"Se leggere è un vizio, non che scrivere sia una gran virtù. Un romanzo o un volumetto di versi sono merci non richieste. Allora, perché tanto scrivere invano? Si diceva in tempo di grandi ottimismi che scrivere è un'impellenza, che chi scrive è obbligato a scrivere da un prepotente moto interiore. Può darsi; quantunque sulla ambigua prepotenza dei moti interiori ci sarebbe molto da discutere". In ogni caso Vittorio Sermonti da più di sessant'anni è anagraficamente uno scrittore: cioè "uno degli happy few che debbono la propria miseria all'ostinato esercizio della scrittura". Qui raccoglie, ordina, disordina il frutto multiforme del suo vizio, che non si limita a riflettere sui meccanismi segreti della poesia, ma si avventura a intervistare Marco Aurelio e Giulio Cesare, a redigere un paio di libretti d'opera, a tradurre in versi due classici di teatro, a scrivere racconti, epigrammi, aforismi e una tragica cronistoria del terremoto dell'Irpinia. La voce è sempre la sua, l'acume è inconfondibile, l'intelligenza è quella colta e libera di chi sta al mondo da ottantasei anni. Un percorso sorprendente a ogni pagina, condotto "con la perseveranza, con l'abnegazione, con l'inconfessabile voluttà" con cui si coltivano i vizi più radicali.
È un luogo comune che l'ultima tratta del pellegrinaggio oltremondano di Dante sia la più difficile e la più tediosa. "Come scongiurare che l'insofferenza concepita a scuola per la terza cantica della Commedia si perpetui lungo tutta la vita degli ex alunni, attutita appena dalle montanti ovatte dell'oblio?" Raccontando - come fa Vittorio Sermonti -la passione mentale e la sbalorditiva bellezza che distillano "le supreme pagine di poesia del più gran libro del millennio scorso": la passione mentale che fa dire a Dante ciò che non sa né può dire, la bellezza di una lingua "trasumanata" per esprimere l'inenarrabile, l'immemorabile, l'incomprensibile. Sermonti ci guida attraverso il portentoso happening di beati e di segni sacri allestito per Dante, astronauta mistico. È un viaggio nella luce e nel mistero: il mistero di un antico poeta di Firenze che sostiene di essere salito in carne e ossa nell'alto dei cieli, di essere stato contemporaneo di Dio nell'armoniosa unicità dell'Essere, di aver visto "la nostra effige" nella "luce etterna", e che, tornato sulla terra, prende carta e penna e riesce bene o male a trascriverla, quell'esperienza, a emendamento e salvazione di noi poveri fratelli futuri, in una lingua futura, a chiusa del libro sacro e comico che comincia: "Nel mezzo del cammin di nostra vita". Revisione di Cesare Segre.
Nell'estate del 1940, un ragazzo di undici anni ascoltò il padre che leggeva e spiegava ai fratelli maggiori L'Inferno di Dante; le due estati seguenti toccò a Purgatorio e Paradiso. "Le cicale concertavano nel fico, Il fumo della Macedonia di mio padre sbandava rampicando per l'aria, le nostre motosiluranti solcavano invitte il golfo della Sirte, e io, praticamente, non capivo nulla." Mezzo secolo più tardi proprio quel ragazzo, Vittorio Sermonti, avrebbe letto e spiegato Dante ai microfoni della radio e in più di cinquecento letture pubbliche. Così è nato questo "racconto-commento" della Divina Commedia, che si poneva un obbiettivo solo apparentemente modesto: "consentire a un qualunque italiano dotato di cultura media, intelligenza e un po' di passione di percorrere il più gran libro scritto in italiano senza interrompere continuamente l'avventura per approvvigionarsi di notizie, delucidazioni e varianti nei battiscopa di note, che spesso rasentano il soffitto della pagina". È un obbiettivo in realtà ambiziosissimo, e per raggiungerlo era necessaria la prosa insieme raffinata e colloquiale, accurata e ironica di Sermonti. Supervisione di Gianfranco Contini.
Dante, con questa cantica seconda, conferisce sostanza, ubicazione e regime al nebuloso regno transitorio dell'oltretomba, che ha referenze assai vaghe nelle Scritture e che, dopo un millenario travaglio teologico, solo da una trentina d'anni era entrato a far parte dei dogmi della Chiesa romana. Nell'invenzione - o nella scoperta - dantesca, il Purgatorio è il monte che sorge al centro dell'emisfero australe, sotto stelle che nessun uomo ha mai visto tranne "la prima gente" (perché la sua cima è la sede del paradiso terrestre). Lo percorriamo insieme a Vittorio Sermonti, nella seconda puntata del suo "serial teologico bilingue", rivisto e integrato per questa nuova edizione. Torniamo con Dante e Virgilio a rivedere le stelle, il cielo ("dolce color d'oriental zaffiro"), "il tremolar del la marina", e ad ascoltare la musica dopo la muta tenebra della morte eterna, le grida, le lacrime, i cupi bagliori dell'Inferno e della sua commedia umana. "Ma qui la morta poesì risurga, / o sante Muse, poi che vostro sono": e grazie a Vittorio Sermonti, la poesia di Dante torna viva ai nostri orecchi (e agli occhi, e al cuore) e ci seduce con le "dolci note" della sua musica. Supervisione di Gianfranco Contini.
Che cos'hanno da dire all'uomo del ventunesimo secolo le storie di Narciso che si consuma nell'amore di sé, di Aracne ragnificata per la propria superbia, di Dafne trasformata in alloro per sottrarsi alle brame di Apollo, di Mirra innamorata di suo padre e Bìblide di suo fratello, di Progne e di Medea che, assetate di vendetta, si fanno assassine dei propri figli? Perché dovrebbero interessargli "due alluvioni universali, una trentina di stupri e quasi altrettanti stupri mancati, più di un caso di transessualità, tre incesti e due tentati incesti, circa sedici fiumi innamorati, quattro isole e otto cani che cominciano con la lettera 'L'... per non dire delle centinaia di alberificazioni, uccellificazioni, pietrificazioni, stellificazioni che si tamponano, si abbinano, si contaminano, si mescolano, si inquinano senza pudore" nelle Metamorfosi di Ovidio? Per rispondersi, l'uomo del ventunesimo secolo farà bene a sgranare gli occhi su questo libro e affacciarsi su una incredibile raffica di mutazioni, "scandite da scarti di timbro, aritmie, modulazioni, tracciate talora da un'ironia micidiale, sull'orlo talora del gossip; dove però ad ogni passo può spalancarsi il crepaccio della tragedia". Se saprà riconoscersi nel "delicato nonsenso" di essere sempre chi è diventando continuamente un altro, e nel suo segreto bisogno di incantesimi e di mostri, si potrà permettere la libertà di perdersi fra gli esametri di questo libro, lasciandosi accompagnare dalla traduzione di Vittorio Sermonti.
"Si narra di un dodicenne che in tempo di guerra, per leggersi in pace Guerra e pace tutto di fila, si sarebbe applicato col massimo zelo, nei sospetti tepori del suo letto, a strofinare la punta del termometro, e avrebbe saltato sedici giorni di ginnasio." Quell'adolescente, che divorava con ingordigia animalesca i romanzi di Salgari ("pusher della mia bibliodipendenza") e decantava a voce alta i drammi shakespeariani chiuso nella sua stanza, non ha mai smesso di coltivare la perversa inclinazione a perdersi tra le pagine dei libri. E offre oggi ad altri viziosi un campionario ("una tombola col trucco") delle parole degli autori più amati. Ci sono Faulkner e Saffo, Auden, Kavafis e Hölderlin, Brodskij, Cechov e McEwan. E poi Virgilio, Dante, Catullo, Gadda, Scialoja, Fellini, Mozart, Pessoa e Patrizia Cavalli. Ma anche graffitari ("puoi non buttare l'occhio sui muri che rasenti tornando a casa?"), anonimi estensori di etichette di liquori e di norme di sicurezza dei grandi alberghi, di cui Sermonti confessa di subire da sempre il fascino stilistico. E l'Almanacco Illustrato del Calcio 1983, un lascito del figlio bambino che scivola fuori da un armadio con la sua bella copertina "lucida e turchese". Il risultato è una carrellata di istantanee sul filo di una passione inestinguibile, una passeggiata a zonzo tra i libri in compagnia di un uomo che ha fatto del vizio di leggere una virtù e un'arte.
La fuga di Enea, il buono e leale principe troiano, dalla sua patria verso l'Italia trascende la particolare vicenda per farsi metafora di ogni itinerario umano, costellato tanto di impedimenti quanto di incontri fondamentali. Composta nel I secolo a.C., l'Eneide non è semplicemente uno dei massimi vertici della poesia epica virgiliana, ma è divenuta un'opera capace di dialogare con il lettore nel corso dei secoli, attraverso la continua raffigurazione di momenti emblematici, di scelte supreme e di rinunce dolorose. In questa edizione l'autore ne fornisce una nuova traduzione in un italiano alla portata di un qualsiasi lettore dotato di cultura media, intelligenza e un po' di passione per i classici.
Nell'estate del 1940, un ragazzo di undici anni ascoltò il padre che leggeva e spiegava ai fratelli maggiori l'Inferno di Dante; le due estati seguenti toccò a Purgatorio e Paradiso. Mezzo secolo più tardi proprio quel ragazzo, Vittorio Sermonti, avrebbe letto e spiegato Dante ai microfoni della radio e in letture pubbliche affollatissime. E grazie a questa edizione definitiva di un classico di alta divulgazione, i lettori italiani hanno di nuovo la possibilità di accostarsi a una poesia capace di illuminare anche il nostro tempo. I quattro volumi sono raccolti in un cofanetto.