Autore di numerosi e fortunati libri per ragazzi, Piumini ha dato prova di essere anche un narratore "per adulti", che ha il coraggio di affrontare temi di forte presa con uno stile di rara intensità. Questo libro raccoglie due racconti di genere diverso, ma profondamente legati per temi e situazioni, tanto da costituire un vero e proprio dittico. Nella "Storia del mago", l'autore adotta il tono a lui congeniale della favola lirica. "Angelo in autostrada" è invece un racconto di ambientazione contemporanea, scritto in una lingua in cui il mistero e la poesia si incrociano con il risentimento verso un mondo sempre più grottesco nella sua volgarità.
Rudy, un artista punk specializzato in graffiti, sparisce in un vagone della metropolitana di New York. Qual è l'orrore che lo ha risucchiato? Quando ricompare non è più lo stesso: è un vampiro assetato di sangue che si aggira nella ragnatela di tunnel sotto la città. Ma non si tratta di un caso isolato: il vampirismo si diffonde come un'epidemia, diventa la metafora di una possibile resurrezione in forme diverse, in un'America in cui vita e morte si scambiano continuamente i ruoli. Skipp e Spector sono, con David Schow, i teorici e i fondatori del movimento splatter-punk.
Questo libro, già edito nel 1984 nei "Paperbacks", prende in esame alcuni concetti fondamentali che si trovano al centro del dibattito semiotico attuale: segno, codice, metafora, simbolo, e quella opposizione tra "dizionario" e "enciclopedia" che costituisce il nodo di tante discussioni nel campo della semantica, della lessicologia, della Intelligenza Artificiale, della semiotica, e vede impegnati, da un lato, i ricercatori di universali semantici e i sostenitori della possibilità di tradurre i termini linguistici in descrizioni definite, dall'altro, gli adepti della "designazione rigida".Tutti i concetti qui esaminati e i problemi che ne derivano hanno costituito l'oggetto della filosofia del linguaggio, da Platone ai giorni nostri. Ogni saggio di quest'opera procede dunque come una rivisitazione storica del concetto di cui si occupa e in questa rivisitazione incontra i momenti fondamentali della filosofia del linguaggio.
Specialista di Mozart, di Verdi e di Brahms, Massimo Mila ha affrontato con il coraggio intellettuale che gli era proprio anche l'insidioso terreno della polifonia quattrocentesca, affascinato com'era dalla voce del suo artista più insigne, Guillaume Dufay (1400 ca.-1474), il compositore franco-fiammingo che aveva trovato nella corte dei duchi di Borgogna un ambiente congeniale. Artista di transizione, tipico esponente dell'autunno del medioevo, o artista "moderno", dopo il quale la musica non sarà più la stessa? Alla luce di questo interrogativo Mila ripercorre il profilo biografico del compositore, delinea la parabola della sua produzione sullo sfondo dei principali eventi del Quattrocento musicale europeo e passa poi a un'ampia disamina delle opere.
E' una storia "doppia", tragica e rasserenata. Dal tempo e dalla memoria. La forma narrativa è quella di un andirivieni. Tra il presente: le vacanze estive in una cittadina della Riviera ligure, Bordighera, con una specie di buon samaritano, Antonio. E il passato: un'antica storia di famiglia, anch'essa svoltasi a Bordighera, e incentratata su una figura leggendaria: Alessio, fratello della madre dell'autrice. Un romanzo di memoria, ma anche di contemplazione della realtà, una parabola sulla vita.
Dal Medioevo al Settecento, le ricerche di Bossy indagano la preistoria del cristianesimo moderno, quell'insieme di pratiche religiose che si configurano come un codice sociale complessivo, nell'intrecciarsi di idee e comportamenti collettivi. Gli studi di Bossy calano le formule apparentemente senza tempo della liturgia e della teologia nella storia delle società europea, rivelandone le insospettabili capacità di illuminare dall'interno le trasformazioni profonde delle mentalità e degli assetti sociali.
Per lo scrittore peruviano, il momento della crisi avvenne quando il padre, che osteggiava violentemente la sua passione letteraria, decise di affidarlo a un istituto gestito da militari, famoso per la sua durezza: il Collegio Leoncio Prado, a Lima. Racconterà Vargas Llosa: "Per me fu come scoprire l'inferno, ma fu lì che cominciai a scrivere. Fui costretto a coltivare la mia passione in segreto: ma fu per me come uno sfogo alla rivolta che nutrivo contro il Leoncio Prado". In questo romanzo, che vuole essere una metafora della violenza contemporanea, l'autore torna alla dolorosa esperienza nel collegio.
"Quando cominciai a pensare alla gatta Cenerentola pensai spontaneamente ad un melodramma: un melodramma nuovo e antico nello stesso tempo come nuove e antiche sono le favole nel momento in cui si raccontano. Un melodramma come favola dove si canta per parlare e si parla per cantare o come favola di un melodramma dove tutti capiscono anche ciò che non si capisce solo a parole. E allora quali parole da rivestire di suoni o suoni da rivestire di parole magari senza parole? Quelle di un modo di parlare diverso da quello usato per vendere carne in scatola e perciò quelle di un mondo diverso dove tutte le lingue sono una una e le parole e le frasi sono le esperienze di una storia di paure, di amore e di odio, di violenze fatte e subite allo stesso modo da tutti. Quelle di un altro modo di parlare, non con la grammatica e il vocabolario, ma con gli oggetti del lavoro di tutti i giorni, con i gesti ripetuti dalle stesse persone per mille anni così come nascere, fare l'amore, morire, nel senso di una gioia, di una paura, di una maledizione, di una fatica o di un gioco come il sole e la luna fanno, hanno fatto e faranno".