Secondo Christopher Preston la cosa più sorprendente del nostro futuro è legata alle tecnologie emergenti che promettono di darci il potere di sostituire alcune delle funzioni fondamentali della natura. Quello che abbiamo di fronte è un mondo progettato da ingegneri e tecnici: la nascita della prima età sintetica del pianeta. Preston descrive una gamma di tecnologie che riconfigureranno il metabolismo stesso della Terra: nanotecnologie che possono ristrutturare le forme naturali della materia; la «produzione molecolare» che permette un riutilizzo illimitato delle molecole stesse; la possibilità di costruire, e non solo leggere, un genoma grazie alla biologia sintetica; «mini-macchine biologiche» che possono riprogettare l'evoluzione; il trasferimento e la bio-risurrezione di specie viventi; i tentativi dell'ingegneria climatica di gestire la radiazione solare sintetizzando una «foschia» vulcanica, la possibilità di ottenere temperature terrestri più fresche aumentando la luminosità delle nuvole e rimuovendo il carbonio dall'atmosfera con alberi artificiali che lo catturano dal vento...
Che cos'è l'andare in montagna senza la conquista della cima? Un atto di non violenza, un desiderio di comprensione, un girare intorno al senso del proprio camminare. Opera di narrativa che prende spunto da un viaggio realmente accaduto, taccuino di viaggio, ma anche il racconto illustrato, caldo, dettagliato, di come vacillano le certezze col mal di montagna, di come si dialoga con un cane tibetano, di come il paesaggio diventa trama del corpo e dello spirito. Perché l'Himalaya non è una terra in cui addentrarsi alla leggera: è una montagna viva, abitata, usata, a volte subita, molto lontana dalla nostra. Per affrontarla serve una vera spedizione, con guide, portatori, muli, un campo da montare ogni sera e smontare ogni mattina, e soprattutto buoni compagni di viaggio. Se è vero che in montagna si cammina da soli anche quando si cammina con qualcuno, il senso di lontananza e di esplorazione rinsalda le amicizie. Le notti infinite in tenda con Nicola, l'assoluta magnificenza della montagna contemplata con Remigio, il saliscendi del cammino in alta quota, l'alterità dei luoghi e delle persone incontrate. Questo è il viaggio che Paolo Cognetti intraprende sul finire del suo quarantesimo anno, poco prima di superare il crinale della giovinezza.
Maestosa e imponente, nulla eguaglia la vista di una montagna all'orizzonte. In tutta la storia dell'umanità le montagne sono sempre state collegate con l'eterno, ci attraggono con le altezze vertiginose, ci sorprendono per la loro bellezza, e spesso sono per noi fonte di pericolo. Attraverso un viaggio avvincente verso vette sia reali sia immaginarie, questo libro esplora cosa la montagna rappresenti nella nostra storia, cultura e immaginazione. Veronica della Dora racconta i diversi modi in cui le montagne hanno funzionato spiritualmente come confine tra la vita e la morte, come ponte fra terra e cielo. Intrecciando scienza, cultura e religione, l'autrice sottolinea come la montagna sia un fenomeno geologico che ha profondamente influenzato l'immaginazione umana, plasmando la nostra coscienza ambientale e aiutandoci a comprendere il nostro, davvero piccolo, posto nel mondo. L'autrice esplora inoltre il loro significato in quanto oggetto di prodezze umane, premio di avventura e sport, e luogo di serena bellezza per i vacanzieri.
Le vite degli uomini e delle donne medievali erano per molti versi simili alle nostre, ma allo stesso tempo erano colme di esperienze miracolose e metaforiche radicalmente diverse. Si viveva in un'epoca in cui le ferite mortali potevano essere guarite durante la notte per opera di un intervento divino, oppure il cuore di un re, estratto dal cadavere, veniva utilizzato come efficace emblema del potere politico. Grondante sangue e oro, feticizzato e torturato, porta d'accesso alle delizie terrene e punto di contatto con il divino, fatto a pezzi ma potente persino oltre la morte: nel mondo medievale non esisteva terreno più fecondo e simbolico di quello del corpo. In "Corpi medievali", lo storico dell'arte Jack Hartnell svela i modi complessi e affascinanti attraverso i quali la gente del Medioevo pensava, esplorava e sperimentava la propria fisicità. Nei dipinti e nei reliquiari che celebravano i martiri dei santi, sovente bizzarri, la dimensione sacra del corpo lasciava un segno tangibile. Nella letteratura e nella politica, i cuori e le teste divennero potenti metafore che modellavano i sistemi di governo e la società in modi che perdurano ancor oggi. I medici e i filosofi naturali incrociavano secoli di sofisticate conoscenze mediche, mettendo spesso in pratica un'ignoranza della fisiologia tanto profonda quanto macabra nei suoi risultati.
Dalle pietre preziose alle spezie, dalle fedi religiose alle innovazioni tecnologiche, lo scambio di merci e idee lungo le antiche rotte commerciali delle Vie della Seta svolse un ruolo cruciale nello sviluppo delle civiltà asiatiche, africane ed europee. Questo libro offre la prima visione complessiva di 1500 anni di storia, ponendo al centro del discorso le tipologie dei territori. Con contributi di oltre settanta specialisti di tutto il mondo, ogni capitolo esplora la storia del commercio e delle culture lungo le Vie della Seta nel contesto dei diversi luoghi - steppe, montagne, deserti, fiumi e mari - per rivelare l'estrema importanza che i paesaggi hanno avuto nel determinare i viaggi, le economie e le comunità di coloro che vissero e commerciarono lungo tali rotte. Splendidamente illustrato con le mappe dettagliate degli itinerari, le fotografie degli spettacolari paesaggi dell'Asia centrale e cento tesori iconici, tra oggetti e strutture architettoniche, questo innovativo libro celebra la storia e l'eredità di culture diversissime che si sono sviluppate e hanno prosperato non a dispetto delle loro differenze, ma in virtù di esse.
Quando Tobias aveva sei anni rimase nascosto per cinquanta giorni in una soffitta per sfuggire ai nazisti. Per il suo compleanno Livia ricevette una bicicletta rossa che aveva tanto desiderato. L'anno dopo venne stabilito che gli ebrei non potevano possedere mezzi di trasporto, e Livia fu costretta a consegnarla alle autorità. Di due famiglie numerose Selma e sua sorella furono le sole a sopravvivere all'Olocausto. Quando il campo di Bergen-Belsen fu liberato Susanna era così debole che dovette essere trasportata in braccio fuori dalla baracca. In una busta teneva stretti gli occhiali e il diario che erano appartenuti a suo padre prima che morisse. Quando la seconda guerra mondiale finì ed Emerich venne portato in ospedale aveva 21 anni, era alto 175 centimetri e pesava 34 chili. Elisabeth era sola quando arrivò in Svezia. Ma al sanatorio incontrò altri ragazzi ebrei che come lei erano sopravvissuti. E insieme formarono una piccola famiglia. Tobias, Livia, Selma, Susanna, Emerich ed Elisabeth erano bambini o adolescenti durante l'Olocausto e raccontano le loro terribili esperienze. Quel che successe a loro e alle loro famiglie. Cosa provarono. Come si sono salvati. E ciò che hanno perduto. Raccontano di fame, scuole interrotte, famiglie divise, sogni infranti. Ma anche di una nuova accoglienza dopo la guerra, e di come si può continuare a vivere, nonostante tutto. Età di lettura: da 10 anni.
Tra le mura di palazzo Sinagra giace il cadavere di un agente immobiliare, Antonello Ribba. Chi l'ha ucciso? Difficile essere sicuri di qualcosa, in un luogo popolato di antichi fantasmi come i Sassi di Matera. Tutto sembra inafferrabile, da quelle parti perfino la speculazione edilizia assume contorni quasi kafkiani. Quel che è certo è che ci sono in ballo sentimenti estremi, nei quali la nostrapPiemme si identifica pericolosamente. Ma se il suo tribunale interno la dichiara colpevole, e lei si sente per un attimo un'Anna Karenina in salsa materana... non ha nessuna intenzione di gettarsi sotto un treno! In un palazzo disabitato dalle parti di via del Riscatto, nell'inquietante stanza rossa decorata con i vizi capitali, viene trovato il cadavere di un agente immobiliare. L'indagine questa volta si snoda proprio nel cuore dei Sassi, fra antichi monasteri, madonne bizantine, grotte e mura seicentesche. Al quarto appuntamento, Imma Tataranni è piú insofferente e peggio vestita che mai. Con lei ritroviamo la colorata tribú che sempre l'accompagna. La suocera, che giocherà un ruolo nell'indagine, sperando di conquistare terreno nella Matera bene. La cognata, che sente i fantasmi. E il marito Pietro, che ha tanta pazienza, ma prima o poi la potrebbe perdere. Come in una partita a poker, la piemme materana in tacco dodici dovrà capire, fra i tanti sospettati, chi è che bluffa. Ma anche tenere a bada il bel maresciallo Calogiuri, che sentendosi trattato come un toy boy le fa imbarazzanti scenate di gelosia. Per non parlare di sua figlia Valentina, che abbraccia ideologie estreme, e potrebbe mettere nei guai anche lei. In una Matera sospesa fra riscatto e speculazione edilizia, c'è chi si abbandona all'autocelebrazione, e chi sviluppa per la stessa un'antipatia tale da poter indurre all'omicidio...
Il 10 luglio 1941, a Jedwabne, un paese di circa tremila abitanti nel nord est della Polonia, una folla di cattolici uccise la maggior parte dei loro vicini di casa ebrei. Il numero delle vittime varia a seconda delle stime: da trecentoquaranta a milleseicento. Qualunque sia la cifra corretta, pochissimi ebrei sopravvissero. Utilizzando asce, bastoni e coltelli, la folla assassinò in piazza circa quaranta uomini. I restanti ebrei - uomini, donne e bambini, molti dei quali neonati - furono ammassati in un fienile nella periferia della città. Poi, mentre la folla osservava con scherno le future vittime, vennero sbarrate le porte e l'edificio fu dato alle fiamme. Morirono tutti. Le case degli ebrei furono saccheggiate. La giornalista polacca Anna Bikont ha ricostruito nei dettagli questo crimine, dando al tempo stesso conto del tentativo da parte delle famiglie dei discendenti degli assassini, dei politici di destra, degli storici, dei giornalisti e dei sacerdoti cattolici di nascondere nei decenni l'accaduto, deviando la colpa sui nazisti o perfino sulle stesse vittime. Un crimine doppiamente efferato ricostruito attraverso le voci dei protagonisti. Una riflessione sulla memoria collettiva: cosa succede a una società che rifiuta di ammettere una verità che distrugge la sua buona coscienza? Come convivere con un passato cosí orribile?
Sergio Luzzatto racconta qui l'avventura di un numero sorprendente di bambini ebrei, scampati alla Soluzione finale e rifugiati nell'Italia della Liberazione: circa settecento giovanissimi polacchi, ungheresi, russi, romeni, profughi dopo il 1945 tra le montagne di Selvino, nella Bergamasca. E racconta l'avventura di Moshe Zeiri, il formidabile ebreo galiziano che, ponendosi alla guida dei bambini salvati, consentirà loro di rinascere da cittadini del nuovo Israele. Questa è la storia di una redenzione. Tragicamente privati di una famiglia, di una casa, di una lingua, irreparabilmente derubati di ogni loro passato, gli orfani della Shoah vedono dischiudersi, grazie agli emissari sionisti, la prospettiva di un futuro nella Terra promessa: un futuro da costruire tutti insieme, maschi e femmine, come in una grande famiglia riunita in un «kibbutz Selvino». I bambini di Moshe sono orfani della Shoah rinati alla vita nell'Italia della Liberazione. Sono giovanissimi ebrei d'Europa centrale e orientale sfuggiti allo sterminio nazista, che nel 1945 hanno incontrato un uomo come Moshe Zeiri: il militante sionista che fondò e diresse a Selvino, nella Bergamasca, l'orfanotrofio più importante dell'Europa postbellica. Falegname per formazione, teatrante per vocazione, Moshe faceva parte di un piccolo gruppo di ebrei a loro volta originari dell'Europa centro-orientale. Giovani immigrati in Palestina negli anni Trenta, che fra il 1944 e il 1945 hanno risalito l'Italia come soldati volontari nel Genio britannico, per cercare di salvare il salvabile. Se non il loro «mondo di ieri», la civiltà yiddish irrimediabilmente distrutta, almeno gli ultimi resti del popolo sterminato. Dopo il drammatico suo incontro con i bambini sopravvissuti, Moshe Zeiri li organizza a Selvino in una specie di repubblica degli orfani, e attraverso l'educazione sionistica li prepara a una seconda vita. Non più la vita rassegnata delle vittime, «laggiù», nelle terre di sangue della Soluzione finale, ma la vita libera e forte dei coloni di Eretz Israel, nella Terra promessa. D'altra parte, la storia dei bambini di Moshe è anche la storia di un'illusione. Perché dopo la guerra d'indipendenza del 1948, l'utopia del «kibbutz Selvino» avrebbe finito per scontrarsi, nello Stato di Israele, con la realtà di nuovi (e brutali) rapporti di forza.
Enrica, diciassette anni, in uno squallido quartiere di Roma studia con poca voglia. Abbandonata a se stessa da un padre che passa il suo tempo a costruire invendibili gabbie per uccelli, e da una madre che si logora in un piccolo impiego, Enrica vive con la stessa indifferenza il legame con Cesare, eterno studente in legge che non l'ama, le premure di un compagno di scuola o gli sfoghi di un maturo avvocato in cerca di avventure. Anche l'amicizia con una eccentrica contessa, che l'assume come segretaria, ha l'apparente significato di un'evasione. Eppure proprio al termine di questa esperienza la ragazza matura una scontrosa capacità di giudizio e tenta da sola una esistenza nuova.
Il rapporto col padre, visto come figura grigia e pedante; quello con la madre, fondamentale dal punto di vista affettivo e creativo; la passione infantile per le marionette, che prelude al suo amore maturo per il teatro; i precoci interessi per la medicina e le scienze; i primi amori e le prime scritture letterarie; il periodo alchimistico ed esoterico; un viaggio sul Reno con i grandi scienziati Lavater e Basedow; la scoperta della filosofia di Spinoza... L'autobiografia di Goethe, scritta in tarda età, copre gli anni giovanili fino al 1775, quando lo scrittore aveva ventisei anni. E ambientata per la maggior parte in una Francoforte che sembra una città mediterranea, con la gente che vive per strada nei dehors abusivi costruiti davanti ai portoni delle case. E anche casa Goethe ha qualcosa di italiano, non fosse altro perché il padre l'italiano lo sapeva leggere e l'aveva fatto studiare alla moglie e ai figli. "Poesia e verità" è una specie di «ritratto del genio da giovane» ma, attraverso i mille incontri e le frequentazioni che vengono raccontati, è anche l'affresco di una delle epoche più esaltanti, fra Illuminismo e Sturm und Drang, di tutta la cultura europea. E d'altra parte Goethe era ben determinato - lo sappiamo dalle sue lettere e dai suoi diari - a scrivere un'autobiografia che, al di là dei modelli storici di Cellini, Montaigne e Rousseau, realizzasse il più possibile l'intreccio di individualità e coscienza storica. Dunque un appassionato libro di confessione, un prezioso quadro storico-culturale e ovviamente, trattandosi di uno scrittore come Goethe, una narrazione coinvolgente. Il risultato è uno dei testi fondamentali della letteratura europea moderna.
Viviamo in un mondo in cui i modi di comunicare, e di pensare, cambiano a una velocità che la storia non ha mai conosciuto. Cosa significa tutto questo per la lettura? Davanti ai rischi, e alle nuove sfide che oggi si delineano, questo libro guarda al passato per farne emergerei grandi miti che hanno nutrito l'esperienza della lettura all'inizio del mondo moderno: miti pieni di fascino, fragili e potenti insieme; inesorabilmente lontani, ci osservano con "uno sguardo familiare". «Entro nelle antique corti degli antiqui uomini, [...] dove io non mi vergogno parlare con loro, e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro umanità mi rispondono», scriveva Machiavelli a Francesco Vettori. È questo il cuore del percorso, che si dipana indietro e avanti nel tempo, da Petrarca a Tasso, a Montaigne, seguendo il tema della lettura come incontro personale, come dialogo con gli autori che si leggono. Il libro diventa un corpo, una persona; i ritratti degli autori, che comparivano nelle biblioteche o negli studioli come spesso fanno le fotografie sui muri di casa dei lettori di oggi, aiutano a mettere in atto una specie di rievocazione negromantica che è capace di sfidare la morte, di stabilire legami di amicizia al di là delle barriere del tempo.