Diversamente da altre culture filosofiche, caratterizzate dall'indagine sul soggetto o dalla teoria della conoscenza, dall'analisi del linguaggio o dalla decostruzione ermeneutica, essa appare fin dall'inizio estroflessa sul suo esterno, esposta ai conflitti e ai traumi dell'esperienza mondana. Al suo centro, eccedente rispetto a ogni definizione presupposta, si dispiega la categoria di vita, in una relazione sempre tesa e problematica con quelle di politica e di storia. È proprio questa materia densa e opaca, difficilmente riducibile all'ordine formale della rappresentazione, a spingere il pensiero italiano in una sintonia profonda con i tratti costitutivi del nostro tempo. Antagonismo e immanenza, origine e attualità, comunità e biopolitica, interrogate nella loro genesi concettuale e impresse nel cuore della contemporaneità, sono le polarità intorno alle quali, in un confronto serrato con i maggiori filosofi italiani, si snoda il percorso teoretico originale e avvincente di uno dei protagonisti del dibattito filosofico contemporaneo.
Mai come oggi la nozione di persona costituisce il riferimento imprescindibile di tutti i discorsi - filosofici, etici, politici - volti a rivendicare il valore della vita umana in quanto tale. È cosi nell'ambito della bioetica, dove cattolici e laici, pur in contrasto sulla sua genesi e la sua definizione, convergono sulla valenza decisiva dell'elemento personale: solo in base ad esso, la vita umana è considerata intangibile. Ed è cosi sul piano giuridico, lungo un percorso che lega sempre più strettamente il godimento dei diritti soggettivi alla qualifica di persona: questa appare l'unica in grado di riempire lo scarto tra uomo e cittadino, diritto e vita, anima e corpo, aperto fin dalle origini della nostra tradizione. La tesi radicale e inquietante di questo saggio è che la nozione di persona non sia in grado di ricomporre tale scarto perché è proprio essa a produrlo. Più che un semplice concetto, quello di persona è un dispositivo di lunghissimo periodo il cui effetto primario è la separazione, all'interno del genere umano e anche del singolo uomo, tra una zona razionale e volontaria fornita di particolare valore e un'altra, immediatamente biologica, spinta dalla prima verso la dimensione inferiore dell'animale o della cosa.
Da qualche tempo nessuno dei grandi eventi che scuotono il mondo è più interpretabile fuori della categoria di biopolitica: dovunque si volga lo sguardo, la questione del bíos appare al centro di tutte le traiettorie politicamente significative. E tuttavia, a tale straordinario rilievo non corrisponde una adeguata chiarezza sul significato del concetto. Esso sembra percorso da un'incertezza di fondo, da un'inquietudine semantica, che lo espone a letture contrastanti. Ciò che, in tale contrasto, resta irrisolta è la domanda posta per la prima volta da Michel Foucault: come mai la relazione sempre più diretta della politica con la vita rischia di produrre un esito di morte? Nel libro l'autore cerca una risposta a questo interrogativo.
Il paradigma di "immunizzazione" consiste nell'esigenza sempre più pressante di salvaguardare la vita nel suo nudo significato biologico. Come il corpo individuale, così anche quello sociale può essere immunizzato dal male che lo minaccia soltanto attraverso la sua immissione preventiva. Per sfuggire alla presa della morte, la vita è costretta a incorporarne il principio. Alla fine dell'epoca moderna, tuttavia, questo meccanismo immunitario sembra giunto al limite. E oltre questo limite si dischiude la drammatica scelta fra un esito autodistruttivo e il suo rovesciamento in una possibilità ancora inedita. "Immunitas" intreccia il linguaggio giuridico a quello teologico e antropologico, la prospettiva politica a quella biologica.