Nel 2009 un gruppo di economisti capitanati dai premi Nobel Joseph Stiglitz e Amartya Sen e dal prestigioso economista francese Jean-Paul Fitoussi aveva scritto un rapporto che metteva in dubbio il Prodotto interno lordo (Pil) come strumento di misura del progresso e del benessere. Ciò ha dato il via a una discussione globale in relazione al Pil e a un importante movimento tra studiosi, decisori politici e attivisti, per cambiare il modo con cui misuriamo le nostre economie. Ora con "Misurare ciò che conta" Stiglitz, Fitoussi e Martine Durand - ricapitolando le riflessioni di un comitato di esperti sulla misurazione della performance economica e del processo sociale, promosso dall'Ocse - propongono una nuova agenda, «oltre il Pil». Il volume offre una panoramica di tale movimento globale negli ultimi dieci anni e propone un nuovo armamentario di metriche per stabilire la salute di una società, incluse misure sulla diseguaglianza e la vulnerabilità economica, sulla sostenibilità ambientale e su come le persone percepiscono la propria vita.
Il consolidamento del potere del mercato specie nella finanza e nell'industria tecnologica ha portato a un'esplosione della disuguaglianza. La situazione è drammatica: poche corporations dominano interi settori dell'economia, facendo impennare la disuguaglianza e rallentando la crescita. La finanza ha scritto da sola le proprie regole; le compagnie high-tech hanno accumulato dati personali senza controllo e il governo americano ha negoziato accordi commerciali che non rappresentano gli interessi dei lavoratori. Troppe persone si sono arricchite sfruttando gli altri invece che creando ricchezza. Le vere fonti della ricchezza e della crescita, per Stiglitz, sono gli standard di vita, basati su apprendimento, progresso della scienza e tecnologia e le regole del diritto. Gli attacchi al sistema giudiziario, universitario e delle comunicazioni danneggiano le medesime istituzioni che da sempre fondano il potere economico e la democrazia. Tuttavia, per quanto ci si possa sentire indifesi oggi, non siamo, tutti noi, senza potere. In effetti, le soluzioni economiche sono spesso chiare. Dobbiamo sfruttare i benefici del mercato ma nello stesso tempo domare i suoi eccessi, assicurandoci che lavorino per noi cittadini - e non contro di noi. Se un numero sufficiente di persone sosterrà l'agenda per il cambiamento delineata in questo libro, può non essere troppo tardi per creare un capitalismo progressista che realizzi una prosperità condivisa.
Il consolidamento del potere del mercato specie nella finanza e nell'industria tecnologica ha portato a un'esplosione della disuguaglianza. La situazione è drammatica: poche corporations dominano interi settori dell'economia, facendo impennare la disuguaglianza e rallentando la crescita. La finanza ha scritto da sola le proprie regole; le compagnie high-tech hanno accumulato dati personali senza controllo e il governo americano ha negoziato accordi commerciali che non rappresentano gli interessi dei lavoratori. Troppe persone si sono arricchite sfruttando gli altri invece che creando ricchezza. Le vere fonti della ricchezza e della crescita, per Stiglitz, sono gli standard di vita, basati su apprendimento, progresso della scienza e tecnologia e le regole del diritto. Gli attacchi al sistema giudiziario, universitario e delle comunicazioni danneggiano le medesime istituzioni che da sempre fondano il potere economico e la democrazia. Tuttavia, per quanto ci si possa sentire indifesi oggi, non siamo, tutti noi, senza potere. In effetti, le soluzioni economiche sono spesso chiare. Dobbiamo sfruttare i benefici del mercato ma nello stesso tempo domare i suoi eccessi, assicurandoci che lavorino per noi cittadini - e non contro di noi. Se un numero sufficiente di persone sosterrà l'agenda per il cambiamento delineata in questo libro, può non essere troppo tardi per creare un capitalismo progressista che realizzi una prosperità condivisa.
L'Europa può ancora credere in una moneta unica? Si può uscire dallo stato di paralisi che sta vivendo il Vecchio Continente? L'euro si può salvare? Dopo aver spiegato come le misure promosse in questi anni, specie nei confronti dei paesi in crisi, abbiano ulteriormente aumentato il divario che separa le economie più forti da quelle più deboli, Stiglitz delinea tre possibili vie di uscita: riforme fondamentali e politiche economiche da imporre ai paesi membri; un abbandono controllato dell'esperimento dell'euro come valuta unica; oppure un coraggioso nuovo sistema definito «l'euro flessibile». Una spietata requisitoria contro l'Europa che ha adottato una moneta comune senza approntare le istituzioni per sostenerla, promuovendo un'integrazione economica che corre più veloce di quella politica.
Perché la globalizzazione ha fallito la sua missione non solo nei paesi in via di sviluppo, ma anche in Europa e negli Stati Uniti? Che cosa non ha funzionato nella gestione di un fenomeno che riguarda tutti noi? Perché ormai siamo tutti più poveri? Sin dalla sua prima pubblicazione, La globalizzazione e i suoi oppositori è divenuto un testo di riferimento imprescindibile nel dibattito internazionale sul tema. Dopo oltre quindici anni il panorama politico, sociale ed economico è completamente mutato, ma le istituzioni internazionali non sono riuscite a risolvere i problemi creati dalla globalizzazione. E ora a subirne i danni sono anche le economie del mondo avanzato. Analizzando le nuove disuguaglianze sociali e la progressiva scomparsa del ceto medio, il declino industriale e la conseguente perdita di posti di lavoro, il protezionismo e l'ascesa destabilizzante di Donald Trump negli Stati Uniti, Stiglitz ribadisce in questa nuova edizione l'urgente necessità di mettere in campo alternative utili per un sistema globale più equilibrato e a vantaggio di tutti.
Questo libro è un appello ad affrontare la disuguaglianza economica come una questione politica e morale, con l'obiettivo di giungere a una società piú prospera e giusta. Raccogliendo i suoi scritti per giornali non accademici, tra cui il "New York Times" e "Vanity Fair", il Nobel per l'Economia Joseph Stiglitz descrive la disuguaglianza americana: le sue dimensioni, le sue cause, e le conseguenze per gli Stati Uniti e per il mondo. Stiglitz si concentra sulle politiche irresponsabili - deregulation, taglio delle tasse per l'uno per cento - che hanno lasciato indietro un grande numero di cittadini trasformando il sogno americano in un mito sempre piú inarrivabile. Il libro suggerisce soluzioni concrete: aumentare le tasse per le corporations e per i piú ricchi; offrire maggior sostegno ai bambini piú disagiati; investire in istruzione, tecnologia e infrastrutture; aiutare i proprietari di case invece che le banche. E, soprattutto riportare l'economia alla piena occupazione. La nostra scelta non deve essere tra crescita e giustizia: con politiche pubbliche adeguate, possiamo scegliere entrambe.
Il livello di disuguaglianza del reddito in America raggiunge oggi picchi mai visti da prima della Grande depressione. Negli anni del boom, precedenti alla crisi finanziaria del 2008, l'1 per cento dei cittadini si è impadronito di più del 65 per cento dei guadagni del reddito nazionale totale. E tuttavia, mentre il Pil cresceva, la maggior parte dei cittadini vedeva erodere il proprio tenore di vita. Nel 2010, mentre la nazione lottava per superare una profonda recessione, l'1 per cento guadagnava il 93 per cento del reddito aggiuntivo creato nella cosiddetta "ripresa". Mentre coloro che sono in alto continuano a godere della migliore assistenza sanitaria, della migliore educazione e dei benefici della ricchezza, essi spesso non riescono a comprendere che, come sottolinea l'autore, "il loro destino è collegato a quello dell'altro 99 per cento". In questo volume Stiglitz unisce la sua formidabile visione economica a un appassionato richiamo affinché l'America torni agli ideali economici e politici che l'hanno resa grande. La disuguaglianza infatti non nasce nel vuoto. E il risultato dell'interazione di forze di mercato e di manovre della politica. Grazie a essa l'America è sempre meno la terra delle grandi opportunità e sempre meno è in grado di rispondere alle aspirazioni e ai bisogni dei suoi cittadini. Ma non deve necessariamente essere cosi.
Se c'è un economista che ha sempre guardato ai mercati finanziari e alla globalizzazione con un occhio critico, questo è Joseph Stiglitz: premio Nobel per l'economia nel 2001, nello scatenarsi della crisi economica globale di questi anni Stiglitz ha trovato conferma di molti degli avvertimenti che, spesso inascoltato, ha per decenni rivolto alle istituzioni, ai politici e ai suoi colleghi economisti. Fino a poco tempo fa il mercato globale era considerato da molti ormai immune da instabilità e perfettamente in grado di gestire qualunque rischio finanziario: in questo contesto, la politica sbagliata del governo americano e il comportamento senza scrupoli di molti individui, ma anche di intere banche e società finanziarie, hanno determinato la crisi del credito negli Stati Uniti, che si è poi rapidamente estesa a tutto il mondo attraverso i canali della finanza globale, spedendo le economie di tutto il mondo in caduta libera. Con questa analisi sferzante Stiglitz interviene nel dibattito internazionale che si è aperto non solo sugli errori del governo americano, ma anche sulla solidità del sistema finanziario globale, se non sulla stabilità stessa del capitalismo come forma di organizzazione dell'economia.
Il livello di disuguaglianza del reddito in America raggiunge oggi picchi mai visti da prima della Grande depressione. Negli anni del boom, precedenti alla crisi finanziaria del 2008, l'1 per cento dei cittadini si è impadronito di più del 65 per cento dei guadagni del reddito nazionale totale. E tuttavia, mentre il Pil cresceva, la maggior parte dei cittadini vedeva erodere il proprio tenore di vita. Nel 2010, mentre la nazione lottava per superare una profonda recessione, l'1 per cento guadagnava il 93 per cento del reddito aggiuntivo creato nella cosiddetta "ripresa". Mentre coloro che sono in alto continuano a godere della migliore assistenza sanitaria, della migliore educazione e dei benefici della ricchezza, essi spesso non riescono a comprendere che, come sottolinea l'autore, "il loro destino è collegato a quello dell'altro 99 per cento". In questo volume Stiglitz unisce la sua formidabile visione economica a un appassionato richiamo affinché l'America torni agli ideali economici e politici che l'hanno resa grande. La disuguaglianza infatti non nasce nel vuoto. E il risultato dell'interazione di forze di mercato e di manovre della politica. Grazie a essa l'America è sempre meno la terra delle grandi opportunità e sempre meno è in grado di rispondere alle aspirazioni e ai bisogni dei suoi cittadini. Ma non deve necessariamente essere cosi.
La globalizzazione non è un male e va abbracciata. A sostenere questa tesi è Stiglitz, autorevole sostenitore della critica alla globalizzazione liberista. Si tratta forse di una ritrattazione del Premio Nobel? In realtà, è il frutto di una constatazione: se la globalizzazione è un processo inevitabile, è possibile farla funzionare in direzione del benessere dei paesi più arretrati e dei cittadini dei paesi avanzati attraverso un mix di politiche di solidarietà e di intervento delle istituzioni internazionali.
La globalizzazione non è un male e va abbracciata. A sostenere questa tesi è Stiglitz, autorevole sostenitore della critica alla globalizzazione liberista. Si tratta forse di una ritrattazione del Premio Nobel? In realtà, è il frutto di una constatazione: se la globalizzazione è un processo inevitabile, è possibile farla funzionare in direzione del benessere dei paesi più arretrati e dei cittadini dei paesi avanzati attraverso un mix di politiche di solidarietà e di intervento delle istituzioni internazionali.
Il vincitore del Premio Nobel per l'economia nel 2001, consigliere di Bill Clinton durante il primo mandato, e vicepresidente della Banca Mondiale dal 1997 al 2000, affronta il tema della globalizzazione cercando di rispondere ad alcune domande: cosa s'intende per globalizzazione? Quali sono i presupposti, Quali gli effetti e quali i danni? Chi sostiene la globalizzazione, chi la governa e chi la contesta?