Le tre parti che compongono questo libro ripercorrono la storia degli Stati Uniti dall'epoca della colonizzazione, attraverso la fondazione della nazione, sino alla guerra anglo-americana del 1812-1815. Nella prima parte, di Giuliana Iurlano, sono studiati i concetti basilari che, durante la lunga fase della colonizzazione e sulla scorta del pensiero di Spinoza, costituirono la base filosofica della Dichiarazione d'Indipendenza, con un accento particolare posto sul problema della continuità o rottura tra essa e la Costituzione americana. Nella seconda parte, sempre Giuliana Iurlano analizza il pensiero politico di George Washington e gli esordi della politica estera americana tra neutralità e impegno nello scenario internazionale, sino alla guerra contro i corsari islamici del Nord-Africa ai tempi di Thomas Jefferson. Nella terza parte, di Antonio Donno, si ricostruiscono infine le origini, gli sviluppi e le conclusioni della guerra tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti del 1812, che gli americani, alquanto enfaticamente, definirono la "seconda guerra d'indipendenza".
"Quelli che possono fanno scienza, gli altri blaterano di metodologia", "Chi sa fa, chi non sa insegna": la frase di un premio Nobel per l'economia e un diffuso modo di dire per introdurre un pericoloso comune sentire che investe le questioni di metodologia e di didattica, che sono indubbiamente due ambiti distinti, ma che subiscono entrambi il predominio della logica del risultato, del prodotto, della concretezza. Un pregiudizio che non risparmia certo la disciplina storica e che trova convinti sostenitori anche tra gli stessi 'disciplinaristi'. Tuttavia, la possibilità di difendere l'utilità della storia non può fare a meno di confrontarsi con domande 'banalmente' teoriche del tipo: a che serve la storia? Che senso hanno nell'agire storiografico temi come la verità, la soggettività, l'oggettività? Che cosa è una fonte? Cos'è un documento? Cosa intendere per archivio? 'Cosa','come' e prima ancora 'perché' insegnare la storia a scuola? Cosa, come e perché è stata insegnata la storia a scuola? Cosa ci si aspetta a livello comune dalla storia insegnata a scuola? È questo l'orizzonte investigativo che costituisce il tessuto connettivo dei saggi raccolti in questo volume.
"Ada e le altre" ci offre il racconto corale di una generazione di donne che ha scelto di scardinare lo stereotipo della ragazza cattolica, da sempre descritta come "tutta casa e Chiesa". A partire dalla formazione all'interno dell'associazionismo cattolico, l'unico sopravvissuto durante il regime, per approdare alla militanza nella Democrazia Cristiana, passando per la Resistenza, si ripercorrono le tappe che hanno segnato la nascita di una nuova classe dirigente femminile. Al centro Ada Alessandrini, antifascista, partigiana, pacifista e cattolica dissidente e le sue scelte controcorrente, che fanno di lei una cattolica sui generis, capace di opporsi con forza alla dittatura fascista e, nell'immediato dopoguerra, in grado di schierarsi contro l'establishment democristiano per poi approdare nel fronte popolare. Scelta che le costò la scomunica pontificia e l'oltraggio di quella parte cattolica più conservatrice e bigotta. E le altre?
Questa raccolta di saggi, che si segnalano per l'originalità delle scelte tematiche e per l'utilizzo di fonti fino a questo momento assai poco o per nulla prese in considerazione dalla storiografia, è stata ideata privilegiando la logica del confronto fra esperienze e generazioni diverse piuttosto che quella della esaustività dei temi e dei piani di indagine. In effetti gli anni Settanta nel nostro paese sono stati un periodo ricco di maturazioni, mutazioni, complessità e contraddizioni. La scelta di concentrare lo sguardo sul protagonismo delle donne in quegli anni ne moltiplica le sfaccettature, le ambiguità, le alternative. È per questo che i saggi contenuti in questo testo incrociano la dimensione politica con quella sociale rappresentando la capacità delle donne in quegli anni di presentarsi sulla scena del Paese intrecciando strettamente vita e pensiero, dimensione pubblica e dimensione privata, il fare politica e il "fare marmellate". La molteplicità delle esperienze soggettive, politiche e associazionistiche delle donne sembra costituire la cifra di questo periodo, interpretandone la discontinuità e la contraddittorietà, ma anche l'effervescenza sociale e politica. Questi saggi evidenziano come quelli non siano stati solo gli anni della violenza, ma anche del protagonismo femminile. Scritti di: Beatrice Pisa, Stefania Boscato, Patrizia Salvetti, Valentina Palermo, Anna Balzarro.
Sotto osservazione oggi, più che mai, il rapporto tra le città e il loro territorio di riferimento: un rapporto da sempre non lineare, insieme intenso e conflittuale, che dal XIX secolo tende progressivamente a sbilanciarsi in un'unica direzione, sopraffatto dalle esigenze del polo primario. Qui si è provato ad osservare tale relazione dal punto di vista del più "debole", ponendosi la domanda di cosa abbia significato, in età contemporanea, essere i "dintorni" di un grande centro urbano in espansione per società locali già presenti e attive storicamente e, comunque, per un territorio da tempo abitato. Fuoco dell'analisi è Roma, ma nel confronto con altri modelli urbani, sia italiani (Torino, Milano, Napoli) che europei (Parigi, Londra, Berlino, Vienna, Madrid). Confronto da cui emerge in evidenza tutta la singolarità del suo caso: una prerogativa, questa, sempre evocata parlando di Roma, ma che la lente della ricerca e l'esempio di altre realtà coeve sostanziano. Offrendo anche spunti di riflessione per dare senso e forma al futuro.
Prima donna ad essere eletta tra le fila del Partito repubblicano, Mary Tibaldi Chiesa, nel corso di tutta la sua attività politica, rimase sempre fedele agli ideali mazziniani e cattaneani ereditati dal padre Eugenio Chiesa, fiero oppositore del regime di Mussolini e punto di riferimento di tutta la sua esistenza. L'Italia repubblicana, per lei, aveva l'onere di seguire gli insegnamenti di questi due padri del Risorgimento, convinta com'era della compatibilità del loro magistero. Europeista e mondialista, riteneva indispensabile il superamento della dimensione statale e l'istituzione di una federazione internazionale, idonea a offrire adeguate risposte alle nuove esigenze dei popoli. Le scelte compiute dalle grandi potenze, al termine del secondo conflitto mondiale, non la convincevano poiché non favorivano la cooperazione internazionale e impedivano all'Organizzazione delle Nazioni Unite di divenire il primo nucleo di un'Assemblea costituente mondiale, nella quale accanto ai delegati dei vari governi avrebbero dovuto sedere i rappresentanti della società civile. Certa dell'impellente necessità del disarmo universale, confidava nelle capacità delle donne, che potevano stimolare, con il loro impegno politico, i mutamenti istituzionali. Senza venir meno ai suoi doveri famigliari, la donna aveva il diritto di ricoprire ruoli di rilievo nella sfera pubblica: si batté così per il suo ingresso in magistratura così come per il suo accesso alla carriera diplomatica.
Aldo Moro è scomparso ormai più di trent'anni fa e la fase di storia politica del nostro paese della quale fu uno dei protagonisti assoluti appare ormai lontana e conclusa. L'atmosfera è oggi meno condizionata dalle contrapposizioni del passato, gli studiosi dispongono di nuovi e importanti materiali archivistici; diffusa è la convinzione della necessità di avviare un bilancio storiografico di un'intera stagione della storia repubblicana (e di farlo cominciando dalle sue figure più autorevoli). Eppure, l'immagine che abbiamo di Moro appare ancora, per molti versi, legata alla sua tragica fine. È il "caso Moro" che finora ha attratto l'attenzione: i 55 giorni del suo rapimento hanno come schiacciato i 62 anni della sua vita. Questo volume, nato da un'iniziativa dell'Accademia di Studi Storici Aldo Moro, propone un prima riflessione complessiva sull'attività politica dello statista pugliese: fornisce un analitico bilancio della situazione degli studi su Moro e raccoglie ricerche originali di una nuova generazione di studiosi che, giovandosi di una ricca documentazione inedita, testimoniano concretamente la possibilità di superare vecchi schemi e impostazioni.
Basandosi soprattutto sulle carte inedite dell'archivio della Sede centrale del Club alpino italiano, questo lavoro cerca di documentare la presenza di elementi politici e nazionali all'interno del Cai, sin dalla sue origini (1863). Negli anni della crescita numerica dei soci e della diffusione delle sezioni a tutto il territorio nazionale, il Cai inizia a rivendicare le aree di lingua italiana dell'Impero Austro-Ungarico e a stabilire frequenti scambi e collaborazioni con le associazioni alpinistiche irredentiste di area trentina e giuliana. Con lo scoppio della prima guerra mondiale il Cai partecipa dapprima all'accesa campagna a favore dell'intervento e quindi, con l'entrata in guerra dell'Italia, compie una vera e propria mobilitazione dei soci, impegnati a combattere soprattutto sul fronte alpino, teatro della guerra bianca. Contestualmente si sviluppa nel sodalizio un vivace dibattito a proposito dei futuri confini italiani, dove, nel primo dopoguerra, il Cai assumerà un ruolo di presidio nazionale.
I protagonisti di questo libro sono i diplomatici italiani del secondo dopoguerra. In particolare quei bravi e qualificati diplomatici che, rispettivamente, a Roma nei vari uffici di Palazzo Chigi e nelle nostre Legazioni in Egitto, Libano e Siria, erano, giorno dopo giorno, impegnati a ritrovare e riannodare pazientemente i fili sottili dei tanti rapporti, non solo politici, che la guerra aveva sommerso, rovinato e, talvolta, addirittura reciso. Questi diplomatici, leali servitori dello Stato, fatti i conti con polemiche e rancori legati alla pesante eredità della sconfitta ed alla sofferta rinuncia italiana ad ogni residua ambizione coloniale, si misero subito all'opera, con entusiasmo e con passione, per ricostruire (malgrado i limiti imposti dalla debole posizione internazionale del Governo di Roma) la nuova immagine della nostra giovane Repubblica e rilanciare la sua presenza nell'Oriente mediterraneo all'insegna della pace e dell'autodeterminazione dei popoli arabi. Ma, soprattutto, all'insegna della "diplomazia dell'amicizia", quell'originale "modello politico" tipicamente italiano di relazioni mediterranee che in questo libro si cerca di analizzare ed approfondire in maniera sistematica.
All'indomani della seconda guerra mondiale lo scenario del Mediterraneo orientale era completamente mutato. Quello che per lungo tempo era stato percepito come il "mare nostrum" si presentava come un mare ostile. Occorreva immaginare e ritessere o impiantare ex-novo la rete dei rapporti con i Paesi rivieraschi. In questo volume sono ricostruiti i primi passi della politica estera italiana nello scacchiere orientale, dalla sofferta ripresa dei rapporti fra Italia e Albania alla fine della guerra ai negoziati per i trattati di amicizia con la Grecia, il Libano e la Turchia nel quadro di un'azione diplomatica finalizzata a rilanciare nel Mediterraneo orientale una nuova presenza italiana fondata sull'amicizia e la cooperazione.