Ci sono storie che aspettano di essere raccontate. La storia di Taja che vive coi suoi zii, e i genitori li sente una volta al mese. O della sua compagna di banco Charlie Dí, che il giorno della Festa della fioritura scompare saltando il fiume. O di Giulio Abour, che traduce per sua madre le bollette e le poesie. Delle ragazze e dei ragazzi di Basilici, che sono italiani ovunque siano nati. Sono storie d'identità, paura del diverso e desiderio di appartenenza. Di discendenze lontane, e di un domani che si esige nelle proprie mani. A raccontare questi ragazzi è Sara, che tutte le settimane li incontra per aiutarli con la scuola. Ha il loro stesso colore di pelle ma è cresciuta in Città. Credeva di vedersi tutta intera, invece si accorge di dover ancora mettere insieme molti pezzi. Il fiume Sele taglia in due la città, e Sara ogni giorno lo attraversa per andare nella scuola di Basilici. I suoi studenti arrivano da tutte le parti del mondo e la guardano con diffidenza. La chiamano Signorina Bellafonte, perché anche se è nera (come la maggior parte di loro) non è una di loro: è cresciuta di là dal fiume, suo zio è il guardiano del frutteto, e da quelle parti le pesche le chiamano «oro rosa», perché sfamano molte famiglie. Sara è la figlia adottiva di un professore di liceo e della cuoca dell'asilo. Sua mamma preparava torte e coltivava rose, suo padre le ha insegnato la passione per le parole: il suo mondo da bambina aveva confini certi. Ora don Paolo le ha trovato questo lavoro, crede che lei sia la persona giusta. Giusta perché? Questi ragazzini, che conoscono tre lingue e ne inventano una diversa ogni pomeriggio, avranno pure il suo stesso colore di pelle ma la scrutano, la sfidano di continuo. All'inizio non riesce a ottenere la loro attenzione nemmeno per mezz'ora. Le parole non bastano più, forse la strada per comunicare passa per certe esperienze difficili del passato: ogni volta che si è sentita diversa, nel posto sbagliato. Settimana dopo settimana quei nomi impronunciabili e quei volti sfuggenti diventano più famigliari: Tajaeli Kolu che le assomiglia così tanto, Zakaria Laroui con l'occhio pigro e zero modestia, Paul Bonafede che è mezzo italiano e sembra vergognarsene. Ma poi scompare Charlie Dí, che stava sempre seduta al terzo banco, e intanto si moltiplicano le aggressioni nel quartiere: ecco che questo processo accidentato ma prodigioso di conoscenza reciproca rischia di interrompersi. Eppure certe vite spezzate e ricucite possono ancora, come certi innesti, trovare il modo di fiorire.
Un tramonto e un'aurora, un declino e un'affermazione. La fine di Roma assomiglia a due figure che si rispecchiano l'una nell'altra, ora opposte ora strettamente connesse, come lo sono due lottatori che si stringono reciprocamente nel tentativo di sopraffarsi. In questo nuovo, affascinante affresco storico, Corrado Augias ci presenta la Roma cristiana, raccontando le storie di uomini, donne, luoghi e monumenti che caratterizzarono la fine del vecchio mondo, e annunciarono l'inizio e il trionfo di una nuova epoca. All'inizio del IV secolo l'Impero romano contava circa settanta milioni di abitanti, e si stima che meno del dieci per cento della popolazione aderisse alla religione cristiana. Una minoranza, ma in crescita. Adottare dunque quella religione, ammetterla tra le fedi consentite e dichiararsene membro, fu, da parte di Costantino, un gesto di immensa audacia. Dopo aver annientato il penultimo dei suoi concorrenti, Marco Aurelio Valerio Massenzio, nella famosa battaglia di Ponte Milvio, Costantino entrò trionfalmente a Roma percorrendo per l'intera lunghezza la via Lata (attuale via del Corso). Era il 29 ottobre del 312, giorno che può essere scelto come la data ufficiale di passaggio tra mondo antico e mondo cristiano. Ma nei fatti non è proprio cosí. Le date che indicano i grandi passaggi della storia umana sono sempre convenzionali. È difficile dire da quanto tempo quei nuovi modi di sentire e di vivere avessero realmente avuto inizio, quali e quanti fattori li avessero determinati e quali altri provocarono invece il declino e la scomparsa di riti, simboli, credenze, costumi sui quali milioni di individui avevano basato la propria esistenza. Resta che nel 324, diventato imperatore unico Costantino, la religione cristiana aveva assunto un'importanza e una dimensione mondiali e che sul finire del secolo l'imperatore Teodosio, detto il Grande, con il suo Editto di Tessalonica, la rendeva unica e obbligatoria. Era solo un primo passo; sarebbe stato via via completato proibendo culto e sacrifici pagani con la minaccia di punizioni severissime, compresa la pena di morte. In pochi anni i cristiani si erano trasformati da perseguitati in persecutori, e il mondo si apprestava a conoscere una nuova fase della sua storia. Tra sapere e meraviglia, Corrado Augias ci guida sui luoghi che furono protagonisti della rivoluzione cristiana, svelando monumenti e rovine che continuano a dare potente testimonianza della fine di un mondo. Ne risulta un'avventura affascinante - e un modo nuovo di vedere Roma - che dà alle pagine l'incanto che sempre deriva dal piacere della scoperta.
Per anni Ming Tsu è stato costretto a lavorare come uno schiavo alla costruzione della ferrovia transcontinentale, insieme ai tanti cinesi che con la loro sofferenza hanno aperto il West agli americani e che nessuno ricorda mai. È fuggito solo quando il Profeta - un vecchio cinese cieco, capace di leggere il futuro - non gli ha detto che era il momento. Adesso è tornato. E può iniziare la sua caccia. È deciso a eliminare i suoi nemici uno per uno e raggiungere la California, raggiungere Ada, la donna che gli hanno strappato dalle braccia. Ad accompagnarlo fino a Reno sarà un gruppo di bizzarri artisti dai poteri soprannaturali, un carrozzone di freak che gli insegneranno cosa vuol dire essere umani.
«All'inizio c'è uno stridio di gomme sull'asfalto, un urto nell'aria, il suono di un clacson, e subito dopo quello che sembra il concerto di un martello pneumatico. Lo studente alza gli occhi dal giornale e si volta nella direzione da cui proviene quel frastuono. Ciò che accade alle 9.02 del 16 marzo 1978 continua ad accadere». L'attacco dura tre minuti, ma a saltare in aria - in quel luogo, in quel momento - è l'Italia intera. Aldo Moro viene rapito, cinque uomini massacrati, riscritto il futuro del Paese. Ecco perché dilatare quei minuti significa guardare il mondo con una lente diversa: al centro di questa storia, in un abbagliante quadro mobile, ci sono il presidente, i suoi familiari, i testimoni, i brigatisti, gli uomini della scorta; e tutt'intorno una vertigine di figure la cui ombra tocca il nostro stesso presente. E cosí, mentre la trappola si ripete all'infinito, quello che emerge a poco a poco nella nebbia è il grande romanzo di via Fani. Il rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse e il massacro dei cinque agenti della scorta è l'evento che ha generato la piú grave frattura emotiva, politica e sociale della storia repubblicana. L'attacco dura tre minuti. Tre minuti che, a piú di quarant'anni di distanza, continuano a essere oggetto di ricerche, ricostruzioni e speculazioni. Ma questo, va detto, non è un saggio: qui siamo nel territorio della letteratura. E ogni scrittore, si sa, manipola il tempo, può condensare dieci anni in una frase o dilatare pochi secondi e farli durare quanto vuole, se in quei secondi si nasconde una verità su cui lo sguardo continua a posarsi. Il metodo in un certo senso è quello del realismo traumatico, lo stesso che usava Andy Warhol nelle sue immagini seriali: mettere in scena e replicare per sfiorare la verità. Non la verità storica, ma quella piú sfuggente della percezione individuale e collettiva. Ecco allora alternarsi nella narrazione i testimoni oculari, i brigatisti, i politici, gli uomini della scorta, persino personaggi storici vissuti secoli prima. E l'azione, gli spari, la fuga, il congegno che scatta e che si replica all'infinito, perennemente identico a se stesso, ma che viene osservato ogni volta da una prospettiva diversa. A intersecare i fatti pubblici è il racconto privato delle ultime otto ore di vita di Aldo Moro prima del sequestro. Il dio disarmato è un romanzo senza aggettivi: storico, politico, filosofico, lirico, documentario; nessun termine riesce davvero a definirlo. È un libro che indaga nel profondo le scelte individuali e i disegni del destino, il territorio e lo spazio urbano, la sostanza del tempo, il mormorio segreto della vita di un uomo tra i piú importanti della storia d'Italia, che quando tornava a casa si toglieva di dosso l'aggettivo «politico» per cercare di essere soltanto un uomo.
Gli anni turbinosi di un'Italia ove i nodi di una modernizzazione non risolta vengono al pettine. Anni Settanta: il decennio piú lungo del secolo breve inizia nel 1966 con gli «angeli del fango» che accorrono a Firenze invasa dall'Arno e finisce nel 1982 con il trionfo ai mondiali di calcio. Tra questi due poli corre una storia piena di speranze e di ferocia, di sogni e di violenza in cui l'Italia, condizionata con forza dal contesto internazionale, vive trasformazioni profonde all'inseguimento di una sempre difficile modernizzazione. Questo libro racconta quegli anni generosi e terribili in cui tutto è sembrato possibile con uno sguardo generazionale non del testimone ma dello storico. Un segnale tangibile della presenza di un risveglio giovanile non legato esclusivamente alla nuova classe operaia, bensí riguardante anche la piccola e media borghesia, coinvolta nel processo di scolarizzazione di massa allora in corso, si registrò in occasione dell'alluvione di Firenze nel novembre 1966. Tantissimi giovani, mossi da una volontà d'impegno collettivo, accorsero in modo spontaneo nella città da ogni parte d'Italia per rispondere anche al bisogno di un nuovo protagonismo generazionale. Nell'immaginario comune quei ragazzi divennero i cosiddetti «angeli del fango», che s'impegnarono volontari per salvare almeno una parte del patrimonio artistico e librario custodito nei musei e nelle biblioteche fiorentine sommerse dalle acque dell'Arno. La voglia di contare si mescolava con un'ansia pungente di ribellione, che contestava i valori perbenisti e i modelli di vita borghesi. Quell'irrequietezza esistenziale poteva trasformarsi in una rabbia sorda e impotente. È da qui che Miguel Gotor inizia a raccontare i momenti chiave del «decennio piú lungo del secolo breve» arrivando fino al 1982, data del trionfo dell'Italia nei mondiali di calcio. Un decennio turbinoso, ove le contraddizioni della modernizzazione sono il basso continuo su cui si muovono la contestazione giovanile e quella operaia, e ancora la strategia della tensione, lo stragismo e la lotta armata, la solidarietà nazionale, il movimento del Settantasette e il femminismo fino al tramonto della guerra fredda.
Durante i quarantadue anni in cui ha insegnato a Brookfield, Arthur Chipping per i suoi studenti è sempre stato Mr Chips. Dai tempi della guerra franco-prussiana fino ai grandi cambiamenti del Novecento e la Prima guerra mondiale, Chips ha visto passare generazioni di ragazzi. E ora che si è ritirato a vivere davanti al college, ripensa alla sua vita nella scuola, alla donna che ha amato, al mondo che con lui tramonterà per sempre. Da "Addio, Mr Chips!" sono stati tratti un film hollywoodiano di grande successo nel 1939, un musical nel 1969, due serie televisive e un radiodramma.
Il primo Atlante è il titolo di una poesia del 1980 dove Primo Levi gioca con i nomi, le forme e i colori delle tavole geografiche che lo hanno fatto sognare da ragazzo. Ma è anche una profezia e una definizione: il decennale, minuzioso lavoro di raccolta dei suoi testi, che qui vede compimento, è stato una lunga avventura di esplorazione in territori immensi, finora cartografati solo in parte.
«Tutti temiamo di vestire i panni della vittima. Viviamo nell'incubo di venire derubati, ingannati, aggrediti, calpestati. Preghiamo di non incontrare sulla nostra strada un assassino. Ma quale ostacolo emotivo dobbiamo superare per immaginare di poter essere noi, un giorno, a vestire i panni del carnefice?» "Le parole di Nicola Lagioia ci portano dentro il caso di cronaca più efferato degli ultimi anni. Un viaggio per le strade buie della città eterna, un'indagine sulla natura umana, sulla responsabilità e la colpa, sull'istinto di sopraffazione e il libero arbitrio. Su chi siamo, o chi potevamo diventare. Nel marzo 2016, in un anonimo appartamento della periferia romana, due ragazzi di buona famiglia di nome Manuel Foffo e Marco Prato seviziano per ore un ragazzo più giovane, Luca Varani, portandolo a una morte lenta e terribile. È un gesto inspiegabile, inimmaginabile anche per loro pochi giorni prima. La notizia calamita immediatamente l'attenzione, sconvolgendo nel profondo l'opinione pubblica. È la natura del delitto a sollevare le domande più inquietanti. È un caso di violenza gratuita? Gli assassini sono dei depravati? Dei cocainomani? Dei disperati? Erano davvero consapevoli di ciò che stavano facendo? Qualcuno inizia a descrivere l'omicidio come un caso di possessione. Quel che è certo è che questo gesto enorme, insensato, segna oltre i colpevoli l'intero mondo che li circonda. Nicola Lagioia segue questa storia sin dall'inizio: intervista i protagonisti della vicenda, raccoglie documenti e testimonianze, incontra i genitori di Luca Varani, intrattiene un carteggio con uno dei due colpevoli. Mettersi sulle tracce del delitto significa anche affrontare una discesa nella notte di Roma, una città invivibile eppure traboccante di vita, presa d'assalto da topi e animali selvatici, stravolta dalla corruzione, dalle droghe, ma al tempo stesso capace di far sentire libero chi ci vive come nessun altro posto al mondo. Una città che in quel momento non ha un sindaco, ma ben due papi. Da questa indagine emerge un tempo fatto di aspettative tradite, confusione sessuale, difficoltà nel diventare adulti, disuguaglianze, vuoti di identità e smarrimento. Procedendo per cerchi concentrici, Nicola Lagioia spalanca le porte delle case, interroga i padri e i figli, cercando il punto di rottura a partire dal quale tutto può succedere".
La rivisitazione storica, politica e culturale del celebre ciclo di affreschi del Buon Governo, dipinto da Ambrogio Lorenzetti nel 1338 nel Palazzo Pubblico di Siena, mutando i linguaggi della comunicazione politica.
Nel cuore oscuro di una città in cui pulsano colpe segrete, un gruppo di investigatori opera fuori dalle gerarchie e dalle regole. Li guida un ispettore che combatte contro i propri demoni. Un ricco imprenditore è stato assassinato. Era un tipo ambiguo, in pochi sembrano piangere la sua morte. Ma Carmelo Tancredi – personaggio che abbiamo imparato ad amare nei romanzi di Guido Guerrieri – capisce subito che è un'indagine per la "sezione fantasma", la sua squadra di reietti della polizia: uomini e donne dal passato torbido e dalle capacità formidabili.
«A cosa pensa una donna quando, assordata dalle voci di tutti, capisce all'improvviso di aver soffocato la propria?» In pochi come Matteo Bussola sanno raccontare, con tanta delicatezza e profondità, le contraddizioni dei rapporti umani. In pochi sanno cogliere con tale pudore il nostro desiderio e la nostra paura di essere felici. Una donna sola che in tarda età scopre l'amore. Una figlia che lotta per riuscire a perdonare sua madre. Una ragazza che invece non vuole figli, perché non sopporterebbe il loro dolore. Una vedova che scrive al marito. Una sedicenne che si innamora della sua amica del cuore. Un'anziana che confida alla badante un terribile segreto. Le eroine di questo libro non hanno nulla di eroico, sono persone comuni, potrebbero essere le nostre vicine di casa, le nostre colleghe, nostra sorella, nostra figlia, potremmo essere noi. Fragili e forti, docili e crudeli, inquiete e felici, amano e odiano quasi sempre con tutte sé stesse, perché considerano l'amore l'occasione decisiva. Cadono, come tutti, eppure resistono, come il rosmarino quando sfida il gelo dell'inverno che tenta di abbatterlo, e rinasce in primavera nonostante le cicatrici. Un romanzo in cui si intrecciano storie ordinarie ed eccezionali, che ci toccano, ci interrogano, ci commuovono. «Ho deciso di scrivere di donne perché non sono una donna. Perché ho la sensazione di conoscerle sempre poco, anche se vivo con quattro di loro. E perché è piú utile scrivere di ciò che vuoi conoscere meglio, invece di ciò che credi di conoscere già» (Matteo Bussola).
Questo libro è il percorso di una vita. Nato da un profondo rispetto della natura, del suo equilibrio e della sua grazia, rievoca grandi avvenimenti della storia e piccole vicende personali, in un flusso scandito dall'alternarsi delle stagioni. Nella memoria dell'autore ogni cosa ha lo stesso spazio, la stessa dignità; ogni frammento trova la giusta collocazione all'interno di un quadro che Rigoni Stern, "uomo di montagna", dipinge dei colori più vivi. Accanto alla campagna di Russia e alla drammatica esperienza del Lager riemergono così episodi apparentemente marginali, che tuttavia danno il senso di una vita: dai suoi giochi di ragazzo alle prime battute di caccia, da una visita alla Reggia di Versailles al "bel gallo" regalato all'amico Vittorini, che però, a mangiarlo, si rivela "selvatico e coriaceo". E poi ancora antichi riti e vecchie tradizioni, uomini e affetti di altre epoche, alberi e animali destinati ad annunciare il nuovo clima e la nuova stagione, luoghi e paesaggi forse dimenticati ma sempre carichi di storia e di ricordi: su tutto lo sguardo, a volte divertito a volte malinconico, dell'autore, testimone del suo tempo e di un passato che continua a riaffiorare.