Una storia corta ha molti pregi: si può raccontare in un fiato solo, se il fiato è abbastanza lungo. Si può raccontare da capo anche tre volte nella stessa sera. Si può portarla tutta intera nel sonno e sognarla durante la notte. Quando è finita se ne può raccontare un'altra: magari anche due! Oltre trenta storie illustrate da Altan. Età di lettura: da 4 anni.
A più di trent'anni dalla sua uscita, e insieme al secondo volume "L'immaginetempo", "L'immagine-movimento" costituisce uno dei libri più importanti in assoluto della saggistica cinematografica. Al tempo stesso saggio di filosofia, estetica e storia del cinema, il libro di Gilles Deleuze, ispirato alle teorie di C. S. Peirce come al pensiero di H. Bergson, si propone di stabilire una tassonomia dell'immenso universo delle immagini in movimento di cui è costituito un secolo di produzione cinematografica. Le immagini vengono dissezionate nelle loro componenti costitutive e classificate secondo alcune tipologie fondamentali, dall'intreccio delle quali derivano età e dominanze estetiche della storia del cinema. Da tale prospettiva, il filosofo francese dissolve le tradizionali classificazioni, proponendo al lettore inedite esplorazioni di una geografia delle immagini al tempo stesso teorica e percettiva, così come illuminanti rivisitazioni critiche di tutte le massime espressioni artistiche del cinema, dall'età del muto a Griffith, dalle comiche ai grandi generi cinematografici americani, da Ejzenstejn a Vertov, da Renoir a Ford e Hawks, dai maestri giapponesi a Hitchcock e Godard, da Scorsese ad Altman. Una cartografia che si ribella dunque a ogni convenzionalità storiografica ed estetica, elevando protagonisti, linguaggio e tecniche dell'arte cinematografica ad altrettante forme di pensiero.
Cosa accade quando una donna decide di assecondare la sua passione e seguire l'uomo che ama, ma dimentica le sue figlie? Oppure quando sceglie di inseguire il sogno di giorni piú felici aggrappandosi alle lettere scritte a uno sconosciuto? Quanto resta dei tanti anni di gioia passati insieme alla propria moglie, se lei ne sta perdendo lentamente il ricordo? Le domande a cui rispondono le storie di Alice Munro lasciano sempre pieni di dubbi. E piú passa il tempo piú si fanno semplici, come se avesse ormai capito la formula per distillare in purezza l'esistenza senza complicarla. Perché le sue domande sono quelle che ciascuno si pone nel corso di una vita. All'apparenza facilissime, rivelano invece tutta la grazia di cui sono capaci gli esseri umani, le scelte fatte e non fatte, le cose prime e quelle ultime con cui ognuno di noi deve fare i conti.
La vita felice è un meccanismo a orologeria: il ticchettio inarrestabile che avvertiamo, pagina dopo pagina, è quello di una famiglia che sta per essere travolta. Accade tutto in una notte, e quella che era una minaccia diventa una ferita che non si può piú cancellare.
«Non ne sapevo niente, allora, dei modi in cui l'amore può manifestarsi, né della forza con cui può spingerci in un angolo e toglierci il respiro».
Elia ha sedici anni ed è un ragazzo solitario. Suo padre è stato licenziato e ha cominciato a comportarsi in modo strano, sparendo per ore a bordo di un furgone, chiudendosi in garage, scrivendo lettere che denunciano un complotto di cui si sente vittima. Elia prova a decifrare ciò che accade, mentre sua madre sembra non voler vedere. Fino alla notte d'agosto dopo la quale nulla sarà piú come prima: la piccola comunità di Ponte - già segnata dall'omicidio insoluto di un bambino - si sveglia sconvolta per il rapimento di una ragazza, salita la sera precedente su un furgone e poi svanita in mezzo ai boschi. Ma quell'estate per Elia è anche segnata dall'attrazione per Anna Trabuio, dall'amicizia per suo figlio Stefano, dalla scoperta lacerante dei propri desideri e dell'istinto di sopravvivenza. A raccontare tutto questo è Elia trent'anni dopo: un uomo che tenta di ricucire lo strappo del passato e illuminare il buio nella mente di suo padre, immaginando cosa sia accaduto davvero quella notte, e cosa significhi perdere se stessi. Ma soprattutto tenta di rispondere a una domanda: com'è possibile, dopo una ferita cosí profonda, sperare di essere felici? Tra La settimana bianca e Io non ho paura, Elena Varvello ha scritto una storia di formazione diversa da tutte le altre, che cattura il lettore con una lingua cesellata, dura e trasparente.
Come riflettere sulle stragi compiute a Parigi il 13 novembre 2015? Chi sono gli agenti di questo crimine di massa? E come possiamo qualificare la loro azione? È necessario allargare lo sguardo. Alain Badiou cerca qui di delineare il quadro generale su cui si staglia questo tipo di attentati. In Occidente ha trionfato il liberismo e la classe media, sempre piú impoverita, vive divisa tra l'orgoglio del proprio modello di società e la paura costante dell'arrivo dei diseredati. Il resto del mondo paga un prezzo altissimo per le politiche neocoloniali delle multinazionali, che prosperano nel caos da loro stesse creato. I terroristi emergono in tale contesto: per Badiou la loro pulsione distruttrice è essenzialmente fascista e vuol reprimere il desiderio d'Occidente, anche in loro stessi. L'islamismo che ostentano, a suo avviso, è un fattore estrinseco e non costitutivo del loro agire. Ciò di cui noi soffriamo in particolar modo è l'assenza su scala mondiale di una politica disgiunta dal capitalismo egemonico. Senza una nuova proposta strategica il mondo resterà in uno stato di disorientamento. È un compito gravoso, ma indispensabile per tutti, fare in modo che la storia dell'umanità cambi direzione e, faticosamente, cerchi di allontanarsi dalla fosca catastrofe in cui sta sprofondando.
Dalla poesia epica e lirica della Grecia arcaica a Platone, da Kant a Hegel, dal materialismo dialettico a Adorno, le varie forme che la dialettica del bello ha assunto nel corso del pensiero occidentale sembrano disegnare una costellazione che continua a sollecitare chi la contempla, anche in prospettiva non strettamente filosofica. Pensiamo ai gesti provocatori di molta arte contemporanea, o al nostro controverso rapporto con l'idea di "natura"; ma anche a mentalità e ideologie che sembrano oggi pervadere ogni aspetto del mondo globalizzato, costruendo le identità simboliche collettive e insinuandosi negli individui in modo da plasmarne in profondità le menti e i corpi. Senza rinunciare a riflettere sulla bellezza, la filosofia deve ponderare con cautela le definizioni rassicuranti che di essa produce la razionalità strumentale. Pensare l'esperienza del bello in modo dialettico richiede di soffermarsi sulle pieghe e sulle incertezze della tradizione, per riconoscervi l'inquieta coappartenenza di bellezza e libertà.
Un giorno, a ventinove anni, Murakami è allo stadio a guardare una partita di baseball quando, osservando la traiettoria della palla finire nel guantone di un giocatore, ha come un'illuminazione: lui, un giorno, diventerà uno scrittore. Tornato a casa, sul tavolo della cucina inizia a scrivere un romanzo e poi un altro ancora: Ascolta la canzone del vento e Flipper, che raccontano la storia di un ragazzo di vent'anni con la voglia sfrenata di scrivere un «romanzo bello». Nel frattempo, però, fuma, beve, pensa alle ragazze con cui in passato ha fatto l'amore. Le cataloga, le evoca. E chiacchiera con un suo amico, ancora più cinico e disilluso di lui, nella convinzione di poter trasformare la realtà con le parole. Ma l'età adulta è li ormai a un passo e il tempo non può fare sconti a nessuno.
Recanati, 1813. In un austero palazzo nobiliare, il giovane Orazio Carlo tiene un diario nel quale riporta le parole e le azioni del fratello maggiore, Tardegardo Giacomo. Ad attirare l'attenzione del ragazzo è il comportamento misterioso di Tardegardo, che si diletta di poesia e ha tranquille abitudini da erudito, ma è anche roso da una sconvolgente irrequietezza. Nel frattempo, in paese, alcuni episodi cruenti turbano la serenità degli abitanti. Si alternano così la rivisitazione della vita e delle opere di un giovane poeta e gli elementi di un romanzo nero, come delitti efferati, coincidenze lunari e antiche vicende di sangue. Riprendendo i modi della prosa italiana dell'Ottocento, il romanzo è l'esecuzione musicale di un apocrifo leopardiano, ed è al contempo un'originale variazione sul tema del doppio.
Il respiro di tua figlia che ti dorme addosso sbavandoti la felpa. Le notti passate a lavorare e quelle a vegliare le bambine. Le domande difficili che ti costringono a cercare le parole. Le trecce venute male, le scarpe da allacciare, il solletico, i "lecconi", i baci a tutte le ore. Sono questi gli istanti di irripetibile normalità che Matteo Bussola cattura con felicità ed esattezza. Perché a volte, proprio guardando ciò che sembra scontato, troviamo inaspettatamente il senso di ogni cosa. Padre di tre figlie piccole, Matteo sa restituirne lo sguardo stupito, lo stesso con cui, da quando sono nate, anche lui prova a osservare il mondo. Dialoghi strampalati, buffe scene domestiche, riflessioni sottovoce che dopo la lettura continuano a risuonare in testa. Nell'"abitudine di restare" si scopre una libertà inattesa, nei gesti della vita di ogni giorno si scopre quanto poetica possa essere la paternità.
"Ho parlato per due anni con mille donne, da sei a novantasei anni. Soprattutto adolescenti, giovani donne. Ho posto a tutte le stesse domande: cosa sia importante nella vita, come ottenerlo, come fare quando quel che si aspetta non arriva. Nelle risposte il tema centrale è sempre l'amore. L'amore e il sesso, l'amore e il desiderio, il tradimento, la famiglia, l'impegno, il corpo, l'amore e i soldi. Una sinfonia di voci raccolte davvero, ascoltate davvero: occhi visti con gli occhi, risate e lacrime, confessioni e segreti. Un'orchestra di strumenti diversi, una sola musica. Da questo coro di parole sono nate le mie storie: prendono occasione dalla realtà ma si aprono alla libertà di immaginare, da un frammento di verità, vite e mondi." (Concita De Gregorio)
Dopo "Momenti di trascurabile felicità", Francesco Piccolo torna a raccontare l'allegria degli istanti di cui è fatta la vita, ma questa volta prova a prenderli dalla parte sbagliata. Setacciando le giornate fino a scoprire come ogni contrattempo, anche il più seccante, nasconda qualcosa di impagabile: una scintilla folgorante di divertimento e di vitalità. Che si tratti di condividere l'ombrello con qualcuno, strappandoselo di mano per gentilezza fino a ritrovarsi entrambi bagnati fradici. O di ammettere che non ci ricordiamo più niente di quello che abbiamo imparato a scuola, che le recite dei bambini sono una noia mortale, e che non amiamo i nostri figli nello stesso modo, semplicemente perché sono diversi. Per non parlare dell'obbligo morale di farsi la doccia appena si arriva ospiti da un amico, che se ne abbia voglia o meno - in fondo soltanto per rassicurare l'altro sul fatto che ci si lava. Oppure delle persone troppo cortesi che ti tengono aperto il portone, costringendoti ad affrettare il passo. Ciascuno sperimenta ogni giorno mille forme trascurabili (e non irrilevanti) di infelicità. Ma sorge il dubbio che sia "come i bastoncini dello shangai: se tirassi via la cosa che meno mi piace della persona che amo, se ne verrebbe via anche quella che mi piace di più".