Il ritratto impietosamente obiettivo, ma non privo di affetto della Democrazia Cristiana, il partito in cui l'autore ha militato da dirigente fino alla fine. Un'interpretazione e, forse di più, l'analisi antropologica del partito-stato che ha governato la Repubblica per un ininterrotto cinquantennio. Si affrontano, da una prospettiva prossima e narrativa, i temi più consueti del bilancio politico e storico dell'esistenza di un partito dominante: come il rapporto tra i democristiani e il potere, la Dc e la destra, il partito diga verso il comunismo, il legame con la Chiesa e con la fede, l'intercettazione del paese profondo. Ma il libro di Marco Follini si concentra anche su alcuni aspetti più puntuali: l'atteggiamento verso il lusso, le dimore di dirigenti e militanti, biografie esemplari di personalità, aneddoti, le due anime simboliche: Andreotti e Moro, gli «appagati» e i «tormentati», e così via, dentro tutti gli angoli che introducono il lettore nella quotidianità di una forma di esistenza politica che ha aspetti di enigma. L'enigma non solo della lunga, tuttavia precaria, persistenza al potere, caso più unico che raro nei paesi dell'Occidente, ma anche della convivenza perfettamente equilibrata di posizioni politiche molto lontane fra loro, e quello più fondamentale della attitudine, scettica, flessibile, a volte dominata da un senso di limitazione e di colpa, verso la società e il futuro. E, a voler leggere questo saggio come un racconto, su tutto il testo aleggia la convinzione profonda e probabilmente pensata e ripensata da Follini in questi anni: che in effetti la vicenda della Democrazia Cristiana sia da guardare come un lungo e oscuro presagio
La noia oggi e intollerabile, impresentabile e inconfessabile. I due presupposti che la giustificavano sono stati esiliati dalla vita sociale: il tempo come attesa; il pensiero contemplativo, non operativo. E invece Marco Rollini (scrittore, uomo politico, dirigente culturale; per Sellerio ha scritto nel 2008 "La volpe e il leone. Etica e politica nell'Italia che cambia") ne fa il tema di un 'discours' di stampo settecentesco, di una divagante esplorazione ricca di spiriti che implica un'ironica esortazione per il lettore. Di questa passione dell'anima, classifica i tipi diversi, analizza connessioni e componenti, cerca le testimonianze nella letteratura e nella storia, descrive l'universo delle tipiche relazioni umane cui la noia dava spazio. E segue la parabola della noia nella politica. Una volta l'uomo politico non temeva di apparire noioso, mentre oggi la noia è il suo spauracchio. E questo mentre il discorso politico si conforma, si svuota di senso, di realtà.
Una riflessione sui rapporti tra politica e morale, sorretta dal rimando a filosofi e pensatori, con lo sguardo rivolto all'indietro, alla storia dell'Italia repubblicana, ma anche in avanti, al futuro che sapremo costruirci. Nell'Italia democratica che nasceva dalle macerie della guerra la moralità della politica risiedeva nella solidarietà. La classe dirigente, la classe politica, aveva come obiettivo il potere non la ricchezza ed era un potere povero (come dimenticare il cappotto rivoltato con cui De Gasperi si recò negli Stati Uniti?). Poi il miracolo economico, il protagonismo dei giovani, delle donne, i cupi anni Settanta e i rampanti anni Ottanta, la nascita della questione morale. Fino a oggi. "Quello che manca alla politica è un verso; il senso della sua missione, il traguardo alto e lontano a cui cercare di tendere. E quando manca un traguardo, tutto si riduce allo scambio". L'essere "sfibrati" moralmente alla fine, però, consente straordinari recuperi. Come quando l'Italia del pallone, travolta dal colossale scandalo di Calciopoli, finì col vincere i mondiali in Germania. Perché non provare ad assecondare il futuro di un'Italia nuova, capace di una misurata, gentile e riflessiva virtù?