Paolo Baffi (1911-1989), Governatore della Banca d'Italia dal '75 al '79, è stato una figura di spicco nella storia economica del Paese e, allo stesso tempo, una delle tante vittime 'eccellenti' del nostro secondo Novecento. Il presente libro vuole documentare entrambi questi aspetti della sua biografia. Nella prima sezione, infatti, si possono leggere le sue quattro "Considerazioni finali"; nella seconda, il suo diario del 1978-81 (Cronaca breve di una vicenda giudiziaria), pubblicato integralmente per la prima volta nel 1990. Come scrisse uno dei suoi 'allievi' prediletti, Tommaso Padoa-Schioppa, il governatorato di Baffi "si svolse in anni che sono tra i più duri e più disgraziati nella storia della Repubblica italiana. Furono anni segnati dall'inflazione, dallo shock petrolifero, da un'indicizzazione forsennata dei redditi, dal dominio di idee balorde (il salario variabile indipendente, l'indicizzazione come antidoto all'inflazione, la parità salariale Nord-Sud imposta dall'alto, e via dicendo), da un'ennesima abdicazione di responsabilità delle nostre classi dirigenti, da tardive riforme sociali mal progettate e ignare delle effettive risorse del Paese. Furono gli anni terribili del terrorismo, di delitti oscuri, della messa a morte di Aldo Moro".
Il saggio di Baffi rappresenta un contributo alla conoscenza della storia economica del decennio 1944-1953 nel quale molte grandi speranze si tradussero in realtà. Tra i personaggi che si incontrano in queste pagine, oltre cinquanta stranieri e una quarantina di italiani, alcuni, memorabili in sé, altri, messi in risalto nelle parole di Baffi, affiorano dalla storia e dalla cronaca con un rilievo a tutto tondo.
"Rapido, lieve, ironico Ruffilli ha una grazia compositiva che sa fondere in sequenze unitarie dialoghi, racconto, immagini. Eppure, grazie alla orchestrazione dei ritmi, alla variazione dei toni, ai cambiamenti di andatura, le sequenze rivelano una natura musicale, una trasparenza lirica. E proprio attraverso la convergenza delle scelte espressive Ruffilli offre al problema dei generi non una nuova incognita, ma la felicità di una soluzione". (Giuseppe Pontiggia)
Scritto nel 1969, a due anni dalla promulgazione della Populorum progressio e a pochi mesi dalla Conferenza dell'episcopato latinoamericano di Medellin, "Dialogo della liberazione" è considerato il libro più importante della ricca produzione di Arturo Paoli e sintetizza in modo mirabile l'esperienza di quasi un decennio trascorso in Argentina dal piccolo fratello di Gesù, inviato in una delle località più povere del pianeta a rendere testimonianza del Vangelo. Convinto che l'America latina sia la terra che per storia, religiosità e cultura possa essere la più pronta a comprendere l'essenza liberatrice del messaggio evangelico, cerca di dare una risposta alle domande di un giovane interlocutore che si è avvicinato a lui e lo interroga sul senso della vita, della storia, della società. Ne scaturisce un libro che a differenza delle successive opere della teologia della liberazione, non si sofferma solo o principalmente sulla questione politico sociale, ma rivela l'intenso significato della parola liberazione in ogni aspetto e momento della vita dell'uomo. Sicché, come scrisse a suo tempo Nazareno Fabbretti con parole che mantengono una loro attualità, il libro interpella tutti noi, obbligandoci a fermarci, "a ritrovare noi stessi, a ricostruire il nostro mondo".
La geografia in Guido Gozzano ha coordinate semplici e, se si esclude il passaggio in India, di per sé eccezionale e raccontato in "Verso la cuna del mondo", tutta si risolve nel viaggio verso l'infanzia , verso il materno paese canavesano che in qualche modo fa da contraltare alla gaia Torino, "città favorevole ai piaceri". Agliè, il dolce paese che non dico, è dunque il rifugio, il luogo eletto della solitudine e dell'ironica meditazione poetica, popolato di fantasie e in qualche modo, visti i costanti traffici col passato, anche di fantasmi. Come sempre capita con i poeti, è inutile cercare Gozzano nel Canavese, l'operazione giusta è semmai quella contraria e cioè quella di cercare il Canavese in Gozzano, attraverso una rilettura dei suoi versi e delle sue prose: lettere, articoli, piccole memorie. Paolo Mauri, che di Gozzano scoprì e pubblicò nel 1966 la prima stesura de "L'assenza", ricostruisce la trama sottile che lega il poeta ai suoi luoghi e al milieu culturale da essi rappresentato, ponendo sullo sfondo le figure di Massimo d'Azeglio e di Giuseppe Giacosa: due conterranei che non per nulla "arredano" i suoi versi. L'indagine vuole essere un omaggio all'autore dei "Colloqui" e insieme uno strumento per meglio sondare il miracolo di una poesia profonda e originalissima ma capace di apparire lieve come una favola d'altri tempi.
Presso gli antichi Greci e Romani tutti i luoghi, gli individui e gli eventi più ambigui - le zone di passaggio e confine, i ponti, i ladri in agguato nell'ombra, gli studiosi dell'occulto - erano sorvegliati e protetti da Ermes, il dio più bizzarro, astuto e sapiente. Questo dio, in realtà, non è mai morto: egli abita ancora vicino a noi o appena sopra di noi, nel cielo dei sogni, degli azzardi e dei misteri, e di notte spia tutto ciò che avviene tra le vie segrete del mondo. Raccontate dal dio Ermes in persona, le venticinque brevi storie che compongono questo libro esplorano il grande regno della notte, e in esso i momenti dell'esperienza in cui gli uomini, scivolando fuori dalle proprie certezze, rischiano di perdersi nella vertigine dell'ignoto. In bilico tra leggerezza e humour noir, timbri ironici, grotteschi e fantastici, la voce di Ermes sa mostrarci cosa la notte può riservare a un killer di professione, a un postino, a un celebre illusionista che soffre di amnesie, a un funambolo appena evaso dalla prigione, a un uomo intrappolato in un ascensore, a una bambina coraggiosa, a un vecchio innamorato delle stelle, a un poeta in cerca di gloria.
Paolo Fabrizio Iacuzzi prosegue la sua biografia in versi, quasi una lacerata e lacerante biopsia tinta di rosso. Il colore della nascita e della passione, del principio e della fine, diventa il tramite di una poetica del contagio e della mutazione. Restituisce così la sua segreta vita "a quadri", facendo esperienza dell'altro e del "nemico" a partire dall'interno, assumendosi il peso del male e della diversità ed esponendo le viscere di sé per un espianto di organi per altri.