Roma, 28 luglio 1981. L'intervista rilasciata da Enrico Berlinguer a Eugenio Scalfari contiene una scudisciata che il giorno dopo farà sobbalzare i lettori della Repubblica e mezza classe politica italiana: "I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela". Nessun leader, nel tempo della Prima Repubblica, con l'esclusione dell'antisistema Marco Pannella, aveva mai osato tanto. Sono passati trent'anni da quel giorno. Trent'anni di questione morale. Trent'anni di rabbia e di oblio. È stato esattamente trent'anni fa, che in un'estate calda Enrico Berlinguer ha coniato, in un'intervista che sarebbe entrata in tutti gli archivi, questa locuzione destinata a raccontare l'Italia di allora, quella di Mani pulite (che sarebbe arrivata undici anni più tardi) e, purtroppo, anche quella che stiamo vivendo, nel tempo dei pizzini, degli appalti facili, della P3 e della P4. Prefazione di Luca Telese.
Contiene due capitoli d’inchiesta sulla gestione dei fondi della Lega da Tangentopoli a oggi.
«Era una lega di cuore, ma come arriva questa prima mazzetta qualcosa si rompe. Non possiamo pensarla solo come una mazzetta, quella prima tangente va letta come un’induzione al peccato. Vi stupirà questa mia difesa della Lega di allora, ma l’ho vissuta in diretta, perché io me lo ricordo davanti a me il Bossi…»
Antonio Di Pietro
«A me non fa né caldo né freddo se la Lega dovrà andare avanti da sola senza Berlusconi, anzi. Saremo più liberi di scegliere. Ma questo lo vedremo poi. Adesso l’obiettivo è tenere Verona»
Flavio Tosi
Il libro
La Lega quasi per due decenni è stata il sale di uno scombussolamento e di un riallineamento di molte convinzioni, più proficua e di impatto sulla politica italiana dello stesso berlusconismo. Come, quando, perché questa diversità leghista è cominciata a svanire?
[dalla prefazione di Lucia Annunziata]
Un Caimano che si ritira – momentaneamente - dalla lotta. Un re senza il suo più potente alleato, minato dalla malattia, chiuso in un cerchio magico guidato dalla sua regina e composta da consiglieri che non sempre agiscono per il suo bene.
E nelle verdi valli padane il suo più fedele scudiero che va alla conquista di terre, paesi e militanti, un esercito che non va disperso, ma tenuto unito. Per realizzare quello che al vecchio re non è riuscito fino a quel momento: un Nord davvero libero e potente. I Barbari sognanti attendono, non vedono l’ora di incrociare le armi. E di vincere. Si può raccontare come una saga celtica la storia dell’ultimo anno della Lega. Una saga che spesso sostituisce ai toni epici quelli scurrili del re Bossi in piena decadenza, e a sanguinose battaglie scambi velenosi di battute e invettive che dalle basi leghiste rimbalzano su stampa e tv. E invece dell’amore di una principessa, qui in palio ci sono non solo poltrone, denaro e potere ma l’idea stessa di un’altra Italia, di un altro Nord. Per il partito italiano più longevo è giunto il momento di un cambio della guardia, ma nn è un passaggio facile e gli esiti sono imprevedibili.
E, soprattutto, non sarà indolore.
Nel dicembre del 1983 "l'Unità" dedica uno speciale, a cura di Ferdinando Adornato, al temuto 1984. L'anno carico di oscuri presagi del romanzo di George Orwell, infatti, è alle porte: intellettuali, artisti e scrittori si interrogano sulla profezia orwelliana che la diffusione dei personal computer e dell'informatica sembrano poter concretizzare. Ad aprire lo speciale una lunga intervista a Enrico Berlinguer, una delle ultime. Il leader del Partito comunista italiano afferma che Orwell si sbagliava: nel mondo un numero sempre maggiore di individui si è liberato e, dal 1948, si è assistito "a un generale processo mondiale di elevazione culturale degli uomini". I nuovi mezzi a disposizione potranno far avanzare l'umanità in questo percorso di realizzazione degli individui. Nessuna paura del futuro, quindi, ma al contrario la visione di un mondo in cui il "sol dell'avvenire" sarà quello che alimenta le cellule fotovoltaiche, per un pianeta più sano e libero dall' incubo atomico.
"Re Giorgio": così, il 3 dicembre 2011, dopo il varo del governo Monti, il "New York Times" definisce il presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano. In quei giorni concitati di crisi economica e di governo, il capo dello Stato è infatti "emerso come Tanti-Berlusconi, e con la moglie Clio ha incarnato un'Italia diversa, un'Italia di virtù civiche". Nella sua biografia politica, il prudente e diplomatico Napolitano è stato varie volte "primo": il primo ad aver avuto ragione sul tema del riformismo (lo dice Fassino nel 2001), il primo ex comunista nominato ministro dell'Interno (1996), il primo ex comunista eletto al Quirinale. E il primo esponente del Pci a essere ricevuto in pompa magna negli Stati Uniti. Questo libro ne ripercorre la crescita politica, il rapporto con il partito, i suoi esponenti (da Giorgio Amendola a Enrico Berlinguer), la sua storia e le sue correnti - di cui egli ha sempre incarnato quella riformista e moderata - ma anche con la sua Napoli e con l'amatissima moglie Clio, compagna nella vita e negli ideali. Per darci un ritratto veridico quanto appassionato dell'uomo che, Costituzione alla mano, ha saputo tenere le redini del Paese.
Non c'è partito, schieramento o personaggio politico che ne sia immune: quello di dire le bugie in Italia è un virus più che un vizio, un modo di essere più che un'abitudine. Nell'epoca dei mezzi di comunicazione di massa e dei talk show, l'argomentazione ha ceduto il passo alla declamazione, e i fatti sono stati sostituiti dalle opinioni. Non importa cosa si dice: l'importante è dirlo forte, in una sorta di gara a chi la spara più grossa. "Bugiardi" non ha la pretesa di raccogliere tutte le menzogne e le false promesse dei politici di turno - del resto, sarebbe un'impresa impossibile - ma ce ne offre un'antologia ricca e aggiornata in cui, con tagliente ironia e impeccabile imparzialità, l'autrice smaschera l'ipocrisia della Casta, che troppo spesso crede di poter prendere in giro impunemente i propri elettori.
Dal 1986 a oggi, questo è l'arco temporale attraversato dai saggi apparsi su "MicroMega" qui raccolti, il mondo è cambiato. Allora il Muro di Berlino era ancora in piedi, oggi il mondo è pienamente globalizzato. Anche l'Italia si è trasformata: dimenticata la Milano da bere e dissolti gli apparenti fasti del craxismo, il Paese vive oggi una gravissima crisi economica e gli ultimi devastanti sussulti del berlusconismo. Dal Caf al bipolarismo si è consumata la parabola di un regime partitocratico che rischia di lasciare il Paese in macerie, morali e materiali. Non sarà sufficiente l'uscita di scena del dominatore dell'agone politico degli ultimi vent'anni per costituire una sana democrazia: occorre liberare l'Italia dalle cricche e dai criminali (in doppiopetto) che ormai dominano quasi ovunque. Non dai partiti può venire questa liberazione, bensì dall'inventiva politica dei movimenti della società civile.
Figlio di un venditore ambulante, professore universitario, socialista di formazione, Renato Brunetta è l'uomo di governo che ha invitato i laureati disoccupati ad andare a scaricare cassette di frutta, che ha mandato a morire ammazzata quella "sinistra per male" che non gli piaceva, che ha dichiarato guerra ai precari, ai professori, agli studenti, agli impiegati, ai bidelli, insomma a molti di quegli elettori che pure lo avevano votato. Francesco Merlo racconta in un saggio introduttivo la storia di Brunetta come "la storia di un rancore" e ripercorre, attraverso una raccolta di articoli, lettere e corsivi allegramente polemici (spesso corredati dalle repliche dello stesso Brunetta), l'epopea, le altezze e le bassezze di uno degli uomini politici più discussi degli ultimi anni. E in appendice una sorpresa: l'estratto di un elogio dei brevilinei scritto da Amintore Fanfani nel 1936, quando Brunetta non era ancora nato.
Di quale virtù sia provvisto Marco Travaglio lo sappiamo tutti: la memoria, difesa da un archivio che probabilmente disegna l’autoritratto della storia contemporanea italiana meglio di quanto facciano i ritratti canonici, degli storiografi e dei giornalisti di cronaca. Quello che fa la differenza in Travaglio è che tale archivio è diventato metodo. Uno stile giornalistico che contrappone alla fuggevolezza della notizia, dell’opinione e della dichiarazione, la sedimentazione dei fatti. Travaglio riconsegna il giornalismo alla sua funzione di contropotere, fa parlare l’Italia come l’Italia non ama parlare e, se ancora servisse sottolinearlo, non fa sconti né a destra, né a sinistra. Con Travaglio torniamo a credere che non solo la storia non è finita ma la si può ancora fare, e quindi chiarire e depurare – riconsegnare, intonsa, alla sua attualità – attraverso quel grande lavacro che sono i libri.
ISBN 978887424737 | Pagine 105 | € 10
«Quando do una notizia, non voglio par condicio tra i piedi. O si è mai visto un articolo di giornale affiancato da un altro che dice il contrario? O una vignetta di Forattini accanto a una di Vauro che dice il contrario?»
«Senti Tremonti e ti dice che c’è un certo Pil. Senti Bersani e ti dice che il Pil è un altro. Ma insomma, ci sarà pur qualcuno che mi dice qual è il Pil vero? O dobbiamo credere che l’Italia, caso unico al mondo, abbia un Pil di destra e un Pil di sinistra?»
«Per gli italiani l’illegalità è un po’ come la droga: una modica quantità per uso personale è generalmente ammessa»
Le regole non scritte, i meccanismi profondi, le dinamiche eterne del gioco: per la prima volta un protagonista indiscusso della vita pubblica italiana racconta senza pudore né ipocrisia cos'è e come funziona la politica. Sapientemente indirizzato dal giornalista Andrea Cangini, il presidente Francesco Cossiga mette a nudo il potere e con esso l'uomo che lo incarna. Svela l'arcano, dice l'indicibile, strappa la maschera alla realtà con l'ironia e l'arguzia di chi ha cavalcato lungo le strade impervie della Prima e della Seconda repubblica. Aneddoti, riflessioni, rimandi storici, vere e proprie rivelazioni accompagnano il lettore alla scoperta di verità "scandalose" fino a oggi mai rivelate con tanta schiettezza. La natura del potere, il ruolo del denaro, l'uso dei servizi segreti, la violenza, la guerra, le massonerie, i rapporti tra stati, la religione, il Vaticano, la verità, la finzione, i complotti, il caso, il lato di tenebra dell'uomo e del politico. Il trionfo e la caduta, la vita e la morte.
« D'accordo, non è un trattato di alta gastronomia. Ma se volete mangiare la pasta alla Norma come la fa Ignazio La Russa, la pasta aglio, olio e peperoncino alla maniera di Renato Brunetta, o i tortelli di zucca secondo lo stile di Travaglio, non potete fare a meno di questo libretto.
Qualcuno potrebbe dire: «Che c’entra Marco Travaglio? Mica è un politico».
L’abbiamo invitato perché è l’uomo che sta cuocendo a fuoco lento la politica della seconda Repubblica.
Si potrebbe anche dire: «Braccia rubate alla gastronomia». Noi ci limitiamo a consegnare alla storia un documento inquietante ma di straordinaria rilevanza sociologica».
Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro
Durante l’estate del 2009, Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro – ribattezzati da Francesco Cossiga (alias DjK) Carciofo e Cipolla – vanno in onda su Radio2 con Un giorno da pecora, «un talk show senza livrea, non paludato, dal ritmo incessante, senza regole, senza riverenza, senza timore», che ospita uomini politici, capitani di industria, star televisive e insospettabili e stravaganti opinionisti. Per mettere fine alla “crisi di fame” del Paese pensano bene di utilizzare come sigla finale del programma una ricetta. Una ricetta vera, proposta da cinquanta politici italiani, che tutte le sere intorno alle 19.30 danno il loro consiglio culinario agli ascoltatori parlando dei loro piatti preferiti.
Claudio Sabelli Fioretti è stato direttore di «Abc», «PM», «Sette», «Cuore», «Gente viaggi», redattore capo di «Panorama», inviato dell’«Europeo» e del «Secolo XIX», caposervizio di «Repubblica» e di «Tempo illustrato». Dopo aver scritto centinaia di interviste per il Magazine del «Corriere della Sera», attualmente scrive per «La Stampa». Per Aliberti editore ha pubblicato “La mia vita è come un blog” (2007), “Dimmi Dammi Fammi” (2009) e i libri intervista Grillini (2007), Cossiga (2007), Bondi (2008), Travaglio (2008 e 2009), “Mogol” con Giorgio Lauro (2008), Mussolini (2009). Insieme a Giorgio Lauro ha firmato, per Chiarelettere, “A piedi”. Ha scritto anche “Spadolini, il potere della volontà” (Sperling&Kupfer), “C’era una volta la provincia” (Sperling&Kupfer), “Gigliola Guerinoni” (Mani), “Voltagabbana” (Marsilio).
Giorgio Lauro ha cominciato a Radio Popolare (Bar Sport) e poi si è affermato come conduttore radiofonico a Radio 2 (prima a Caterpillar e poi a Catersport). Per due stagioni ha condotto con Flavia Cercato “La tv che balla”. Ha scritto “I’m back”, biografia di Michael Jordan, “Pebbacco o devi morire”, insieme a Sergio Ferrentino e Marco Ardemagni (Comix), e “A piedi”, insieme a Claudio Sabelli Fioretti (Chiarelettere). Per Aliberti ha pubblicato “Mogol” con Claudio Sabelli Fioretti.
Alice Gioia ha diretto «Inchiostro», il giornale degli studenti dell’Università di Pavia. I suoi racconti sono stati premiati ai concorsi letterari, tra gli altri, “Subway Letteratura”, “Lingua Madre” (Fiera del libro di Torino) e “Giancarlo Siani: una storia ancora da raccontare” (Festival internazionale del giornalismo di Perugia). Attualmente lavora con Sabelli Fioretti e Lauro a Un giorno da pecora.
Diego Giuliani, giornalista, ha abbandonato Un giorno da pecora recentemente per trasferirsi a Lione dove lavora per Euronews. La sua passione è il cinema ed è coautore, insieme a Sabrina Ramacci, del volume “Hollywood criminale” (Newton & Compton).
A metà fra biografia all’americana e analisi sociopolitica, Guzzanti vs Berlusconi
mostra l’uomo pubblico e quello privato, ne mette in luce la naïveté popolaresca,
l’indole rampante e sfrontata, ne coglie i vizi, i tic e le idiosincrasie, fino a far
emergere gli istinti, la mentalità e le idee che hanno orientato e trasformato
profondamente la società italiana dell’ultimo quindicennio.
Chi è davvero Silvio Berlusconi? “L’uomo del fare”, come si autodefinisce, “l’uomo dei miracoli”, come viene descritto dagli adoratori, oppure il male in persona, come sostengono gli antiberlusconiani duri e puri? Per decidere da che parte stare, senza fingere di non stare da nessuna parte, ecco una biografia del Cavaliere per nulla compiacente, anzi dissacrante e a tratti feroce, ma senza la solita litania di accuse.
Paolo Guzzanti, uomo di grandi passioni, è una delle menti più lucide e anticonformiste del giornalismo italiano. Tutti sanno del suo “innamoramento” per il Cavaliere, nel quale ha creduto invano di riconoscere il possibile leader di una rivoluzione liberale italiana. Già in tempi non sospetti il giornalista aveva denunciato la progressiva ibernazione del Parlamento, la mancanza di democrazia interna al partito e la selezione del personale politico secondo criteri di sex appeal.
Uscito dall’orbita del Cavaliere, Guzzanti ne restituisce un ritratto molto ravvicinato, personale e indiscreto, e ripercorre anche la sua storia familiare attraverso due lunghe interviste esclusive, entrambe inedite, a Berlusconi e alla madre Rosa.
Due testimonianze che rivelano una personalità che non ha mai sopportato “lacci e lacciuoli”, che si trattasse di soci, partner o superiori, o delle istituzioni con le loro regole.
La “storia italiana” del Cavaliere mostra anche un popolo pericolosamente diviso fra le due sindromi del berlusconismo e dell’antiberlusconismo, in uno stato di guerra civile mentale e permanente.
L’“autobiografia” di Berlusconi si apre con un Silvio enfant prodige, capace di fare miracoli fin da bambino, quando mungeva le vacche per sostenere la famiglia durante la guerra, e prosegue con l’episodio in cui, già adulto e a capo di varie società, ricevette un sonoro ceffone dalla madre. Poi il Milan, naturalmente, e il «Giornale» di Montanelli, passando per l’inossidabile amicizia con Confalonieri, fino all’ascesa come costruttore e il “miracolo urbanistico” di Milano 2. Notevole l’aneddoto del giovane Berlusconi, studente a Parigi, che si esibisce nei locali notturni e convive con una stripteseause, finché il padre Luigi non va a riprenderselo. La lunga intervista inedita è dunque il fil rouge di questo irriverente libro, che analizza la fenomenologia del Cavaliere dalla nascita del Biscione alla “guerra di Segrate”, passando per la discesa in campo e le molteplici grane giudiziarie, senza rinunciare a un doveroso excursus sulla mignottocrazia (termine coniato proprio da Guzzanti).
Paolo Guzzanti (Roma, 1940) è giornalista professionista, scrittore, conduttore televisivo e senatore. È stato inviato dell’«Avanti!», redattore capo e inviato speciale di «Repubblica», e della «Stampa» negli Stati Uniti. Ha lavorato al «Giornale» ed è stato editorialista di «Panorama». Eletto al Senato, ha presieduto dal 2002 al 2006 la Commissione d’inchiesta sul dossier Mitrokhin. Da questa esperienza è nato il libro-denuncia Il mio agente Sasha, uscito per Aliberti nel maggio 2009. Tra le sue pubblicazioni, I presidenti della Repubblica da De Nicola a Cossiga (Laterza, 1992), L’Italia del 2000 (La Stampa, 1996), Ustica, verità svelata (Bietti, 1999), Abbasso la dieta mediterranea (Aliberti, 2009).
Luglio 1992, la Sicilia è dilaniata dalle stragi. In città c'è un poliziotto che ha lavorato con Falcone e sono tre anni che si occupa dei misteri di Palermo. Si chiama Gioacchino Genchi. È a lui che chiedono di scoprire qualcosa sulle agende elettroniche del giudice. E di capire dai telefoni se qualcuno spiasse Paolo Borsellino. E lui qualcosa scopre. Scova file cancellati e li ritrova. Poi ipotizza una pista per via D'Amelio: date, nomi, luoghi. Diventa vice del gruppo Falcone-Borsellino. Ma quell'indagine non la finirà mai. Una mattina all'improvviso sbatte la porta. E se ne va. Da allora non ne ha mai parlato. Finché approda a Catanzaro, per la Why Not di Luigi de Magistris. Una mattina accende il pc, guarda i tabulati telefonici. E all'improvviso sbianca. Ma non fa in tempo a stendere una relazione: revocato l'incarico, indagato e perquisito, sequestrato l'«archivio» con tutti i dati fin dal 1992. Attaccato da ogni parte politica. Sospeso dalla polizia. E altrove quattro magistrati perdono il posto. E allora cosa c'era in Why Not, cosa c'era in quei tabulati? C'erano giudici a contatto con boss, magistrati amici degli indagati e dei loro avvocati. Ma c'era soprattutto un intreccio telefonico economico-politico-giudiziario che da Catanzaro saliva a Roma. E ora che per difendersi ha depositato in tribunale le sue scoperte, può finalmente raccontarlo: perché lasciò allora, perché è stato fermato adesso. Con nomi, date e luoghi.