Nel gennaio 2006 Michela Murgia viene assunta nel call center della multinazionale americana Kirby, produttrice del "mostro", l'oggetto di culto e devozione di una squadra di centinaia di telefoniste e venditori: un aspirapolvere da tremila euro, "brevettato dalla NASA". Mentre, per trenta interminabili giorni, si specializza nelle tecniche del "telemarchètting" e della persuasione occulta della casalinga ignara, l'autrice apre un blog dove riporta quel che succede nel call center: metodi motivazionali, raggiri psicologici, castighi aziendali, dando vita alla grottesca rappresentazione di un modello lavorativo a metà tra berlusconismo e Scientology. Un racconto sul precariato in Italia, che fa riflettere, incazzare e, miracolosamente, ridere. Fino alle lacrime. Questo primo romanzo dell'autrice sarda ha ispirato il film di Paolo Virzì, "Tutta la vita davanti". Con una nuova prefazione dell'autrice.
L'opera di Erodiano ripercorre la storia degli imperatori romani dal 180, anno della morte di Marco Aurelio, fino al 238, anno emblematico del caos politico militare in cui Roma era precipitata, che alla fine vede la nomina del tredicenne Gordiano III dopo l'uccisione in sequenza di ben cinque suoi predecessori. Sono poco più di cinquant'anni ma molto densi di eventi, anni caratterizzati da forti cambiamenti dei costumi e da personalità di rilievo come Commodo, Settimio Severo, Caracalla, Eliogabalo. Il racconto di Erodiano è sempre avvincente per la vivacità del suo stile e per il fatto che si rifà perlopiù a esperienze dirette o testimoni oculari. Più che uno storico, quasi un giornalista. La sua "Storia dell'impero romano dopo Marco Aurelio" è preziosa per la messe di dati e ci permette di indagare le vicende del ili secolo come pochi altri autori. Questa nuova edizione riprende (ma senza il testo greco a fronte) quella pubblicata nel 1967 a cura di un grande studioso di storia greca e romana, Filippo Cassola (1925-2006). Con pochi aggiornamenti indispensabili e una prefazione scritta appositamente da Luciano Canfora, che mette in luce le interpretazioni del tardo impero secondo le varie epoche, le ideologie e i diversi modelli di classicità che si sono succeduti dalla fine dell'Ottocento fino a oggi.
A Nagoya abitano cinque ragazzi, tre maschi e due femmine, che tra i sedici e i vent'anni vivono la più perfetta e pura delle amicizie. Almeno fino al secondo anno di università, quando uno di loro, Tazaki Tsukuru, riceve una telefonata dagli altri: non deve più cercarli. Da quel giorno, senza nessuna spiegazione, non li vedrà mai più: non ci saranno mai più ore e ore passate a parlare di tutto e a confidarsi ogni cosa, mai più pomeriggi ad ascoltare la splendida Shiro suonare Liszt, mai più Tsukuru avrà qualcuno di cui potersi fidare. Il dolore è cosi lacerante che nel cuore del ragazzo si spalanca un abisso che solo il desiderio di morire è in grado di colmare. Dopo sei mesi trascorsi praticamente senza mangiare né uscire di casa, nelle tenebre di un'infelicità senza desideri, Tzukuru torna faticosamente alla vita ma scopre di essere cambiato. Non solo nel fisico - più magro, dai lineamenti più duri e taglienti - ma anche, soprattutto, nell'animo. Ancora oggi, quando ormai ha trentasei anni, continua a vivere con l'ombra di quel rifiuto che lo accompagna sempre, come una musica che resta sospesa nell'aria anche quando non c'è più nessuno a suonarla. L'incontro con Sara, che intuisce l'inquietudine nascosta dietro l'apparente ordinarietà di Tsukuru, sarà l'occasione per rispondere a quelle domande che per sedici anni l'hanno ossessionato ma che non ha mai avuto il coraggio di affrontare.
La vicenda del prefetto romano di Giudea raccontata in un libro di storia. Da duemila anni Pilato è una figura di intersezione fra la memoria e la storia, come Romolo o Giovanna d'Arco. Aldo Schiavone costruisce qui un ritratto del prefetto di Giudea ripercorrendo gli eventi che portarono alla morte di Gesú, culmine della narrazione cristiana e punto di contatto fra ricordo evangelico e storia imperiale. Con appassionato rigore, e in serrato dialogo con le fonti, Schiavone non si prefigge alcun intento teologico o politico, ma solo quello di risolvere un enigma, descrivendo e spiegando quel che potrebbe essere accaduto.
Per la loro natura di diario quotidiano e di ininterrotto colloquio con un destinatario che doveva conoscere tutti gli sforzi e i pensieri dell'altro, queste lettere costituiscono il filo conduttore della straordinaria storia intellettuale di Piero e Ada Gobetti. Inoltre, rispecchiando un'attività che fu intensissima fin dai suoi esordi, esse restituiscono una fitta trama di relazioni, contatti, esperienze, e possono essere considerate un osservatorio privilegiato della vita culturale italiana in anni cruciali della sua storia. Grazie a questo carteggio, l'icona severa del Gobetti intellettuale e antifascista intransigente si arricchisce della dimensione privata, mostrando il processo della sua formazione umana, politica e intellettuale. Allo stesso tempo, l'immagine di Ada consorte e vedova del martire antifascista viene sostituita da quella di una giovane donna combattiva e pensosa, capace di sostenere l'arduo rapporto con Piero e di smussare le rigidezze intellettualistiche di lui. Questa edizione del carteggio, che si aggiorna con nuovi documenti recentemente affiorati, intende avvicinare anche il pubblico non specialista a due straordinarie personalità del Novecento che non hanno mai smesso di parlarci attraverso la loro struggente storia d'amore e il loro inestinguibile ed eroico impegno civile e politico.
Due ragazzi benestanti, colti, imbevuti di letture - soprattutto lui - di nobili cavalieri e amori cortesi. Ma quando un giorno questi due giovani, destinati a ereditare gli onori del loro stato sociale, volsero lo sguardo sulle cose degli uomini, videro un mondo che tradiva il messaggio del Vangelo e lo rifiutarono. Decisero, in momenti diversi, di spogliarsi delle loro ricchezze e, nudi, di abbracciare una nuova vita per gli ultimi. Quelle di Chiara e Francesco furono due esistenze che si intrecciarono strettamente pur percorrendo, ciascuno dei due santi, cammini differenti. Lo scopriamo direttamente dalle loro voci, dai loro scritti, a cui Chiara Frugoni dedica in questo libro uno spazio del tutto nuovo. Facendo parlare direttamente i protagonisti, la Frugoni fa del lettore un compagno di strada di Chiara e Francesco, permettendogli di accostarsi al loro generoso progetto e alle resistenze, ai tradimenti, ai compromessi con cui i due dovettero fare i conti per rendere reale la loro utopia. Del resto è una storia, quella di Chiara e Francesco, che col passare dei secoli nulla ha perso della sua travolgente novità. Al contrario, è come se il tempo trascorso non smettesse di sottolinearne la radicale modernità: il rapporto con i poveri, e quindi col denaro e il potere; il ruolo non subalterno della donna; la funzione dei laici nell'istituzione religiosa; l'importanza del lavoro manuale in servizio del prossimo e come garanzia di libertà; la relazione con fedi diverse.
Un giorno, davanti alla televisione, per la prima volta Simona riconosce negli occhi del figlio la paura. E non è la paura catartica delle fiabe, è quella suscitata dalla violenza del mondo. La frase usata fino ad allora per proteggerlo - «sono cose da grandi» - non funziona più. Così decide di rivolgersi a lui, con semplicità, per dirgli ciò che sulla paura ha imparato. Ma anche per raccontargli la dolcezza di una vita quotidiana a due, tra barattoli pieni di insetti e scatole magiche dove custodire i propri desideri. Scrivendogli scopre la propria fragilità, e in questa fragilità, paradossalmente, una forza.
"Il prato bianco" uscì da un piccolo, raffinato editore, l'Obliquo, nel 1997. Era la terza raccolta poetica di Francesco Scarabicchi, che con quel libro entrava a pieno diritto fra i maggiori poeti italiani contemporanei, confermandosi poi a più riprese nei vent'anni che sono seguiti. L'atmosfera invernale evocata fin dal titolo fece parlare Gian Carlo Ferretti di «uno scenario dominato dal gelo, dalla neve, dal bianco, quasi immagini di un mondo in letargo, invisibile, ma segretamente vivo e disposto al risveglio». E in questa situazione di apparente abbandono che le immagini della natura si fanno precise: prati, serre, fiori, alberi: descrizioni realistiche ma anche metafore a indicare cura e accudimento. Sono paesaggi di una natura coltivata, non selvaggia, e questo accudimento meticoloso, nonostante l'ala fredda che incombe su persone e cose, sembra essere la cifra dell'umanità che emerge da questi versi, già a partire dalla prima poesia. Curarsi di ciò che sopravvive, celebrare senza retorica ciò che è destinato a non sopravvivere: quella di Scarabicchi è una malinconia composta e quasi serena anche quando, nel nucleo centrale del libro, viene affrontato più direttamente il tema della morte: e sono forse le poesie più intense di tutto il libro.
Quando il commissario De Luca, appena richiamato in servizio dopo cinque anni di quarantena, si sveglia da un incidente quasi mortale, non gli occorre troppo tempo per mettere in fila le tante cose che non tornano. Da lunedì 21 dicembre 1953 a giovedì 7 gennaio 1954, con in mezzo Natale ed Epifania, mentre la città intirizzita dal gelo scopre le luci e le musiche del primo dolcissimo consumismo italiano, tra errori, depistaggi, colpi di scena il mosaico dell'indagine, scandita come un metronomo, si compone. E ciò che alla fine ha di fronte non piace affatto a De Luca. Per il ritorno del suo primo personaggio, amatissimo dai lettori, Lucarelli ha saputo evocare una Bologna che non avevamo mai visto così. E ha saputo tessere il più imprevedibile, misterioso romanzo, dove la verità profonda di un'epoca che non è mai interamente finita emerge nei sentimenti e nella lingua dei personaggi.
Nel 1961 viene pubblicata per la prima volta la storia del passerotto Cipì, nata dalla penna del maestro Lodi e dalle matite colorate dei suoi bambini. Fiaba, romanzo, opera filosofica, ma soprattutto lezione di libertà. Età di lettura: da 7 anni.
Le equazioni sono la linfa della matematica, delle scienze e della tecnologia, in loro assenza il nostro mondo non esisterebbe così come lo conosciamo. Possono incutere timore o risultare enigmatiche, ma certo non possono essere ignorate. Ian Stewart dimostra che non bisogna essere degli scienziati per comprenderle e apprezzarne l'austera bellezza, questo perché ogni equazione ha un forte legame con la realtà, con il mondo che ci circonda. Le leggi della natura e molti segreti dell'Universo non sono spiegabili soltanto con l'ausilio delle parole: la storia dell'umanità e della sua conoscenza del mondo reale può essere raccontata, con precisione e in profondità, anche e soprattutto attraverso queste fondamentali diciassette equazioni, che dai tempi del teorema di Pitagora giungono a lambire le attuali, a volte «sconcertanti», teorie della fisica quantistica. La legge di gravitazione universale di Newton, il secondo principio della termodinamica, la relatività, lo strano mondo dei quanti dell'equazione di Schrodinger, la teoria del caos, la formula dell'andamento dei prezzi nel mercato finanziario... Sono diciassette modi con i quali gli uomini di scienza interpretano la realtà da oltre tremila anni. Con tocco leggero e briosa intelligenza uno dei più noti divulgatori scientifici in campo mondiale ci spiega come sia possibile che due gruppi di numeri e qualche simbolo separati da un segno di uguale possano svelare cosi tanti segreti.
Cem era un liceale nella Istanbul di metà anni Ottanta come tanti altri quando suo padre farmacista viene arrestato dal governo e torturato dalla polizia a causa delle sue frequentazioni politiche. Non farà mai più ritorno a casa. Per aiutare la madre Cem andrà a lavorare in una libreria: è qui, tra i romanzi e gli scrittori che vengono a trovare il padrone della libreria, che Cem inizierà a sognare di diventare uno scrittore. Rimarrà sempre con questo desiderio, con questa fame di storie, anche se la vita ha in serbo altro per lui: quando la libreria chiude, Cem diventa l'apprendista di mastro Mahmut, un costruttore di pozzi. Tra maestro e allievo si stabilisce un legame profondo, e il ragazzo sente di aver trovato in Mahmut quel padre che da lungo tempo ha perso. Mahmut e la sua ditta hanno un nuovo incarico: scavare un pozzo in un paese nei dintorni di Istanbul. Ed è li che Cem incontrerà l'attrice dai capelli rossi. Inizierà a spiarla mentre è in scena, indifferente alla tragedia a cui sta assistendo, concentrato solo su di lei, e poi nella casa dove vive col marito, per strada. Fino a quando l'ossessione erotica per questa donna più grande di lui si trasformerà in un'unica, folle, indimenticabile notte di sesso. Cem non potrebbe essere più felice: non sa che la sua vita cambierà per sempre e che il destino ha già iniziato a tessere la sua complicata, crudelissima, imprevedibile trama. Con la storia di Cem, personale e universale allo stesso tempo, Orhan Pamuk interroga i fondamenti letterari della civiltà occidentale e orientale, intrecciando l'Edipo Re di Sofocle con il Rostam e Sohrab di Ferdowsi per scrivere il suo romanzo più sorprendente e fulminante.