In una società costruita a immagine e somiglianza degli uomini, metà della popolazione, quella femminile, viene sistematicamente ignorata. A testimoniarlo, la sconvolgente assenza di dati disponibili sui corpi, le abitudini e i bisogni femminili. Come nel caso degli smartphone, sviluppati in base alla misura delle mani degli uomini; o della temperatura media degli uffici, tarata sul metabolismo maschile; o della ricerca medica, che esclude le donne dai test «per amor di semplificazione». Partendo da questi casi sorprendenti ed esaminandone moltissimi altri, Caroline Criado Perez dà vita a un'indagine che ci mostra come il vuoto di dati di genere abbia creato un pregiudizio pervasivo e latente che ha un riverbero profondo, a volte perfino fatale, sulla vita delle donne.
Il consolidamento del potere del mercato specie nella finanza e nell'industria tecnologica ha portato a un'esplosione della disuguaglianza. La situazione è drammatica: poche corporations dominano interi settori dell'economia, facendo impennare la disuguaglianza e rallentando la crescita. La finanza ha scritto da sola le proprie regole; le compagnie high-tech hanno accumulato dati personali senza controllo e il governo americano ha negoziato accordi commerciali che non rappresentano gli interessi dei lavoratori. Troppe persone si sono arricchite sfruttando gli altri invece che creando ricchezza. Le vere fonti della ricchezza e della crescita, per Stiglitz, sono gli standard di vita, basati su apprendimento, progresso della scienza e tecnologia e le regole del diritto. Gli attacchi al sistema giudiziario, universitario e delle comunicazioni danneggiano le medesime istituzioni che da sempre fondano il potere economico e la democrazia. Tuttavia, per quanto ci si possa sentire indifesi oggi, non siamo, tutti noi, senza potere. In effetti, le soluzioni economiche sono spesso chiare. Dobbiamo sfruttare i benefici del mercato ma nello stesso tempo domare i suoi eccessi, assicurandoci che lavorino per noi cittadini - e non contro di noi. Se un numero sufficiente di persone sosterrà l'agenda per il cambiamento delineata in questo libro, può non essere troppo tardi per creare un capitalismo progressista che realizzi una prosperità condivisa.
Leo, tredici anni e un ciuffo ribelle, ha una cotta per Chiara, una Beatrice 2.0 che miete cuori sui social, prende ottimi voti e ha messo gli occhi su Federico lo Strafico, mentre Leo ha la brutta fama del ripetente, pessimi voti e un unico amico. Viola è una nuova compagna di classe: veste di nero e cambia spesso colore di capelli, mette a disagio tutti con le sue domande impertinenti e colleziona più note di Leo. Quando iniziano a collaborare per un progetto scolastico, Leo scopre che la nuova arrivata è simpatica e carina, ma pochi giorni più tardi Viola sparisce da scuola. Sui social circola una fotografia imbarazzante della ragazza, e un suo profilo nuovo, dove non risparmia insulti e offese ai compagni. Cos'è successo? Chi è veramente Viola? È da lei che viene quell'odio oppure c'è dietro qualcos'altro? Leo farà di tutto per avere le risposte, e scoprirà qualcosa di impensabile. Età di lettura: da 11 anni.
L'epidemia di Covid-19 si candida a essere l'emergenza sanitaria più importante della nostra epoca. Ci svela la complessità del mondo che abitiamo, delle sue logiche sociali, politiche, economiche, interpersonali e psichiche. Ciò che stiamo attraversando ha un carattere sovraidentitario e sovraculturale. Richiede uno sforzo di fantasia che in un regime normale non siamo abituati a compiere: vederci inestricabilmente connessi gli uni agli altri e tenere in conto la loro presenza nelle nostre scelte individuali. Nel contagio siamo un organismo unico, una comunità che comprende l'interezza degli esseri umani. Nel contagio la mancanza di solidarietà è prima di tutto un difetto d'immaginazione.
«Quando ha scritto "Diario di un millennio" che fugge, Lodoli doveva avere ventisei o ventisette anni: l'età, oggi, di un adolescente; e il libro ha la perfezione, l'assolutezza, la crudeltà, la disperazione dei libri degli adolescenti. Come loro, Lodoli ha chiesto tutto alla letteratura; e ha avuto tutto in dono da lei... Non voglio raccontare tutte le vicende, e comicissime, del libro: la fuga dalla casa, dal padre, dalla moglie, dalla realtà, dalla morte. Ciò che importava, a Lodoli, era soprattutto inventare una voce a cui affidare il compito di dire io: voce sfacciata, proterva, disperata, furibonda, candida, metafisica. Questa voce è indimenticabile: la sua tensione non rallenta mai. Ogni pagina ci sorprende con la sua concentrazione ingegnosa, e con la ingegnosa invenzione di immagini e di figure». (Pietro Citati)
«Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova», sentenziava il grande Hercule Poirot. Nei racconti di Gabriele Pedullà una coincidenza è appena un'avvisaglia, due sono l'annuncio che qualcosa di inatteso sta per accadere, ma tre coincidenze non si dovrebbero augurare neanche al proprio peggior nemico. O forse neppure esistono più le coincidenze, per le donne e gli uomini seduti al tavolo da gioco di Pedullà. E nella curiosità che li spinge ad alzare ogni volta la posta - rimettendo in discussione verità e certezze - conviene riconoscere piuttosto l'opera di un genio maligno in vena di buffonerie. Giacomo avrebbe solo voglia di dormire; l'ingegner Luigi Bassetti cerca di fare carriera con la cucina cinese; Olindo ha nostalgia della nebbia; Eliana e G. rievocano la giovinezza leggendaria del loro amico Vale... A fare da innesco a queste storie c'è sempre un viaggio - sospirato, temuto, ricordato - che puntualmente si rovescia in smarrimento. Perché, come una foschia, un alito oscuro soffia in queste pagine dove nulla è prevedibile, e quando alla fine il pericolo si manifesta apertamente il primo a pagarne le conseguenze è proprio chi credeva di esserne al riparo. A cominciare dal lettore.
Che ne è stato di Olive Kitteridge? Da quando l'abbiamo persa di vista, l'eroina di Crosby nel Maine non si è mai mossa dalla sua asfittica cittadina costiera, e da lì ha continuato a guardare il mondo con la stessa burbera empatia. Sono passati gli anni, ma la vita non ha ancora finito con lei, né lei con la vita. C'è posto per un nuovo amore, nella sua vecchiaia, e amicizie profonde, e implacabili verità. Perché in un mondo dove tutto cambia, Olive è ancora lei. Olive Kitteridge. Insegnante di matematica in pensione, vedova di Henry, il buon farmacista della cittadina fittizia di Crosby nel Maine, madre di Christopher, podologo a New York, figlio lontano in ogni senso, solo una «vecchia ciabatta» scorbutica per molti in paese; una donna scontrosa, irascibile, sconveniente, fin troppo franca, eppure infallibilmente sintonizzata sui movimenti dell'animo umano e intensamente sensibile alle sorti dei suoi consimili: è questa la creatura che abbiamo conosciuto un decennio fa. In "Olive, ancora lei", Elizabeth Strout riprende il filo da dove l'aveva lasciato e in questo nuovo «romanzo in racconti» ci narra il successivo decennio, l'estrema maturità di Olive, dunque. Ma in questa sua vecchiaia c'è una vita intera. Un nuovo amore, innanzitutto. Jack Kennison è un docente di Harvard ora in pensione, vedovo come Olive. A parte questo i due non hanno granché in comune, eppure la loro relazione ha la forza di chi si aggrappa alla vita, e le passioni che muovono i due amanti - la complicità e il desiderio raccontati in Travaglio, la rivalsa e la gelosia di Pedicure - ne trascendono i molti anni. Trascendere il tempo è però una battaglia che non si può vincere e racconto dopo racconto, anno dopo anno, Olive si trova ad affrontare nuove forme di perdita. Deve fare i conti con la propria maternità fallace in Bambini senza madre, con la decadenza fisica in Cuore, con la solitudine in Poeta. Ma contemporaneamente, e senza rinunciare al suo piglio irridente, leva, quasi a ogni racconto, una specie di quieta, tutta terrena speranza. La vita riserva qui piccoli momenti di rivelazione, istanti di comunione, brevi felicità. Succede, magicamente, in Luce, succede in Amica, dove l'incontro insperato con l'ultima compagna di strada è insieme un'appagante occasione di rincontro per i lettori di Elizabeth Strout.
Ida Zilio-Grandi evidenzia la varietà di concezioni e valori espressi dalla fede islamica, sostenendo la sua indagine attraverso il sapiente utilizzo di diverse fonti, tutte appartenenti al vasto contenitore della letteratura religiosa. Il lettore ritroverà in ognuna di queste virtù gli stessi ideali riconosciuti da altre tradizioni religiose, quei valori comuni indispensabili sia a una convivenza serena tra le diverse fedi, sia a un reale confronto con il mondo secolare.
1944, Bologna sta vivendo il suo «inverno più nero». La città è occupata, stretta nella morsa del freddo, ferita dai bombardamenti. Ai continui episodi di guerriglia partigiana le Brigate Nere rispondono con tale ferocia da mettere in difficoltà lo stesso comando germanico. Anche per De Luca, ormai inquadrato nella polizia politica di Salò, quei mesi maledetti sono un progressivo sprofondare all'inferno. Poi succede una cosa. Nella Sperrzone, il centro di Bologna sorvegliato dai soldati della Feldgendarmerie, pieno di sfollati, con i portici che risuonano dei versi degli animali ammassati dalle campagne, vengono ritrovati tre cadaveri. Tre omicidi su cui il commissario è costretto a indagare per conto di tre committenti diversi e con interessi contrastanti. Convinti che solo lui possa aiutarli.
Convocato all'improvviso in una fattoria nei pressi di Three Pines, Armand Gamache, capo della Sûreté du Québec, scopre di essere stato nominato esecutore testamentario da una sconosciuta baronessa. Il documento contiene clausole tanto bizzarre da far sospettare al commissario che si tratti di uno scherzo, ma di lì a qualche giorno, quando nella fattoria viene rinvenuto il cadavere di un uomo, la realtà dei fatti emerge in tutta la sua gravità. Nel frattempo un enorme carico di droga sta per inondare le strade di Montréal, e Gamache, sospeso dal servizio sei mesi prima proprio per non averlo fermato, deve decidere al più presto come agire.
Siamo un pezzo di natura, lo dice la scienza ecologica, e se la natura si degrada anche noi facciamo la stessa fine. Partiamo da dove posiamo i nostri piedi. Ogni secondo in Italia spariscono sotto cemento e asfalto 2 metri quadrati di suolo. Eppure il suolo è la nostra assicurazione sul futuro, per produrre cibo, per filtrare l'acqua, proteggerci dalle alluvioni, immagazzinare CO2. La sua perdita irreversibile è un grave danno per noi e per figli e nipoti. Tanto piú in epoca di riscaldamento globale che, inducendo fenomeni meteorologici estremi - alluvioni, siccità, ritiro dei ghiacciai e aumento dei livelli marini - minaccia il benessere dei nostri figli e nipoti. Eppure ci sono molti modi per risparmiare energia evitando di aggravare l'inquinamento atmosferico o per non sprecare inutilmente le risorse naturali che scarseggiano mettendo a rischio il futuro. Mercalli lo dice e lo scrive da oltre vent'anni, e propone qui un compendio di riflessioni, prendendo lezioni di metodo e di vita da Primo Levi.
Da decenni la sociologia e le scienze umane analizzano il progressivo disgregarsi dei legami e delle relazioni. Non stupisce dunque che la solitudine sia considerata una delle maggiori insidie della nostra epoca. Media e opinione pubblica la descrivono come un morbo da combattere. Governi e istituzioni per la salute pubblica si sono mobilitati. In pochi, però, sottolineano che la situazione contemporanea è il frutto di una precisa evoluzione storica. >Mattia Ferraresi indaga con straordinaria lucidità le radici di questo fenomeno. E illumina il colossale paradosso che lo ha generato: lo scardinamento delle connessioni profonde con l’altro è, infatti, al cuore del progetto di emancipazione della modernità. Proprio il modello liberale ha posto le basi per una società fatta di soggetti che hanno scelto la solitudine quale via maestra verso l’autocompimento. Nel divincolarsi dalle autorità, dalle gerarchie e dalle costrizioni tradizionali che lo opprimevano, l’uomo moderno si è cosí ritrovato solo. Il suo ideale di liberazione si è trasformato, oggi, in una prigionia.
«Il nostro mondo. Quello dei selfie e delle pubblicità profilate, dei pasti monoporzione e del single come stato sommamente desiderabile. Un mondo dove la solitudine regna. Ma grattando la superficie delle osservazioni quantitative e delle cronache si intuisce che siamo di fronte a qualcosa di piú complicato e oscuro di una tendenza sociale: è lo stato esistenziale dell’uomo contemporaneo».