Romani nel 70 e.v., la diaspora ebraica e la nascita del cristianesimo. La controversia sul forno, in apparenza pretestuosa, è intesa come metafora di un dibattito di ampio respiro: quello che si impone in ogni tempo e ad ogni collettività di fronte a una crisi storica. Al centro sta la domanda: come gestire una catastrofe? Quale continuità è possibile, o quali trasformazioni sono necessarie? E a chi spetta l'autorità per decidere? A una inderogabile "volontà di Dio" o a un'opinabile interpretazione umana? E quale peso nelle decisioni hanno le dottrine, la ragione, la religione, i rapporti umani e i sentimenti?
"Il lettore abituale della Giuntina, una piccola casa editrice specializzata in opere di argomento ebraico, si stupirà forse di questa scelta editoriale. Ma queste profonde riflessioni di Osho sull'"arte di morire", ispirate da alcuni celebri racconti chassidici, mi sono sembrate così belle e importanti che mi è parso giusto proporle anche al nostro pubblico. Soltanto un vero Maestro poteva capire e comunicare così bene il messaggio fondamentale del chassidismo, espresso dal suo fondatore, il Baal Shem Tov, in questi termini: "Sono venuto a insegnarvi un modo nuovo che non richiede né il digiunare né il pentirsi e neppure l'indulgere, ma solo la gioia in Dio". E così Osho commenta: "II movimento del chassidismo è fondato sulla grazia: non richiede azione, la vita sta già accadendo ed è sufficiente essere in silenzio, passivi, attenti e ricettivi. Dio arriva attraverso la grazia e non tramite lo sforzo". L'importante (ma non è così facile) è riuscire a vedere l'inferno creato dall'io nel nome dell'impossibile ricerca della perfezione e dell'unicità, e capire con il cuore come "l'intera vita è semplicemente una scuola per apprendere come tornare a casa, come morire, come scomparire, perché nel momento in cui scomparite Dio compare in voi". Allora l'io si dissolverà spontaneamente e noi potremo finalmente acconsentire a morire, e cioè a vivere." (David Vogelmann)
Nella nostra società, scettica e disincantata, gli angeli continuano ad affascinare. Essere invisibili e vicini all'uomo, creature di Dio che rivelano la Sua presenza, essi fanno vibrare il nostro mondo all'unisono con una realtà più alta. Si ritrovano in tutte le tradizioni monoteistiche, ma è nella Bibbia ebraica che rivelano innanzitutto il loro volto misterioso e familiare. Catherine Chalier ne rivisita i grandi episodi - gli ospiti di Abramo, la voce del roveto ardente, ma anche colui che lottò con Giacobbe o l'accusatore di Giobbe. Oltre la loro apparente diversità, ciascuno di questi episodi illumina l'uomo su se stesso e sul senso della sua finitezza. Dall'angelo annunciatore all'angelo distruttore, sono tutte figure che introducono al faccia a faccia con l'Altro divino. La Chalier offre una molteplicità di letture, razionaliste, etiche o mistiche, che vanno dai saggi del Talmud a Filone Alessandrino fino a Maimonide, lo Zohar e i maestri chassidici, guidando il lettore in questo viaggio attraverso la tradizione ebraica sulle tracce degli angeli.
Fra le tante opere dedicate alla Shoah, questa ha l'ambizione di raccontarla in poche pagine ma con completezza, senza pudori e senza sconti per nessuno, fra il dolore delle vittime e la consapevolezza, se non la vergogna, degli altri. Un racconto emotivo che in cento tappe descrive il lungo viaggio ad Auschwitz - dall'antisemitismo alle modalità della macchina dello sterminio, dalle verità ufficiali troppo comode alle ceneri del dopoguerra che conducono fino al Ruanda. Questa "Piccola anatomia di un genocidio" è un atto di pietas collettiva e di allarme, perché "siamo tutti figli della Shoah, l'Europa l'ha provocata e l'Europa su quelle ceneri si è ritrovata".
Il volume pubblicato in esilio nel novembre del 1933, offre un'analisi lucida della situazione politica e sociale dell'ebraismo e delle sue prospettive di rinnovamento alla luce della cesura storica costituita dall'avvento del nazismo. Tramontata l'illusione di un'assimilazione nella cultura tedesca, gli ebrei devono, secondo l'autore, ricostituire un'identità non solo culturale, ma di popolo, e rivendicare così i loro diritti e doveri in quanto minoranza. La nuova forma di identità collettiva auspicata dall'autore comprende dunque la sfera politica, economica e culturale. Riconoscendo l'importanza di un'azione pratica che accompagni la riflessione teorica sul problema dell'ebraismo, il saggio rivendica la necessità di un territorio in cui gli ebrei possano insediarsi.
Chi è un antisemita? E prima ancora: cosa significa antisemitismo? Sono questi i due interrogativi alla base di questo stimolante saggio. Nel solco della migliore tradizione storiografica tedesca, l'autore esegue in queste pagine una dettagliata radiografia del concetto di antisemitismo, ponendo finalmente in discussione la sua validità - sinora data per scontata o sottointesa quale categoria scientifica a tutti gli effetti.
Come rappresentò Rembrandt l'ebreo e l'ebraismo? Perché mutò la propria visione nel corso del tempo? Che differenza c'era fra l'ebraismo sefardita e quello ashkenazita nell'Amsterdam di metà Seicento? A tutte queste domande fornisce risposte esaurienti la tesi di laurea del 1924 di Netty Reiling, una giovane studentessa ebrea tedesca che di lì a poco avrebbe assunto lo pseudonimo di Anna Seghers, la grande e celebre scrittrice comunista. Ricorrendo al metodo comparativo, l'autrice ci consegna un minuzioso lavoro critico di storia dell'arte condito da una teoria estetica molto attenta al rapporto fra realtà immaginata e realtà effettiva.