Perché ci prendiamo cura degli altri anche quando non siamo legati da rapporti personali? Perché lottiamo per la giustizia anche quando non ci riguarda direttamente? Quali sono, insomma, i fondamenti motivazionali che ci spingono ad agire eticamente e ad adottare comportamenti socialmente empatici? La risposta a questa domanda richiede di interrogarsi sul ruolo delle passioni, per gettare un nuovo sguardo sui due paradigmi nei quali si riassume di fatto la proposta etica del nostro tempo. Partire dalle passioni (come invidia e indignazione, paura e compassione, risentimento e amore), purché affrancate da ogni sospetto di irrazionalità, ci consente in primo luogo di pensare un'idea di giustizia diversa da quella che fonda il paradigma razionalistico corrente, per mostrarne piuttosto i fondamenti affettivi e distinguere tra pretese legittime e pretese illegittime di giustizia. In secondo luogo, ci consente di sottrarre la cura a una visione altruistico-assistenziale per mostrarne, insieme alla complessità emotiva non priva di aspetti perturbanti, le potenzialità di una forma di vita. Infine, permette di riaffermare, contro ogni riduzione unilaterale, la complementarità tra le due prospettive etiche, tanto più necessaria quanto più esse sono chiamate a misurarsi con le sfide radicali del nostro mondo globale: prima fra tutte, l'ampliamento dell'idea stessa di altro attraverso le due figure inedite dell' altro distante nello spazio (lo straniero, il diverso) e dell' altro distante nel tempo (le generazioni future). Muovendosi attraverso i grandi classici della «simpatia» (Hume e Smith), la riflessione filosofica del Novecento (da Anders a Jonas, da Arendt a Derrida, da Mauss a Ric?ur) e il dibattito contemporaneo (da Rawls a Sontag, da Gilligan a Nussbaum, fino a Foucault e Sloterdijk), Elena Pulcini si chiede quali passioni presiedano alla lotta contro l'ingiustizia e quali alimentino la capacità di una buona cura, confidando nella genesi di un soggetto emozionale: un soggetto che attraverso la dinamica interminabile della relazione con l'altro, sappia distillare dalle passioni la qualità etica e generativa capace di promettere un mondo migliore.
il contenuto
Se il mondo è un insieme plurale di esseri singolari – come scandisce una nota formula filosofica –, un’etica all’altezza del fenomeno che chiamiamo «globalizzazione» non potrà che far valere sino in fondo le buone ragioni di questa coappartenenza, intervenendo sugli sviluppi disturbati, tipici della modernità e dei suoi esiti ultimi, e caratterizzati dalla cattiva polarità tra ossessione dell’io e ossessione del noi: individualismo illimitato nella sua versione tarda, narcisistica, e comunitarismo immunitario, che trova difensivamente alimento nel bisogno di un legame sociale ormai eroso. Entrambi configurano una patologia del sentire, l’uno per assenza, il secondo per eccesso di pathos. Secondo Elena Pulcini è appunto dalle passioni, dalla loro funzione cognitiva e comunicativa, che occorre ripartire. Si rivelerà decisivo riuscire a governare la paura, fondamentale passione della vita associata da riattivare attraverso una metamorfosi virtuosa, che al tempo stesso ne costituisca il risveglio emotivo e la ponga come precondizione dell’agire morale.
Essere consapevoli della propria vulnerabilità di soggetti non sovrani e prendere atto della realtà della contaminazione sono i presupposti che insegnano, al di là di un astratto doverismo e di malinteso alturismo, ad avere paura per, invece che ad avere paura di. E paura per il mondo significa cura del mondo. Con l’idea di cura, intesa nell’accezione classica di preoccupazione e sollecitudine, si affaccia una nuova nozione, emancipativa, di responsabilità, dove l’accento è spostato sul rispondere a, sul venir meno della rigidità identitaria.
l'autore
Elena Pulcini insegna Filosofia sociale all’Università di Firenze. A partire da Amour-passion e amore coniugale. Rousseau e l’origine di un conflitto moderno (Marsilio, 1990), i suoi numerosi saggi riflettono, all’interno di una teoria della modernità, su individualismo, passioni, soggettività femminile e legame sociale. Ha curato con Dimitri D’Andrea Filosofie della globalizzazione (ETS, 2001) e con Mariapaola Fimiani e Vanna Gessa Kurotschka Umano post-umano. Potere, sapere, etica nell’età globale (Editori Riuniti, 2004). Ha collaborato al libro collettivo Common Passion, Different Voices. Reflections on Citizenship and Intersubjectivity (Raw Nerve, 2006). Per Bollati Boringhieri ha pubblicato: L’individuo senza passioni. Individualismo moderno e perdita del legame sociale (2001) e Il potere di unire. Femminile, desiderio, cura (2003).
Il problema del soggetto è uno dei nodi centrali della riflessione femminile e femminista degli ultimi decenni. In questa raccolta di saggi il tema viene affrontato, nell'ambito di una critica della modernità, dal punto di vista privilegiato di una teoria delle passioni e della "differenza emotiva". Emerge così, tra l'altro, come l'identificazione moderna delle donne col sentimento abbia comportato non solo la loro esclusione dalla sfera pubblica, ma anche dal pathos e dal diritto alla passione. Attraverso la nozione di "passione per l'altro", si delinea la figura di un soggetto relazionale, capace di superare la dicotomia Io/altro e di tenere insieme fedeltà a se stessi e apertura all'altro, libertà e consapevolezza del limite.