Dove corre il confine fra «paesaggio» e «città»? E come giudicare o indirizzare gli interventi sull'uno e sull'altra, o la continua crescita delle periferie? Devono prevalere i valori estetici (un paesaggio da guardare) o quelli etici (un paesaggio da vivere)? L'architetto è il mero esecutore dei voleri del committente, anche quando vadano contro l'interesse della collettività, o deve mostrarsi attento al bene comune? Sfidare i confini difficili fra città e paesaggio, decostruire i feticci di un neomodernismo conformista (il grattacielo e la megalopoli) e le sue conseguenze (i nuovi ghetti urbani) vuol dire tentare il recupero della dimensione sociale e comunitaria dell'architettura. In un paesaggio inteso come teatro della democrazia, l'impegno etico dell'architetto può contribuire al pieno esercizio dei diritti civili. Diritto alla città, diritto alla natura, diritto alla cultura meritano questa scommessa sul nostro futuro.
L'architettura non è semplicemente qualcosa che guardiamo da lontano o di cui ci serviamo per necessità pratiche, ma il catalizzatore della nostra autentica esistenza di esseri viventi che agiscono in armonia con il mondo. Dalle scale scavate a mano nei villaggi greci alle passerelle lasciate libere di fluttuare, dalla funzione dei paraventi giapponesi al senso di libertà che caratterizza le piazze italiane, dalla magistrale manipolazione delle forme di Frank Lloyd Wright alle mutazioni poetiche di Carlo Scarpa, ogni volta abbiamo a che fare con esperienze molto diverse, di passaggio da un livello a quello successivo, ognuna delle quali influenza la nostra esperienza dello spazio. Integrando sapientemente testo e immagine, ogni capitolo si concentra su un aspetto diverso delle nostre interazioni quotidiane con l'architettura, prendendo in considerazione scale, pavimenti, percorsi, spazi interni, percezione e prospettiva, e il rapporto tra un edificio e l'ambiente che lo circonda. Un volume che in un originale confronto con poeti, filosofi e psicoanalisti ripensa le basi e la storia dell'architettura, rivolgendosi non solo agli specialisti impegnati nell'ideazione di nuovi spazi, ma soprattutto a quanti cercano di comprendere meglio il loro posto nel mondo per come è stato e viene costruito dagli uomini.
Sul tema della città dell'avvenire, Wright ha lavorato per un quarto di secolo, nel modo che gli era tipico e che accentuava quando gli argomenti gli stavano particolarmente a cuore: un modo soggettivo, partigiano, intriso di egotismo. E, per questo, ancora più affascinante, perché mescola all'utopia una buona dose di pragmatismo, alla fantasia progettuale una ricca e meditata capacità di riflessione. Se è vero, come il grande architetto ritiene, che il disordine sociale ed economico del nostro tempo sia conseguenza inevitabile dell'eccessivo accentramento, si tratterà di valorizzare in concreto l'indipendenza e il rispetto individuali, la coscienza della natura e del suo utilizzo, insieme a una più intensa percezione della bellezza. A lungo sentito come un "manifesto" per la libertà e la dignità dell'uomo, e considerato, come avviene per ogni bandiera, anche come utopistico, il messaggio di Wright si è dimostrato estremamente concreto e puntuale per chi si sia posto il problema dell'urbanistica contemporanea in termini non astratti. I piani di Wright per la "Città vivente", qui dettagliati con una sorprendente varietà di fotografie, disegni originali, schizzi e planimetrie, includono ogni attività (scuola e teatro, arterie stradali, stadi sportivi, edifici agricoli). Prefazione di Jean-Louis Cohen. Con un saggio di Bruno Zevi.
La prima edizione di questo libro usci nel dicembre 1962. Da allora "Roma moderna" si è imposto come la più organica storia urbanistica della capitale dall'Unità d'Italia agli anni Settanta. Ha avuto ristampe ed è stato coronato da un grande successo editoriale. Il periodo allora scelto come "Roma moderna" era il secolo seguente al 1870, quando il 20 settembre le truppe sabaude avevano occupato Roma. Questa edizione si estende fino al 2011 e inizia due secoli fa. Nel 1811 (27 luglio e 9 agosto) Napoleone I firma a Parigi (l'imperatore non visitò mai Roma) le prime leggi "moderne" della storia di Roma capitale del Pontificato, del Regno d'Italia e della Repubblica. A distanza di cinquant'anni Roma moderna viene riproposto in una nuova edizione riveduta e ampliata, in cui sono ricostruite le vicende e le condizioni culturali, sociali, politiche ed economiche che hanno determinato lo sviluppo problematico e appassionante di una città che continua a rincorrere una propria fisionomia urbanistica.
A oltre trent'anni di distanza, viene riproposta al pubblico l'esemplare edizione che Giovanni Previtali ed Evelina Borea dedicarono alle "Vite" di Bellori (1672): torna così a essere udibile la voce più alta della storiografia artistica dell'Europa secentesca. La postfazione di Tomaso Montanari ricompone la personalità intellettuale di Bellori, proponendo nuove chiavi di lettura della genesi, della struttura e degli scopi dell'opera. Attraverso le "Vite", Bellori voleva dimostrare a un'embrionale opinione pubblica internazionale che la storia delle immagini e degli artisti era parte costitutiva della storia della cultura europea. Con Bellori la storia dell'arte e la cultura visiva vengono promosse al rango di cultura valida in sé, non più bisognosa di legittimazione letteraria. La riforma di Annibale Carracci e la sua riconsiderazione storico-critica del Cinquecento italiano avevano costruito in artisti e intellettuali la coscienza della dignità e dell'autonomia della cultura figurativa. Forte di questa consapevolezza, Bellori dimostra una straordinaria aderenza alle opere d'arte e, grazie a un lessico rinnovato e complesso, riesce a dar conto di un nuovo linguaggio e di una nuova epoca stilistica segnando così una tappa fondamentale nel processo che da Vasari a Lanzi costruisce una storia dell'arte italiana.
Avete mai pensato alla vostra casa, all'ufficio, alla scuola, al cinema, alla trattoria, ai negozi, alle strade che frequentate? Avete riflettuto sul valore specifico dell'architettura, rispetto a quello delle altre arti figurative? Che differenza c'è tra la vostra abitazione e un tempio, o un arco di trionfo? Il giudizio che diamo su un monumento di Bramante è basato su criteri diversi da quelli su cui si fonda l'apprezzamento di un'opera di Le Corbusier? L'architettura è un'arte "astratta", oppure ha precisi contenuti? "Saper vedere l'architettura" risponde a questi interrogativi: il suo proposito è di rivelare il segreto, l'essenza spaziale dell'architettura, affinché tutti sappiano vedere gli ambienti in cui spendono tanta parte dell'esistenza.
Al pari di altri fondamentali ambiti disciplinari, la cultura architettonica odierna è esposta al rischio della progressiva perdita di memoria storica, e della mancanza di comprensione dei fenomeni. Questo volume intende essere una approfondita riflessione di una disciplina che ha sempre più un ruolo di primo piano nella società. Marco Biraghi ripensa la storia dell'architettura contemporanea non solo per aggiornarla rispetto alle altre opere di questo genere - inevitabilmente invecchiate dal punto di vista del metodo oltre che cronologico - ma sopratutto per leggere i molteplici aspetti che caratterizzano il secondo dopoguerra, rispettandone la complessità, e ponendo la materia sotto una precisa angolazione critica.
Al pari di altri fondamentali ambiti disciplinari, la cultura architettonica odierna è esposta al rischio della progressiva perdita di memoria storica, e della mancanza di comprensione dei fenomeni. Questo volume intende essere una approfondita riflessione di una disciplina che ha sempre più un ruolo di primo piano nella società. Marco Biraghi ripensa la storia dell'architettura contemporanea non solo per aggiornarla rispetto alle altre opere di questo genere - inevitabilmente invecchiate dal punto di vista del metodo oltre che cronologico - ma sopratutto per leggere i molteplici aspetti che caratterizzano il secondo dopoguerra, rispettandone la complessità, e ponendo la materia sotto una precisa angolazione critica.
Questa edizione dell'opera di Zevi presenta aggiornamenti riguardanti l'ultimo quarantennio e una radicale revisione filologica e critica delle vicende che, prendendo le mosse dagli "architetti della rivoluzione" francese, sfociano nelle grandi figure di Wright, Le Corbusier, Gropius, Mies van der Rohe, Mendelsohn, Aalto. Per la vastità del materiale illustrativo, questa storia dell'architettura potrebbe essere considerata una vera e propria enciclopedia dell'architettura moderna, anche perché include l'intera opera urbanistica, dai grandiosi lavori ottocenteschi di Parigi, Vienna e Madrid alle "New Towns" britanniche e scandinave, ai progetti della città del 2000.
La storia dell'architettura medievale è condizionata da una visione accademica ed estetizzante, secondo cui gli edifici sono prodotti ideali di organizzazione dello spazio. Ogni opera stabilisce relazioni complesse con l'ambiente che la circonda, interagisce con la micro e con la grande storia. Il saggio di Carlo Tosco è una ricerca orientata a comprendere in modo corretto non solo l'architettura ma la storia in generale. Dalla composizione di un muro alla struttura dell'intera fabbrica, l'edificio con il suo cantiere innesca processi nuovi all'interno della società (manodopera, committenza, valore degli immobili).
L'identità dell'architettura europea esiste veramente? E, soprattutto, è ancora data un'idea di Europa o sarebbe più giusto parlare di cultura occidentale? E infine: c'è ancora spazio per la memoria collettiva, in un mondo dove la realtà si dissolve in immagine? La risposta di Vittorio Gregotti.