Vi è già una proliferazione romanzesca di personaggi femminili che si travestono da uomini spesso per una naturale tendenza sessuale. Queste invece sono biografie di donne che si travestono da uomini solo per ottenere diritti a loro negati proprio in quanto donne o quanto meno perché oggetti di discriminazione da parte della società nella quale hanno vissuto o si sono trovate. Travestimenti che se scoperti, il più delle volte avrebbero comportato pene severissime e spesso addirittura anche una condanna a morte. Donne quindi che coraggiosamente hanno rischiato la vita per godere di un sacrosanto diritto naturale, a loro però negato da consuetudini o leggi discriminatorie, ma che non raramente la loro vicenda costituisce il presupposto per il futuro riconoscimento del diritto a tutte le donne.
Uno studio attento al piano delle configurazioni spaziali nell'opera dello scrittore siciliano Vitaliano Brancati è in grado di dimostrare come alla parabola intellettuale che portò alla definitiva "conquista di Catania" come luogo privilegiato della narrazione corrispose una precisa presa di posizione ideologica da parte dello scrittore nei confronti del suo tempo. In romanzi come "Gli anni perduti" e "Don Giovanni in Sicilia", la città di Catania catalizzatore e amplificatore di grandi tensioni novecentesche quali la crisi della categoria temporale, fine del potenziale conoscitivo del viaggio, crisi della ragione, decadenza dello spirito nella civiltà occidentale è una città-casa, un luogo heimlich, intimo e familiare, in cui la noia e la malinconia dei personaggi sono il risvolto doloroso della loro intelligenza. Ma quando si passa dal "Don Giovanni in Sicilia" (1941) a "Il bell'Antonio" (1949), ci si accorge che qualcosa è cambiato all'interno di questa tramatura spaziale. Veniamo messi di fronte ad un approfondimento della crisi intellettuale ed esistenziale dello scrittore, in direzione della irredimibile negatività che costituirà la cifra di "Paolo il caldo".