Sperimentiamo costantemente dentro di noi inquietudine, paura, talora angoscia, e un ribollire di emozioni che obbliga la mente a un duro, continuo lavoro. Eppure ciascuno possiede nel profondo anche la forza esplosiva necessaria per sciogliere il nodo delle assillanti domande che tormentano l'esistenza, e per puntare a quell'ideale che nei secoli è stato chiamato in vari modi: Dio, Tao, Dharma, Spirito Santo, oppure amore, bene, sapienza. In questa nuova tappa del suo percorso filosofico, Vito Mancuso sostiene che l'equilibrio tra l'irrazionalità dell'amore e la pura logica della mente è ancora possibile: per dimostrarlo chiama a raccolta le vite e le esperienze di grandi del presente e del passato - da Dante a Hannah Arendt, da Giordano Bruno a Etty Hillesum - in un ideale pantheon di menti innamorate capaci di conquistare quella grazia che è il frutto più bello di ogni educazione spirituale. A partire dal loro luminoso esempio, Mancuso indica la strada da percorrere per dare ascolto al maestro interiore che ognuno custodisce dentro di sé, e raggiungere uno stato di felicità dell'esistenza puro e allo stesso tempo reale, sognante ma a occhi aperti, che rappresenta il dono maggiore che si possa ricevere dalla vita.
Richard David Precht, che insegna filosofia in Germania e negli USA, accompagna il lettore in un entusiasmante viaggio filosofico: 35 località per 35 domande. Si parte con "Che cos'è la verità?", l'interrogativo che riecheggia a Sils Maria, al quale si risponde sulle note di Lucy in the Sky with Diamonds (ma anche con l'aiuto di Nietzsche...). L'itinerario geografico-filosofico si conclude (provvisoriamente) con un'altra domanda, "La vita ha un senso?". Il quesito risuona all'interno della macchina di Matrix e mobilita il sapere dei fratelli Wachowski e Stanislaw Lem, di Platone e Tolstoj, di Cartesio e Luhmann, Douglas Adams e Lewis Carroll... Richard David Precht conosce i maestri del pensiero, ascolta i Beatles e il rap, è fanatico di cinema, ama le fiabe e la fantascienza, è aggiornato sulle più recenti scoperte scientifiche. Soprattutto, è in grado di fare capire, in termini chiari e spesso divertenti, senza alcuna pedanteria, le grandi questioni che da sempre si pongono gli esseri umani, le stesse domande alle quali, da sempre, i filosofi hanno cercato di dare una risposta.
Il "sentire" che Roberta De Monticelli osserva in questo saggio è componente fondamentale della nostra affettività, esplorata nelle diverse manifestazioni: dalle infinite sfumature affettive della percezione sensoriale alla vicenda degli stati d'animo, dagli umori alle emozioni, dai sentimenti alle passioni... Ricondurre questi fenomeni all'interno di una visione d'insieme significa anche cominciare a tracciare una personologia, ovvero una teoria di ciò che siamo. Per condurre la sua analisi, Roberta De Monticelli esplora lo stato della ricerca filosofica per intraprendere poi quella "riduzione all'essenziale" di marca fenomenologica al termine della quale si potrà affrontare il tema dell'indifferenza morale e della banalità del male.
La novità di ognuno ci guida alla scoperta di questa verità insieme antica e rivoluzionaria, intimamente legata a una delle questioni filosofiche capitali e attualissima, quella del libero arbitrio, oggi messo in discussione dal riduzionismo radicale di molti scienziati. Per fondare la sua riflessione, Roberta De Monticelli intreccia due cammini: da un lato ripercorre i passi dei maestri del pensiero filosofico su questo tema; dall'altro riparte dall'esperienza quotidiana di ciascuno di noi, dai nostri sentimenti, dai nostri atti. Perché non è certo una riflessione astratta volta a definire la natura umana. Al contrario, sono posti al centro dell'attenzione la nostra vita, i nostri sensi, la nostra carne, i nostri affetti. È proprio grazie alle nostre decisioni - attraverso ciascuna delle nostre decisioni, piccole e grandi - che definiamo la nostra unicità. Siamo noi stessi, in ogni istante, a costruire la nostra identità, la nostra persona. Oggi paiono dominare l'indifferenza politica e morale e il suo contrario, il richiamo a principi astratti d'autorità. La novità di ognuno ci dice invece che ciascuno di noi, fedele alla propria natura, è libero di scegliere - e dunque si deve anche assumere la responsabilità morale e politica delle proprie scelte.
Il pensiero di Gianni Vattimo ha accompagnato, indagandolo nella maniera più radicale, il passaggio dalla modernità alla postmodernità. Partendo dai presupposti filosofici di questo cambiamento, ritrovati soprattutto in Nietzsche e Heidegger, ne ha anticipato le conseguenze, che investono la società, la politica, l'economia, la religione, le arti e la comunicazione, ma soprattutto il nostro rapporto con la realtà. "La fine della modernità", saggio-manifesto pubblicato originariamente nel 1985, esplora per la prima volta in maniera unitaria il concetto di postmoderno, uno stile che ha abbandonato gli ideali dominanti della modernità: quello di progresso e di superamento critico; e nelle arti la poetica e la pratica dell'avanguardia. Attraverso l'esame di alcuni aspetti del pensiero contemporaneo (l'ermeneutica, il pragmatismo, le varie tendenze nichilistiche), Vattimo delinea così le caratteristiche fondamentali di una cultura postmoderna.
«Torniamo a pensare!
Domande e risposte, per smettere di essere passivi.
Il sonno della ragione, oltre a generare mostri, produce il suicidio, morale e culturale, mentre ci si illude di essere vivi.
Poiché la finzione è uno dei mali maggiori del nostro tempo, Per ragionare si propone come un antidoto.
Vademecum per resistere e andare avanti.
Sapendo che solo la vista dell'orizzonte mostra la dimensione reale di ogni cosa.
E di ogni speranza.»
Viviamo assordati da contrapposizioni politiche di facciata, urlate quanto vuote: impigliati in una melassa di pettegolezzi, personalismi, scandali di ogni genere, false paure. Tutto questo ci fa rimuovere i nostri veri interessi, le sfide del presente e la costruzione di un futuro migliore. Mentre le decisioni vengono prese da altri, senza che ne siamo consapevoli.
Con semplicità ed efficacia, Mario Capanna ci dice che dobbiamo tornare a essere protagonisti delle nostre esistenze, e non solo consumatori passivi di merci, di notizie, di intrattenimenti. Che dobbiamo interrogarci sul mondo che ci circonda, sulle sue storture, le sue ingiustizie, le sue assurdità – a volte ridicole, a volte crudeli.
Possiamo e dobbiamo individuare gli imbecilli, i prepotenti, i banditi. Dobbiamo essere soggetti attivi, sulla scena di una politica rigenerata, non fatta di leader e di partiti più o meno geneticamente modificati, ma di persone e collettività, di cibo e ambiente, di affetti, di lavoro. Di prospettive.
Su tutto questo, scrive Mario Capanna, dobbiamo ricominciare a ragionare. Per camminare eretti.
La novità di ognuno ci guida alla scoperta di questa verità insieme antica e rivoluzionaria, intimamente legata a una delle questioni filosofiche capitali e attualissima, quella del libero arbitrio, oggi messo in discussione dal riduzionismo radicale di molti scienziati. Per fondare la sua riflessione, Roberta De Monticelli intreccia due cammini: da un lato ripercorre i passi dei maestri del pensiero filosofico su questo tema; dall'altro riparte dall'esperienza quotidiana di ciascuno di noi, dai nostri sentimenti, dai nostri atti. Perché non è certo una riflessione astratta volta a definire la natura umana. Al contrario, sono posti al centro dell'attenzione la nostra vita, i nostri sensi, la nostra carne, i nostri affetti. È proprio grazie alle nostre decisioni - attraverso ciascuna delle nostre decisioni, piccole e grandi - che definiamo la nostra unicità. Siamo noi stessi, in ogni istante, a costruire la nostra identità, la nostra persona. Oggi paiono dominare l'indifferenza politica e morale e il suo contrario, il richiamo a principi astratti d'autorità. La novità di ognuno ci dice invece che ciascuno di noi, fedele alla propria natura, è libero di scegliere - e dunque si deve anche assumere la responsabilità morale e politica delle proprie scelte.
"Teorie del simbolo" più che una storia della semiotica è la storia di tutte quelle discipline che nel passato si sono spartite il campo del segno e del simbolo - semantica, logica, retorica, ermeneutica, estetica, filosofia, etnologia, psicoanalisi, poetica - e di alcuni dei loro oggetti, chiamati di volta in volta imitazione e bellezza, istruire e piacere, tropi e figure, condensazione e spostamento. Ma sia il concetto di "storia" sia quello di "semiotica" vengono qui messi in discussione per aprire il discorso a una terza possibilità: un pensiero plurale e tipologico che conservi le differenze.
In "Nichilismo ed emancipazione" Gianni Vattimo cerca la via per pensare la politica, l'etica e la giustizia dopo il tramonto della metafisica e la fine delle ideologie, quando non sono più concepibili princìpi immutabili e diventa necessario costruire le leggi attraverso il consenso e la negoziazione. Solo così è possibile sfuggire alla polarizzazione tra un pluralismo che si identifica sempre più con la cultura del supermercato e la ripresa dei fondamentalismi, familistici o etnici, religiosi o comunitaristici.
Il «sentire» che Roberta De Monticelli osserva in questo saggio è componente fondamentale della nostra affettività, esplorata nelle diverse manifestazioni: dalle infinite sfumature affettive della percezione sensoriale alla vicenda degli stati d'animo, dagli umori alle emozioni, dai sentimenti alle passioni... Ricondurre questi fenomeni all'interno di una visione d'insieme significa anche cominciare a tracciare una personologia, ovvero una teoria di ciò che siamo. Per condurre la sua analisi, Roberta De Monticelli esplora lo stato della ricerca filosofica per intraprendere poi quella «riduzione all'essenziale» di marca fenomenologica al termine della quale si potrà affrontare il tema dell'indifferenza morale e della banalità del male.
"I saggi qui raccolti sono variazioni sul tema della frattura che si apre nell'esistenza e nella cultura quando l'essere umano non può aprirsi al mondo e quindi al presente. I vari tipi di crisi, dell'autorità, della libertà, dell'istruzione, persino del pensiero, sono riportati alla fondamentale lacuna dell'agire. Questa assume l'aspetto decisivo di una interruzione della tradizione. (...) Un aforisma di René Char fa da epigrafe ideale di questo libro: "La nostra eredità non è preceduta da alcun testamento". Non c'è modo migliore di illuminare il paradosso tipicamente moderno, per cui ogni generazione, in una cultura educata nella storia più di ogni altra, dimentica le motivazioni di quelle che l'hanno preceduta." (Introduzione di A. Dal Lago)
"Agli studenti bisogna dire di non leggere le critiche, ma di leggere i testi. Tutto il mio libro è un grido d'orrore per ciò che accade nel mondo universitario. I miei studenti a Cambridge hanno un esame in cui discutono l'opinione di T.S. Elliot su Dante senza dovere leggere Dante, un solo verso di Dante. (...) Quello che ci vuole è un'interpretazione dinamica, un'interpretazione che sia azione e non passività. Leggere la critica, leggere i testi "secondari", significa essere passivi, come davanti alla televisione; significa rinunciare alla responsabilità dell'azione. (George Steiner da un'intervista su "Linea d'ombra")